Se il suo furto non avesse suscitato tanto clamore, l’ampolla con il sangue di Papa Wojtyla trafugata alcune notti fa dal santuario di San Pietro della Ienca, sotto il Gran Sasso, avrebbe già potuto essere in vendita su internet.
Sul mercato delle reliquie sacre oggetti come questo riscuotono un grande interesse. Un capo d’abbigliamento indossato da Papa Francesco, ad esempio, vale più di mille dollari. Fino a 1500 per la precisione . Sono in vendita su eBay, popolare sito di aste online, decine di zucchetti bianchi che il Papa avrebbe scambiato con quelli donati dai fedeli durante le udienze generali o i giri sulla ‘campagnola scoperta’ in piazza San Pietro. Per 1659 dollari è possibile acquistare anche uno zucchetto di Papa Giovanni Paolo II. Se gli oggetti siano o meno autentici non è dato saperlo. Di certo c’è che in un qualsiasi negozio uno zucchetto papale in seta non costa più di 60 euro.
Il mercato online delle reliquie è molto vasto, se si cerca il termine “relic” sull’eBay internazionale i risultati che appaiono sono oltre 70mila. Per regolarne le condizioni di vendita la piattaforma ha inserito persino un’apposita nota nel suo regolamento che obbliga i venditori a specificare «di cosa è fatta la reliquia» e avverte che «se si tratta di resti umani non ne è consentita la vendita salvo che non si tratti di capelli».
Esistono vari tipi di reliquie:
- le più importanti sono quelle di prima classe, oggetti direttamente associati a Gesù Cristo, come la Sindone, parti della Santa Croce, chiodi della crocifissione, oppure resti biologici di santi, come ossa, capelli o sangue;
- alla seconda classe appartengono cose legate alla vita dei santi, come le loro vesti;
- le reliquie di terza classe sono invece solitamente dei piccoli pezzi di stoffa entrati in contatto con le reliquie di prima classe.
Sul web ve ne sono per tutte le tasche, si va da 57 dollari più spese di spedizione per una reliquia di santa Maria Goretti fino a 9.700 per un reliquiario del XIX secolo contenente quelli che dovrebbero essere capelli della Vergine Maria. Ma per qualche centinania di euro si possono acquistare reliquie della passione di Cristo, di san Francesco d’Assisi, di santa Chiara o di san Pio. La maggior parte sono accompagnate da antichi certificati agganciati a sigilli in ceralacca, indispensabili per provarne l’autenticità secondo un regolamento pontificio che risale al Concilio di Trento del 1545. Su eBay si trovano annunci di vendita di reliquie in tutte le lingue, ma una buona parte di questi oggetti si trova in Italia. I venditori, una volta contattati, specificano spesso che la spedizione verrà effettuata «direttamente dalla Città del Vaticano», per dare alla vendita quasi un alone di ufficialità. Peccato che le Poste Vaticane siano aperte a tutti e l’invio attraverso di loro non garantisca proprio nulla.
Quale sia la percentuale di falsi fra le reliquie in vendita non è quantificabile. Per padre Giuseppe Midilli, Direttore dell’Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma:
«Non esiste un registro che elenchi quelle riconosciute dal Vaticano attualmente in circolazione».
La sezione che gestisce le reliquie della Diocesi e le concede per la venerazione pubblica ad altre chiese in tutto il mondo. Questi oggetti sacri sono stati per centinaia di anni al centro di un fitto commercio prima fra prelati e aristocratici, poi fra antiquari e collezionisti. Falsificate e riprodotte sin da epoche remote, sono state per secoli ambite e ricercate. Innanzitutto perché possederle significava avere un contatto diretto con Dio, ma anche e soprattutto perché dava prestigio e danaro grazie ai fedeli che venivano (e vengono ancora) in pellegrinaggio a venerarle. «Al nostro ufficio arrivano richieste di concessione anche da parte di privati, – dice Padre Midilli – spesso fedeli devoti. La nostra risposta è sempre la stessa: le reliquie possono essere concesse solo per il culto pubblico».
Sono lontani i tempi in cui la Chiesa tollerava questo mercato che oggi è considerato sacrilego. Dal 1983 il Diritto Canonico ne vieta categoricamente la commercializzazione. Il canone 1190 al paragrafo uno afferma che
«è assolutamente illecito vendere le sacre reliquie»,
e al due aggiunge che
«non possono essere alienate validamente in nessun modo né essere trasferite in modo definitivo senza la licenza della Sede Apostolica».
