Cosa succede nei centri delle grandi città? Preda di speculatori edilizi accecati dal guadagno facile, urbanisti oliati da amministrazioni locali ammiccanti, specialisti del mattone senza scrupoli, agenzie immobiliari tentacolari, imprese edili voraci e affamate che vedono in ogni edificio semi-fatiscente (purché sia in un quartiere turistico) un hotel a 5 stelle, la sede di una banca o di una multinazionale e quindi una nuova occasione di guadagno. I centri storici (o i quartieri in prossimità di essi o all’interno di grandi città) sono divenuti da più di un ventennio l’obiettivo più ambito della speculazione immobiliare. In essi è avvenuta negli anni un’invasione di capitali e di masse di miliardari che hanno fatto schizzare i prezzi degli alloggi con il risultato che gli antichi abitanti di questi quartieri sono stati costretti (spesso con la forza o con deterrenti economici dissuasivi) a sloggiare più in là, di solito in periferia, per far avanzare progetti milionari in spregio alla disoccupazione e ai quartieri abbandonati. Questi progetti, che vengono ufficialmente identificati come progetti di «riqualificazione urbana», provocano disagi sociali enormi con spostamenti di fasce di popolazioni meno abbienti verso le periferie per far posto a shopping mall, hotel di lusso, boulevards della moda e negozi griffati.
Gentrificazione e trasformazione neo-liberale
Frammentazione dello spazio, moltiplicazione dei volumi, abbattimento di edifici storici e proliferazione inconsulta di hotel di lusso, shopping malls, banche e sedi d’imprese commerciali. La trasformazione neo-liberale che ha spazzato via l’economia nel corso degli anni ’90 e il conseguente processo di globalizzazione hanno provocato una trasformazione profonda anche del tessuto urbano delle città. A causa di questa nuova struttura economica – centrata non sulle attività commerciali e artigianali ma principalmente sulla finanza – lo spazio urbano, soprattutto quello dei grandi centri storici e delle capitali, è diventato uno strumento per l’accumulazione di capitale, per la speculazione edilizia, per la moltiplicazione dei guadagni. Le città non sono più i luoghi in cui gli abitanti possono vivere ma diventano vetrine grazie alle quali le multinazionali e i poteri possono gestire gli spazi pubblici. La pressione economica sui vecchi quartieri delle capitali è dunque enorme. È il caso del complesso della Esso-Häuser ad Amburgo che ospitava una settantina di famiglie, poi trasferite in altri luoghi di accoglienza sparsi nella città.
Il pretesto è sempre lo stesso: a causa di una presunta inagibilità dei luoghi e di rischi strutturali, gli immobili vengono abbattuti e poi ricostruiti. Stessa cosa è avvenuta ad esempio a Ayazma, alla periferia d’Istanbul. Quasi bidonville nel 2002, con l’inaugurazione del moderno Stadio Olimpico Atatürk il luogo da “no man’s land” diventa un obiettivo privilegiato per gli speculatori e i promotori immobiliari. Gli abitanti vengono cacciati dalla polizia e dai bulldozer e installati altrove, lontano, per far posto ai lussuosi progetti immobiliari del promotore Ali Ağaoğlu, ora sotto inchiesta per il trasferimenti di terreni di un valore di diversi miliardi di dollari a prezzi stracciati, tangenti a vantaggio di diversi uomini d’affari turchi in cambio d’informazioni preziose che rendevano possibile l’acquisto facile di terreni e l’edificazione selvaggia d’immobili.
Burgos e “Effetto Gamonal”
Un tipico esempio di come questo fenomeno provochi enormi disagi sociali e dissenso diffuso è quello che è avvenuto nel quartiere Gamonal, a Burgos, in Spagna. Già il 18 Agosto del 2005 c’erano stati scontri tra la polizia e gli abitanti del quartiere per l’approvazione di un progetto che prevedeva la costruzione di un parcheggio sotterraneo in una delle principali arterie del quartiere, la Eladio Perlado. Di fronte all’inaspettata pressione della piazza, il progetto è stato immediatamente accantonato. In seguito, il Tribunale di Castilla y León avrebbe giudicato il progetto «illegale» in quanto concepito mediante un grave abuso di diritto. Ma a rimettere fuoco alle polveri a Burgos è stato il sindaco attuale, Javier Lacalle, del Partito Popular, che ha deciso di rimodellare la Calle Victoria per mezzo di un nuovo e fiammante progetto urbanistico (del costo di 8 milioni di euro) che intende trasformare la calle Victoria in un “boulevard” e prevede la costruzione di un altro parcheggio sotterraneo. Quella che era una semplice manifestazione pacifica contro il progetto, a causa della reazione violenta della polizia che ha cercato di disperdere i manifestanti con la forza, si è trasformata in una vera e propria guerriglia urbana con migliaia di poliziotti in assetto antisommossa e la zona appestata da lacrimogeni e circondata da camionette della polizia. Mentre però il governo cercava disperatamente di evidenziare la presenza di «gruppi violenti» provenienti da altre regioni della Spagna, la Federación de Asociaciones de Vecinos ha opportunamente denunciato non solo gli indebitamenti degli abitanti del quartiere ma anche la crescente disoccupazione giovanile e un’amministrazione che accumula debiti per 450 milioni di euro. Necessario dunque in un contesto simile approvare un progetto tanto costoso? Di fronte alla violenza della reazione è partita immediatamente la solidarietà verso i manifestanti e l’ «effetto Gamonal» ha generato manifestazioni di sostegno a Madrid, Barcellona e in decine di altre città spagnole.
