Trento, il giusto mix tra tecnologia e soldi pubblici

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TRENTO – Fu Bruno Kessler, presidente della Provincia autonoma di Trento dal ‘60 al ‘73, ad accorgersi che il territorio trentino non poteva vivere delle sole tre “m”, mele, montagna e miele. Bisognava aggiungere una “t”, quella di tecnologia, e una “r”, di ricerca. E ora la fondazione che porta il suo nome, ai piedi del monte Bondone, è una delle protagoniste di quella che ormai è stata ribattezzata Silicon Valley delle Alpi. Un mix di ricerca tecnologica d’eccellenza, investimenti pubblici (tanti) e impresa privata, che attira le migliori menti d’Europa in questa florida frontiera d’Italia. L’ultima “invenzione” made in Trentino si chiama Tech Peaks, un acceleratore di «persone non di imprese», come ripetono tutti, che mette insieme ricercatori del settore dell’Information and Communication Technology, università e mondo del business. Perché qui si fa sistema. In questa cornice, nata su iniziativa di Trento Rise (partner locale del network Ict Labs dello European Institute of Innovation and Technology), le persone si incontrano, pensano, creano una startup e, se tutto va bene, trovano pure chi finanzia l’idea. A guidare le iniziative imprenditoriali, ci sono i mentor, solitamente manager affermati che mettono a disposizione le proprie conoscenze nel mondo del business e della tecnologia a favore degli aspiranti imprenditori. Ma di sole idee non si vive; servono i capitali. E se l’Italia non è proprio il Paese di venture capitalist (vc) e business angel, quelli di Tech Peaks sono andati a pescarli in ogni parte del mondo.

In centro città, a pochi metri dai mercatini natalizi, è andato in scena in Demo Day. Startupper e vc (da pronunciare “vi-si”) si incontrano nell’edificio che un tempo ospitava l’azienda sanitaria locale. Alcide De Gasperi (nato nella provincia) li guarda dall’alto di una statua, e loro “pitchano”. Il pitch, nello “startupperdizionario”, è una presentazione che gli imprenditori in erba fanno ai potenziali investitori. Rigorosamente in inglese, perché qui in pochi parlano l’italiano. Il 60% dei 72 startupper selezionati tra le 619 richieste viene dall’estero: Stati Uniti, Nepal, Romania, Repubblica Ceca, Slovenia, Russia. A Trento hanno trascorso qualche mese, hanno implementato le idee di partenza e formato i team. Il Demo Day fa parte della fase due di Tech Peaks, quella del contatto con il mercato vero e gli investitori. Meta finale del progetto è la realizzazione di 100 iniziative imprenditoriali. 

I 48 venture capitalist e business angel presenti al Demo Day provengono da Stati Uniti, Inghilterra e Russia, ma c’è pure qualche italiano. Le startup da “incubare” sono 18: a ciascuna di esse la Provincia ha dato 25mila euro, per un totale di 450mila euro di investimenti. Il pitch dura 4 minuti: in poco tempo i ragazzi devono condensare l’idea sulla quale lavorano da mesi o da anni. Prima di salire sul palco, in tanti sono nervosi. Poi il risultato è quasi sempre eccellente. Dalla platea gli investitori prendono appunti su tablet e portatili. Solo cinque idee riceveranno fondi esterni. L’unica clausola: avere almeno una sede in provincia.

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«Ora che ho finito il pitch cammino a tre metri da terra», scherza Riccardo Osti, “business guy” di FlowsBy in giacca e maglietta, dopo la sua performance sul palco. «Avevo già creato una startup a Roma, sono andato a cercare finanziatori a destra e manca e non ha funzionato, qui invece i finanziatori vengono da te. Certo Trento non è il posto adatto per divertirsi, ma proprio per questo ti concentri sulla tua idea di business». E qui c’è chi è arrivato anche dal Nepal, come il trio di Snippr, applicazione che permette di seguire con facilità i propri autori preferiti. «In Nepal lavoravamo in una agenzia non profit, pensavamo di creare una startup in Europa, ma non sapevamo neanche dove fosse Trento», racconta Bimal Maharan. «La cosa più importante per noi era ottenere un visto per restare in Europa. Tech Peaks è stata l’occasione ideale. A marzo ci siamo iscritti e siamo stati selezionati». Nel team di Pubbaloo, app per i pub che punta alla fidelizzazione dei clienti coinvolgendoli in giochi individuali e di gruppo, si è aggiunto anche Tom Gardinder, volato in Trentino da Londra. Sarà lui, dopo la prima sperimentazione nei pochi pub di Trento, a portare la app nella capitale inglese dei 7mila pub. «Poi ci sposteremo a Londra, essendo Tom ben connesso nell’environment delle startup londinesi ed essendo la città ben provvista di potenziali customer», spiega Simone Campara.