Il Diritto Canonico però è valido solamente all’interno delle mura Vaticane e nell’ordinamento italiano non esiste alcuna norma che disciplini o vieti esplicitamente il commercio di reliquie, a meno che non si tratti di oggetti rubati.
«Sono 5180 i reliquiari trafugati tra il 1970 e il 2013 segnalati nella banca dati dell’Arma dei Carabinieri», spiega il capitano Francesco Provenza, comandante del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale di Monza. Più della metà dei furti di beni culturali in Italia avvengono nelle chiese. Negli ultimi tre anni sono stati 10859 gli oggetti religiosi rubati. «Il motivo è semplice, si tratta di strutture aperte al pubblico, prive spesso di sorveglianza, che possiedono opere preziose e facilmente occultabili, come ex voto e candelabri».
Secondo gli ultimi dati i colpi nei luoghi di culto italiani, pur rimanendo numerosi, sono in netto calo. Nel 2013 sono stati 288, contro i 500 del 2012 e i 398 del 2011. In linea con i numeri generali dei furti di beni culturali: dai 906 di tre anni fa, si è passati ai 519 dello scorso anno. Alla radice di questo crollo c’è la crisi economica che ha frenato gli investimenti in beni artistici, tanto nel mercato legale che in quello illegale.
Nel 2012 l’Arma dei Carabinieri, in collaborazione con il Mibac ed il Pontificio Consiglio della Cultura della Città del Vaticano, ha pubblicato il Manuale sulla tutela dei Beni culturali ecclesiastici per spingere le diocesi a dotarsi di sistemi di allarme nelle chiese e creare cataloghi fotografici dei loro beni. «Spesso l’assenza di un inventario preciso non permette neanche di quantificare l’entità dei beni rubati e di fornirne una descrizione utile per le indagini», racconta il comandante. Per questo ad esempio i carabinieri non sono ancora riusciti a capire a quali chiese lombarde appartengano alcune delle reliquie recuperate a marzo 2013 con l’operazione “Reliquia”. Quando i carabinieri di Monza hanno bloccato un trentenne incensurato milanese mentre alla Stazione Centrale affidava a un antiquario toscano una borsa contenente 57 reliquie rubate, fra cui alcune di sant’Agostino, sant’Ambrogio, oltre a un frammento del cilicio di san Carlo Borromeo, per un valore stimato di circa 30 mila euro. Gli oggetti sacri erano destinati a finire in vendita eBay e proprio dalla piattaforma online è partita l’inchiesta. I carabinieri infatti oltre a monitorare negozi d’antichità e mercati antiquari tengono sotto controllo anche le compravendite sul web. «Ormai una buona parte dei beni trafugati dalle chiese italiane finisce su internet», spiega il capitano. «I ladri, quasi sempre criminali comuni, senza particolari competenze, per liberarsi il prima possibile della refurtiva, mettono in vendita gli oggetti online subito dopo il furto, con tanto di descrizione e foto». Nel solo 2012 sono state oltre 10 mila le transazioni sulle quali sono state svolte indagini. «Nonostante eBay utilizzi avanzati sistemi di sicurezza per prevenire la vendita di oggetti vietati», chiariscono dall’ufficio stampa della piattaforma, «è possibile che alcuni sfuggano al controllo per una particolare astuzia da parte dei venditori nel presentarli», ma in caso di segnalazione la piattaforma «si attiva immediatamente per la rimozione e la repressione degli utenti che violano le regole». Ebay collabora con i carabinieri e fornisce loro informazioni sui sellers e buyers coinvolti in compravendite ritenute sospette.
«Tra gli acquirenti di reliquie vi sono persone di ogni tipo», racconta il capitano Provenza, «ci siamo imbattuti anche in un prete che probabilmente voleva acquistarle per la sua parrocchia». Altri sono collezionisti d’arte, altri ancora gente comune, convinta spesso che possedere questi oggetti permetta di ottenere più efficacemente l’intercessione del santo a cui sono connessi. Tutte queste persone possono trovarsi a rispondere del reato di ricettazione o nel migliore dei casi di “incauto acquisto”, che prevede oltre a una multa la possibilità del carcere fino a sei mesi. «Quando si comprano oggetti antichi ci vuole il buon senso di interrogarsi sulla loro origine», afferma il comandante. «Se si hanno dubbi ci si può rivolgere ai carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio che verificheranno se l’opera è segnalata nella loro banca dati».