Un’altra domanda decisiva su tutta la vicenda, oltre all’ingresso del metodo agli Spedali di Brescia , si concretizza nel momento dell’autorizzazione. Il cavillo che sta diventando un paravento anche per chi, come la trasmissione “Le Iene”, ha fatto vera e propria pubblicità a Vannoni & Co., sta nelle maglie larghe del decreto legislativo del 24 aprile 2006 sulla classificazione delle terapie cellulari e nella pratica dell’autocertificazione usata e abusata.
Il decreto in sostanza stabilisce che la terapia cellulare somatica sia ricompresa tra i medicinali per terapie avanzate e che debba soddisfare criteri di sicurezza e produzione, stabiliti nel decreto ministeriale del successivo 5 dicembre. C’è però un’eccezione: i medicinali per terapie avanzate preparati su base non ripetitiva (come parrebbe essere la terapia Vannoni). Per questo tipo di terapie è l’ente regolatorio dello Stato membro che deve emanare delle norme. In Italia, l’Aifa non le ha ancora preparate e quindi il 5 aprile 2011 l’allora presidente dell’agenzia, Guido Rasi, scrive una nota in cui sostanzialmente fa rientrare il caso Stamina in quello più generale, e autorizza il trattamento.
Il 21 marzo del 2013 in Consiglio dei Ministri viene dato il via libera a un decreto-legge dell’allora ministro della Salute Balduzzi che autorizza la prosecuzione dei trattamenti con cellule staminali «non conformi alla normativa vigente, per i pazienti per i quali sono stati già avviati alla data di entrata in vigore del decreto (DL 25 marzo 2013, n. 24) e che equipara il trattamento alla normativa sui trapianti. Qui ha inizio il grande disguido di Stamina all’interno del nostro sistema legislativo. Il 15 maggio successivo la Camera dei Deputati approva un emendamento al decreto Balduzzi prevedendo la sperimentazione del metodo sotto la supervisione di AIFA e Istituto Superiore della Sanità. Allo stesso modo, otto giorni dopo approva anche il Senato con lo stanziamento di 3 milioni di euro per la sperimentazione convertendo il decreto in legge.
Bisognerà aspettare il 10 ottobre 2013, giorno in cui il ministro della Salute Beatrice Lorenzin annuncia ufficialmente che la sperimentazione non si farà perché il metodo presentato è gravemente insufficiente dal punto di vista scientifico. In una conferenza stampa successiva Vannoni promette cartelle cliniche per mostrare i miglioramenti dei pazienti, ma si vedono solo video dei malati, mentre parte il ricorso al TAR: la valutazione del metodo è da rifare, il comitato nominato da Lorenzin non è imparziale. Il TAR dà ragione a Vannoni e il 30 dicembre il ministro nomina il nuovo comitato, ma le carte bollate c’è da giurarci non sono finite.
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