Tra i problemi principali, raccontano gli organizzatori di Tech Peaks, «ci sono stati quelli relativi ai visti. L’Italia non prevede un visto startup come avviene in altri Paesi come il Canada o il Cile», e questo non fa altro che scoraggiare gli imprenditori stranieri a investire nel nostro Paese. Nel caso di Tech Peaks, però, la presenza del pubblico (la Provincia) ha aiutato, e così è stato più semplice ottenere visti per ricercatori. Arrivata sera, mentre gli stand dei mercatini natalizi servono ottimo “parapàmpoli” (un intruglio di caffè, vino e miele flambeur), gli startupper incontrano gli investitori a cena, con il metodo dello speed date. Tra tagliatelle e vino trentino, ogni venti minuti Paolo Lombardi, responsabile del progetto, suona il campanello del bar al grido “Change table”. In questo modo i ragazzi incontrano tutti gli investitori, e viceversa. Ed è un continuo scambio di biglietti da visita. «Il Demo Day è stato un successo a tantissimi livelli», dice Lombardi«Un successo per le startup presenti, che hanno già ricevuto alcune proposte di investimento. Un successo per gli investitori invitati, che hanno potuto incontrare un ricco parterre di startup dal respiro globale, e anche per il pubblico in sala, che ha dimostrato grande entusiasmo».

Qui, ai piedi delle Alpi, su una popolazione di 500mila abitanti, 5mila persone lavorano nel settore Ict e gli stranieri sono 50mila. Uno su dieci. Tanti ricercatori da ogni parte d’Europa si sono stabiliti qui, attratti dalle montagne innevate dove si può sciare per parecchi mesi all’anno e dalla qualità della vita (Trento è al primo posto in Italia). Come Alex Vagin, ucraino, che qui si è stabilito ormai da dieci anni e qui ha fondato la sua startup di cloud computing. Ogni anno la Provincia autonoma di Trento investe il 2% del Pil in Ricerca e sviluppo. E i risultati si possono vedere sulla collina di Povo, a pochi chilometri dalla città, dove sono concentrate le facoltà scientifiche dell’università (ingegneria, scienze dell’informazione), la Fondazione Bruno Kessler, il centro di ricerca Cosbi (Centre for Computational and Systems Biology), gli edifici dell’Eit (European Institute of Innovation and Technology), una sorta di Mit europeo, diversi centri di ricerca aziendali (tra cui Telecom), oltre che gli uffici di Trento Rise, che godono di un investimento provinciale di 76 milioni di euro per cinque anni.

Il melting pot di persone, investimenti pubblici e mentalità d’impresa ha fatto di questa collina uno dei poli di eccellenza della semantica applicata al web e dei Big data. E il fatto di rapportarsi con un unico interlocutore pubblico, la Pat, aiuta nella facilità di fare impresa, come in tutte le cose qui, dalla sanità al rilascio di documenti. «Il nostro obiettivo è portare ricerca e formazione vicine all’impatto sul mercato», spiega Paolo Traverso, direttore di Trento Rise. «Noi non acceleriamo imprese. Diciamo alle persone: “Venite qui, poi formiamo il team”. A volte si hanno buone idee ma non si ha il team. Noi incubiamo le persone». E «non importa se poi scapperanno da qui, lo sappiamo che il mercato è fuori dal Trentino, purché vadano a dire che a Trento c’è qualcosa di positivo. È per questo che investiamo in questo settore. Facciamo un esempio: investo nell’edilizia, costruisco, e poi? Noi invece buttiamo il seme che può portare a grandi frutti». E non è un caso che qui l’innovazione venga anche declinata in chiave sociale. In questi giorni, mentre Trento festeggia i 450 anni dalla chiusura del famoso Concilio, negli ospedali debutta la TreC, piattaforma che permette ai cittadini di consultare i referti online, tenere un diario della propria salute e gestire la cartella clinica dei propri figli. «Non solo servirà a noi per rendere più efficiente la pubblica amministrazione», dice Traverso, «una volta implementato, il modello potrà essere venduto anche in India e in Cina».

Tutta la città sembra contaminata da queste idee. Proprio accanto al luogo in cui fino a poco prima i giovani startupper avevano pitchato, è nato CLab, una “stanza di contaminazione”, sul modello di quella di Googleplex, nella Silicon Valley californiana. Tra tavoli e palloni colorati, si tengono workshop di imprenditoria (proprio come in California) aperti a tutti gli studenti dell’Università, «anche a quelli delle facoltà umanistiche», dice l’organizzatore, Vittorino Filippas, docente di Economia e management a Trento. «Il successo di un team dipende dalla interdisciplinarità». Non ci sono lezioni frontali, nella stanza di contaminazione, ogni incontro avviene sotto forma di discussione, nelle quali si simulano le fasi dello sviluppo di una iniziativa imprenditoriale. Dalla presentazione dell’idea in pochi minuti ai colloqui con gli investitori. E se è vero, come scrive Enrico Moretti ne La nuova geografia del lavoro, che per ogni lavoratore nell’Ict se ne creano cinque non Ict, questa potrebbe essere la strada giusta. D’altronde il Trentino è la regione con il minor tasso di disoccupazione in Italia, 5% per quella totale, 12,5% per quella giovanile, mentre nel resto d’Italia la media è di più del 40 per cento. Da poco gli esperti della Borsa del Placement di Bologna, per giunta, hanno incoronato come migliore d’Italia il servizio di collocamento dell’Università di Trento. Il terzo premio in quattro anni. 

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