Amburgo, la resistenza degli abitanti del quartiere Sankt Pauli
Anche il centro di Amburgo è diventato da settimane il teatro di violente battaglie. Nel cuore della locomotiva tedesca s’annida infatti una contraddizione. Circa 100.000 persone sono tenute sotto stretta osservazione, o sarebbe meglio dire in ostaggio, all’interno di una zona rossa che delimita quattro tra i più popolosi quartieri della città. Nel perimetro della Gefahrengebiet, o «zona di pericolo», chiunque può essere fermato, perquisito, portato in questura senza alcun mandato. In questa zona di non diritto, la democrazia è stata sospesa. Ai fotografi può essere sequestrata la macchina fotografica, ai giornalisti ritirato il tesserino, anche le mamme coi carrozzini vengono fermate ed identificate, la polizia fa controlli a tappeto senza intoppi e cavilli burocratici usando una violenza inaudita contro i propri concittadini. In assetto antisommossa e armata di idranti, lacrimogeni, spray al peperoncino e camionette alla stregua di quelli che abbiamo visto all’opera durante la repressione a Gezi Park, le forze di polizia tedesche hano instaurato un vero e proprio coprifuoco, che scatta dalle 6 del pomeriggio e dura fino alle 6 del mattino. L’obiettivo è quello di reprimere violentemente le proteste di abitanti del quartiere che si oppongono allo sgombero di uno storico centro sociale, il Rota Flore, attivo dal 1984 e di diversi immobili in cui vivono migranti provenienti da Lampedusa. In ballo, c’è un’imponente progetto di “riqualificazione urbana” dello storico quartiere Sankt Pauli dove dovrebbero essere abbattuti centodieci appartamenti. Moneta sonante dunque. Ma la repressione serve a poco. In altre città tedesche, secondo un noto fenomeno di emulazione che oggi potremmo benissimo rinominare ‘EffettoGamonal’, ci sono state manifestazioni di sostegno alle proteste : Berlino, Dresda, Francoforte. Ed il centro di Amburgo è diventato come quello d’Istanbul : off limits. Anche qui, come intorno alla piazza Taksim, le autorità premono per sgomberare, abbattere e sventrare. In ballo ci sono un sacco di soldi, interessi miliardari. Nella zona saranno costruiti nuovi palazzi di lusso che trasformeranno tutto il quartiere, provocando un aumento esponenziale degli affitti e costringendo gli abitanti a migrare altrove, magari in periferia.
Gezi Parkı : quando un progetto urbano genera un’insurrezione nazionale
Prima dello scoppio delle vigorose proteste che hanno infiammato tutta la Turchia, pochi sapevano dove si trovasse Gezi Parkı, un piccolo parco composto da 606 alberi, uno degli ultimi parchi sopravvissuti nel cuore della parte europea d’Istanbul. Per circa 370 anni – ricordano alcuni anziani armeni fuggiti dopo la diaspora del 1915-18 – una parte di questo parco fu adibito a cimitero armeno, il cimitero di Pangaltı, che fu il più grande cimitero non-musulmano d’Istanbul. Verso la fine del XVII secolo, all’epoca del sultano Abdulhamit I, i lavori per la costruzione di una caserma ottomana diedero inizio. La caserma fu chiamata Halil Paşa Topçu Kışlası e fu completata nel 1806 sotto la reggenza del sultano Selim III. Nel 1909 fu danneggiata e trasformata nel 1921 in uno stadio, lo stadio di Taksim, il primo stadio di calcio di tutta la Turchia. La prima partita ufficiale della nazionale della Repubblica Turca fresca di fondazione fu Turchia-Romania, giocata nel 1923. In seguito lo stadio sarà utilizzato dalle grandi squadre della capitale: Beşiktaş, Galatasaray, Fenerbahçe. Alla fine degli anni ’30 la caserma fu demolita. Più tardi, per voler di Mustafa Kemal Atatürk e su progetto dell’urbanista francese Henri Proust, fu creato il Gezi Parkı Inönü che oggi rappresenta uno degli ultimi polmoni verdi presente nella parte europea della città. Dopo il 27 Maggio 2013, quando alcune decine di ambientalisti hanno deciso di protestare pacificamente contro l’abbattimento degli alberi memoria del quartiere di Taksim, di fronte alla violenza e alla repressione brutale della polizia, il Gezi Parkı da semplice parco cittadino s’è trasformato nel cuore pulsante della protesta del movimento #OccupyGezi, il più vasto movimento anti-Akp ed uno dei più vasti movimenti di contestazione di tutta la storia turca In precendenza scontri c’erano stati per proteggere da sicura demolizione un gioiello della Turchia, la stazione ferroviaria di epoca ottomana Haydarpaşa, costruita nel 20esimo secolo dagli architetti tedeschi Otto Ritter e Helmuth Cuno. Anche questa magnifica stazione, la più grande di Turchia, era minacciata di abbattimento nell’ambito di un progetto di “riqualificazione urbana”. Gli esempi sono tantissimi ma è evidente che dietro i progetti di demolizione ci sono enormi interessi di grandi società finanziarie che mirano ad accapparrarsi sempre più vaste proprietà immobiliari.
