Cronache marziane dalla giustizia italiana

“Storie della settimana”

Mentre gli avvocati hanno cominciato il nuovo anno con uno sciopero indetto dall’Unione delle camere penali italiane (il 13 gennaio scorso), dalle aule di tribunale italiane continuano ad arrivare notizie di ogni tipo. Dal processo rinviato perché serve un interprete per gli imputati che parlano solo il dialetto napoletano alla moglie del boss scarcerata perché la sentenza non è arrivata in tempo. Il tutto mentre la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia a risarcire quindici cittadini che hanno dovuto attendere a lungo per ottenere un risarcimento dopo processi durati anni.

Partiamo da Ancona, dove un processo per estorsione e usura è stato rinviato perché gli imputati parlano un dialetto napoletano così stretto da non essere comprensibili. Il perito, incaricato di trascrivere le intercettazioni telefoniche, ha chiesto l’assistenza di un interprete. Da Il Mattino

ANCONA – Gli imputati parlano in un dialetto napoletano troppo stretto. Processo per usura ed estorsione ad Ancona rinviato perché serve un interprete che traduca dal dialetto napoletano all’italiano. E’ successo ieri in Tribunale quando è stata rinviata un’udienza penale dopo che il perito, incaricato di trascrivere le intercettazioni telefoniche, ha chiesto l’assistenza di un interprete. Di certo non un fatto rituale perché, di solito, l’interprete viene convocato solo nel momento in cui si deve tradurre da una lingua straniera. Peccato che in questo caso la lingua, anzi il dialetto, da tradurre è quello napoletano.

Il perito, di Padova, ha fatto tutto il possibile, fino quando non ha alzato bandiera bianca. Ma non sarebbe bastato far ascoltare le registrazioni ad un qualsiasi pubblico ufficiale di origini campane? Tutto inutile. Ancora prima che le intercettazioni arrivassero al perito, i carabinieri avrebbero provato a sottoporre i documenti audio a dei colleghi napoletani, ma non ci avrebbero capito nulla neppure loro. Troppo stretto il dialetto e troppo circoscritta la zona geografica della parlata di quelli che poi sono
diventati imputati. CONTINUA A LEGGERE

A Brindisi, invece, la sentenza non è arrivata entro sei mesi, e la moglie di un boss della Sacra unita è stata scarcerata. Da Il Quotidiano di Puglia:

BRINDISI – La sentenza non è giunta entro sei mesi dall’ammissione all’abbreviato e quindi, per la decorrenza dei termini di custodia cautelare, è tornata in libertà Antonia Caliandro, 57 anni, moglie del boss della Sacra corona unita Salvatore Buccarella, 54 anni, recluso a Secondigliano. Il gup di Lecce Vincenzo Brancato ha oggi accolto la richiesta di scarcerazione formulata dal suo avvocato, Giuseppe Lanzalone che, calcolatrice alla mano, ha rilevato che il 16 luglio scorso c’era stato l’ok al rito alternativo, mentre solo ieri si è celebrata l’udienza nel corso della quale il pm della Dda, Alberto Santacatterina, ha formulato le richieste di pena. Il processo, rinviato al 31 gennaio, data in cui presumibilmente non vi sarà ancora sentenza, coinvolge 10 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsioni e associazione armata: secondo quanto fu appurato nel corso delle indagini era stata ricostituita nel Brindisino una cellula della Sacra corona unita che chiedeva il pizzo agli imprenditori che stavano investendo nella realizzazione di impianti fotovoltaici. CONTINUA A LEGGERE

Intanto i Comuni sono in agitazione per le spese che di solito anticipano sulla amministrazione della giustizia e che lo Stato dovrebbe loro restituire. Dovrebbe, appunto. Il Comune di Catania, in particolare, aspetterebbe dal ministero della Giustizia ancora nove milioni di euro in totale. Da La Sicilia

Davanti a una situazione simile l’assessore al Bilancio, Giuseppe Girlando, ha dato mandato agli uffici della Ragioneria di preparare una lettera che a giorni sarà inviata al ministero per chiedere correttivi ed evitare che buona parte dell’onore per il funzionamento della giustizia ricada sui Comuni. Inoltre i 5,8 milioni che verrebbero a mancare dalle casse comunali andrebbero a sommarsi ai quasi 9 milioni di arretrati che l’amministrazione Bianco vanta dal ministero della Giustizia per le spese arretrate. Si parla all’incirca di 14 milioni complessivi che potrebbero servire, secondo le lamentele dell’amministrazione Bianco, a ridurre i tributi locali e dare servizi più efficienti ai cittadini. Basti pensare che l’Imu prima casa a Catania è pari a oltre 4,5 milioni di euro.

Ma i paradossi non finiscono mai. Dagli uffici comunali si viene a sapere che, alcuni giorni fa, alla Ragioneria di palazzo dei Chierici è arrivata la notizia dell’imminente arrivo di una cartella esattoriale di circa 3 milioni di euro per il mancato pagamento dei canoni relativi a una struttura della Giustizia. CONTINUA A LEGGERE

All’orizzonte di questi fatti di cronaca, è arrivata la condanna della Corte europea dei diritti umani per la giustizia lumaca italiana. Anche dopo le condanne. Quindici cittadini dovranno essere quindi risarciti per aver atteso a lungo per ottenere a loro volta un risarcimento dopo processi infiniti. Da La Notizia Giornale:

Un dramma. Ne sanno qualcosa i quindici cittadini che si sono rivolti alla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo. Sono tutti campani, che hanno atteso nei tribunali della loro regione anche diciotto anni per ottenere una sentenza. Tra loro c’era chi attendeva qualche spicciolo per problemi avuti sul lavoro, il trattamento di fine rapporto, un indennizzo per un incidente stradale, qualche affitto non incassato, un minimo di ristoro per un abuso subito nel campo dell’edilizia, per un intervento chirurgico andato male o per essersi visti inquinare il proprio terreno. Le sentenze, a volte solo di primo grado, sono arrivate dopo anni e anni. Le vittime hanno fatto ricorso in base alla legge Pinto, quella che per simili lungaggini prevede un indennizzo, e si sono viste riconoscere somme modeste. C’è chi ha ottenuto appena 750 euro per 12 anni di attese. CONTINUA A LEGGERE

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