Un brevetto per ghermirli

Un brevetto per ghermirli

Il 19 Novembre Ashish Bhatia ha ottenuto la registrazione del brevetto US8589407 B2 per la “generazione automatizzata di suggerimenti per reazioni personalizzate in un social network“. Dal nome sembra una app per gestire i contatti social mentre potrebbe trasformarsi in uno formidabile cavallo di troia. Il brevetto è di Google che attraverso questo sistema di notifiche intelligenti si prefigge lo scopo di intermediare le conversazioni nei social media. Con l’autorizzazione degli utenti , il dispositivo intercetta le comunicazioni, legge le eventuali altre risposte, notifica l’evento e suggerisce il tipo di risposta più adatta.

In uno slancio di altruismo, nella descrizione del brevetto, Google ci ricorda che si proccupa per noi:
 

it may be very important to say “congratulations” to a friend when that friend announces that she/he has gotten a new job. This is a particular problem as many users subscribe to many social different social networks… it is possible for a person to miss such an update.  

Non dovremmo più monitorare tutti i nostri contatti sparpagliati in mille piattaforme. Sarà Google a ricordare tutto per noi ed a suggerirci come non essere fuori luogo. In cambio otterrà la nostra rete sociale, la mappa delle attività e un enorme mole di testi su cui fare analisi sintattiche. Chi-dice-cosa-a-chi. La manna dal cielo per il web semantico.

Da sempre è stato chiaro all’azienda che più della produzione di contenuti è il saperli rendere disponibili al pubblico che frutta guadagni. Dalla quotazione in borsa, in cui ha stupito gli operatori del settore dimostrando come un infinità di micro transazioni di pochi centesimi giustificassero ampliamente un IPO miliardario, Google ha continuato nel suo processo di intermediazione tra contenuti e lettori. Essere il gatekeeper della rete nell’era dell’informazione sembra essere stata la strategia vincente e ogni innovazione del motore (fino all’attuale knowledge graph e ai rich snippet nei risultati) va nella direzione di fornire più dati in meno tempo e con meno intermediari possibili. Certo diminuire la necessità di un accesso diretto ai produttori di contenuti è una strategia che può rivelarsi controproducente. Fornire più informazioni rende il motore più competitivo ma rendendo inutili gli accessi alle pagine finali alla lunga indebolisce proprio i produttori che lo riforniscono.

In questo scenario Google tenta una nuova manovra di attacco agli enormi database dei social media

Già nel 2009 tra Google, Twitter e Facebook era in corso una discussione sulla possibilità di lasciar accedere il bot a tutti i contenuti delle piattaforme così da indicizzarle. Twitter ha stretto per un breve periodo un accordo con Mountain View dando vita ad un servizio chiamato  realtime search, poi dismesso nel 2011 per la rottura unilaterale del patto da parte di Twitter. Facebook è stato sempre più geloso dei suoi dati rispetto il fratello minore e non ha mai concesso a Google nessun accordo di syndacation. Per un periodo Zuckerberg ha anche pensato di integrare completamente Bing (magari acquisendolo) o costruendo il proprio motore universale (progetto in seguito ridimensionato). La polemica ancora in corso è stata riattizzata dalla messa online di Google+. A questo punto sembrava fosse Google ad entrare nel territorio dei suoi interlocutori che protestarono lanciando accuse (più che legittime) di condotta scorretta. Il motore avrebbe favorito i risultati del proprio social network rispetto quelli delle concorrenza. Tra le righe della risposta di Schmidt un chiaro riferimento agli scontri del passato. “Se ci facessero accedere a tutti i loro contenuti questi sarebbero più facilmente rintracciabili dal bot e meglio indicizzati” sembrerebbe dire

Arriviamo ad oggi. I social media tengono stretti più che mai i loro dati e nessuna trattativa sembra poter scalfire il wallet garden dei loro db. D’altro canto Google ha mostrato le sue carte e ha fatto capire a tutti che G+ non è spazio sociale ma un anagrafe della rete, parte del radicale progetto di indicizzare l’esistente. Stando così le cose la battaglia sembra sospesa e i contendenti a riposo. Ma a Mountain View sono golosi di dati e stanno costruendo il perfetto cavallo di Troia. Attraverso commodity e le autorizzazioni degli utenti, possono ottenere dal basso quello che non sono riusciti a raggiungere trattando con i piani alti della Silicon ValleyIn un gioco di matrioske in cui Facebook è sempre più un aggregatore  multi piattaforma e social desktop per gli altri servizi, Google interpreta la parte del pesce enorme che mangia quello grande. Potrebbe tenere, in un sol boccone, traccia di tutte le altre iterazioni, aggiudicandosi una mappa delle comunicazioni che andrebbe ad rricchire il suo “servizio di carte di identità digitali”.

Il piano potrebbe non riuscire certo o essere meno macchiavellico di quanto sembri. Di certo con questo tipo di brevetti un risultato è attenuto. Se l’operazione non dovesse essere portata a termine da Page e Brin non lo sarà da nessun altro. Almeno 20 anni di monopolio coperto da diritto d’autore sono assicurati. Forse la partita è già finita prima di essere giocata.

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