Sergio Marchionne e Fiat hanno realizzato il sogno americano di salire al 100% di Chrysler, ma il matrimonio è conveniente a livello di gruppo? Secondo gli analisti di Sanford C. Bernstein, includendo gli 8,7 miliardi di debiti pensionistici del marchio Usa, il valore complessivo del Lingotto si assesta a 28 miliardi, 4,3 volte il margine lordo. Un multiplo generoso rispetto alla media del settore, anche se il margine della sola Chrysler dovrebbe essere pari a 3 miliardi di dollari – su 7 complessivi – a fine 2013. C’è da dire che Fiat allo scorso settembre presentava un utile netto di 655 milioni, sostanzialmente grazie al contributo della controllata Usa, senza la quale la società presieduta da John Elkann avrebbe chiuso in rosso per 729 milioni. Chrysler, che si “sobbarcherà” 1,9 miliardi di dollari di dividendi straordinari per finanziare l’operazione, rimane la gallina dalle uova d’oro: nel 2013 ha chiuso con +9% in termini di vendite, record dal 2007.
La banca d’affari inglese Barclays, in un recente report sul settore automobilistico mondiale, ha stimato per il 2014 il rapporto ev/ebitda, ovvero tra capitalizzazione più debiti di un’impresa e il margine operativo lordo, a 2,5 volte per quanto riguarda i marchi europei, 5,6 volte per gli americani, 4,3 volte per i giapponesi e 6,6 volte per le case coreane. Seguendo questo metro di giudizio, il titolo più costoso è Hyundai (6x) mentre il più sottovalutato, escludendo Renault, è Peugeot (2,8x). Guardando alle Big Three, Ford è a quota 5,6x, General Motors si ferma a 3,3x.
I numeri, tuttavia, raccontano soltanto una parte della storia. L’indebitamento di Fiat-Chrysler salirà a quota 10 miliardi, con una spesa per interessi che per Nomura nel 2013 toccherà 1,7 miliardi. C’è da dire che la liquidità in casa Fiat non manca: 20,3 miliardi allo scorso settembre, a cui si aggiungono 9,3 miliardi di Chrysler, oltre a un cash flow operativo che, sempre nelle stime di Bernstein, salirà a 7 miliardi. Al netto del servizio del debito, oneroso per via del rating “junk”, “spazzatura” assegnatole da Fitch, S&P e Moody’s, secondo cui per ora non ci sarà alcun impatto dell’operazione sul merito di credito della casa Usa.
Il punto è che bisogna investire. Tanto per dare un termine di paragone, Audi da qui al 2018 ha stanziato 4,4 miliardi di euro l’anno. Stando al Sole 24 Ore, la casa torinese metterà invece sul piatto 9 miliardi complessivi solo per quest’anno. Per avere contezza della disponibilità di risorse del gruppo bisognerà attendere il piano industriale del prossimo aprile. Finora, al netto delle prese di profitto odierne, la Borsa ha premiato un accordo che non implica per ora un aumento di capitale. Operazione che per il Financial Times si concretizzerà attraverso un bond convertibile da 1,5 miliardi, in una seconda fase.