Dacci oggi il nostro musical cristiano

Spettacolo e religione

In principio era il Verbo, e il verbo era “cantare”. Pensiamo infatti alla Chiesa degli esordi: niente microfono = uditorio addormentato. Non che col microfono… Vabbè, niente microfono quindi meglio cantare per farsi ascoltare meglio. E poi è più bella una melodia, anche molto semplice, che tutta una pappardella di parole in greco o latino, no? Quindi in sostanza in chiesa si canta fin da quando la chiesa fisicamente non c’era, ma non solo. Si fa anche teatro perché per un fedele è molto più semplice vedere come sono andate le cose, piuttosto che immaginarsele. È il caro vecchio dramma liturgico in lingua latina che risale almeno al X secolo dopo Cristo e che ha fatto un po’ da papà al teatro medievale.

Musica e teatro: vi ricorda qualcosa? Due cose, direte voi: l’opera e il musical, due forme teatrali piuttosto imparentate fra loro. La seconda in Italia tira poco, mentre negli Stati Uniti, dove è stata tenuta a battesimo, è parte integrante della cultura mainstream. Non c’è praticamente film, libro o persino cartone animato che non abbia la propria versione musical, ma è vero anche il contrario: spesso un celebre musical può diventare un film di altrettale successo (due esempi? The Rocky Horror Picture Show e Mamma mia!, quest’ultimo l’unico film in cui Pierce Brosnan si possa dire simpatico).

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Tornando al nostro iniziale discorso liturgico: quale migliore fonte per un musical del bestseller editoriale per eccellenza, la Bibbia? Un incontro sulla carta perfetto: da una parte una storia di comprovato successo, dall’altra una forma artistica che sembra quasi nata dentro ad una chiesa. E infatti tutti con la mente andranno giocoforza a Jesus Christ Superstar: prima opera rock con la voce di Ian Gillian (Deep Purple), le musiche di Andrew Lloyd Webber (vedi alla voce Cats) e le parole di Tim Rice; poi musical a Broadway e infine due volte film (1973 e 2000). Controverso già dal titolo, Jesus Christ Superstar è la proverbiale punta di un iceberg fatto da decine di titoli di ambientazione religiosa, spesso dedicati alla diffusione del messaggio cristiano per il tramite del palcoscenico. Ce n’è per tutti i gusti: la storia moraleggiante di ambientazione chiesastica Amen Corner (la reputazione di Margaret, pastore – donna – di una storefront church, ovvero la tipica chiesa americana situata in un vecchio negozio, viene messa in discussione a causa del ritorno del marito ribelle e ormai in fin di vita) o la commedia leggera Church Basement Ladies (la vita di quattro moderne perpetue di una chiesa del Minnesota); c’è la rappresentazione del Libro della Genesi (Children of Eden, produzione inglese mai sbarcata a Broadway) o della vita di Gesù ambientata in Georgia (Cotton Patch Gospel); ci sono poi musical dall’impronta rock in stile Jesus Christ Superstar come Godspell (basato sul Vangelo di Matteo) del quale è famosa la canzone Day by Day, finita anche in classifica negli anni ’70. E non mancano naturalmente le produzioni più seriose come King David (ancora testi di Tim Rice), o The Ten Commandments: The Musical, adattamento dell’omonimo musical francese con Val Kilmer (sì, il Batman di Batman Forever) nei panni di Mosè. Tutte produzioni che non hanno mai lambito le coste italiche dove si è cominciato a parlare un po’ più  di musical grazie al contributo al genere da parte di personaggi come Riccardo Cocciante e Lucio Dalla. Pure nell’ultimo periodo qualche timido tentativo è stato fatto: il recente Karol Wojtyla – La vera storia, opera musical del 2013 con le musiche di Noa e la regia di Duccio Forzano, ha sicuramente giocato un piccolo ruolo nel parlare di musical cristiano in un paese dove questo genere di rappresentazione avrebbe un mercato sicuro.

A giudicare dall’offerta italiana siamo invece ancora al livello di oratorio: Credo, recente produzione piemontese, è legata alle risorse della Comunità Cenacolo di Madre Elvira Petrozzi, mica a qualche grosso gruppo editoriale. Manca insomma da noi la zampata tipica della grossa industria, come negli Stati Uniti, che dirotti denaro e risorse artistiche dalla televisione (dove le fiction di argomento religioso ormai non si contano più) al teatro.

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Ma ovviamente è il portafogli che conta, quindi è probabile che il musical religioso in Italia rimanga ancora al livello di un’altra fetta di mercato importante, quella dell’oratorio. Tornando agli USA, infatti, non sono poche le case musicali che affittano o vendono musical alle chiese locali per rappresentazioni dilettantesche. La maggior parte delle proposte riguarda il periodo del Natale (One Bethlehem Night, The Gift, The Christmas Post), vera cornucopia di bambini abbandonati, litigi in famiglia e altre amenità ricondotte nell’alveo grazie al sentimento religioso. Case come Ed Kee’s Church Musicals informano gli acquirenti sul numero di cantanti richiesti dall’opera e permettono anche l’ascolto di alcuni brani, musicalmente parlando spesso a cavallo fra jazz e pop. Una vera e propria industria che dimostra quanto radicato sia il musical cristiano in America e non solo a livello dei grandi teatri, tanto da giustificare uno spassosissimo Altar Boyz del 2005. In questa premiata opera americana gli autori Gary Adler e Michael Patrick Walker si fanno beffe di due fenomeni tipicamente a stelle e strisce: quello delle boy band e quello del repertorio musicale contemporaneo legato a tematiche cristiane. Gli Altar Boyz del titolo sono infatti un gruppo di ragazzi dell’Ohio arrivati al termine del loro tour Raise the Praise (che si può tradurre con Innalza la Lode); e tutto il musical non è altro che un concerto nel concerto con i ragazzi impegnati in coreografie e musiche tipiche da boy band, alle quali sono associati testi di satireggiante contenuto religioso («Jesus called me on my cellphone», ovvero Gesù mi ha chiamato sul cellulare, cantano in The Calling). Forse piuttosto pepato per certi palati italiani che all’epoca non gradirono opere piuttosto provocatorie come Brian di Nazareth (Monty Python) e Born to be Abramo (Elio e le Storie Tese) ma davvero efficace anche come impianto drammaturgico.

Non è chiaro dunque se ci sarà mai un vero musical religioso italiano prodotto in pompa magna e se questa ipotetica opera potrà eventualmente influenzare il numero di seguaci del genere musical in Italia, dato il bacino di utenza cattolica del nostro Paese. In ogni caso la Bibbia e la vita di Gesù continueranno ad attrarre gli artisti più disparati, come ad esempio un Francesco Guccini che pare (occhio agli scherzi su Wikipedia gente!) abbia affermato: «Avrei voluto comporre una canzone su Gesù, ma non ci sono riuscito». Una canzone no, ma magari un giorno un intero musical sì, signor Guccini.

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