Il centro storico di Mosca minacciato di scomparire
I bulldozer si muovono celermente anche nella capitale russa dove promotori senza scrupoli, con la connivenza di amministrazioni locali compiacenti, stanno distruggendo un vero e proprio patrimonio storico-artistico, quello degli edifici color pastello di epoca zarista, per costruire hotel e sedi di multinazionali e banche. Interi quartieri sono minacciati di abbattimento, mentre i lavori distruggono le tubature e minacciano di allagamento altri quartieri. In realtà il monito era stato lanciato già da diversi geologi: il sottosuolo di Mosca conta almeno 300 piccoli corsi d’acqua e diverse grotte formate da roccia friabile in cui vi sono diverse costruzioni militari storiche, dai bunker dell’epoca di Stalin a monasteri che conservano icone d’inestimabile valore. La distruzione delle tubature e la demolizione di antichi edifici minaccia anche quest’altro patrimonio sotterraneo. Il Coordinamento per la difesa di Mosca parla di almeno 1.500 case ed edifici di epoca zarista che potrebbero sparire nei prossimi mesi, vittime di un’urbanizzazione all’americana. Quello che non ha potuto la ripianificazione urbana d’epoca sovietica ha potuto invece l’opera dell’ex sindaco di Mosca Yuri Lujkov, che in quasi vent’anni di potere ha distrutto un patrimonio artistico d’indestimabile valore. E la distruzione continua ancora oggi. Nulla sembra fermare la cupidigia di promotori, imprese edili ed agenzie immobiliari.
Segregazione spaziale: la nascita delle Città Globali
Nel 2001 nel suo libro Le Città Globali, Saskia Sassen, sociologa ed economista olandese, aveva lanciato l’allarme. Nell’era della produzione globale di beni e servizi, le grandi città divengono il luogo di accentramento e coordinamento di attività economiche su scala globale. La città finanziarizzata, denunciava la Sassen, produce un accrescimento delle diseguaglianze. A questo s’aggiunge il fenomeno di frazionamento del territorio tra città globale, che possiede un centro finanziario, e le altre zone urbane, abbandonate a sé stesse. Così, spiega Sassen, il processo di segregazione spaziale diviene sempre più massiccio a mano a mano che si sale nella distribuzione dei salari e si prende in considerazione il luogo di lavoro.
La concentrazione degli alti stipendi prodotti dalla finanziarizzazione causa la ghettizzazione residenziale dei più benestanti. La proliferazione delle città globali va di pari passo con un aumento delle ineguaglianze all’interno delle città. La cosiddetta globalizzazione, caratterizzata da scambi, fluidità di capitali, impiantaazione di multinazionali nel mondo intero, è secondo la Sassien all’origine dunque di due capovolgimenti maggiori: da un alto gli agglomerati industriali si delocalizzano su tutto il globo impiantandosi nei paesi in via di sviluppo dove i salari sono più bassi, dall’altro le funzioni centrali di direzione e “comando” delle grandi multinazionali si concentrano in alcune città che diventano, grazie a politiche permissive e amminstrazioni conniventi e vendute, città globali. Nei centri di queste città globali gli investitori privati e i capitali affluiscono velocemente accrescendo il noto fenomeno di gentrificazione per il quale solo chi è benestante può vivere nel centro di una città. Tutti gli altri, i dimenticati, affolleranno dickensianamente le periferie della città globali.