Job Act. Una legge per il lavoro. Una denominazione breve, concisa, moderna, internazionale. La scelta dell’inglese per la nuova legge sul lavoro non è casuale, è un simbolo di semplicità e trasferibilità. Con un evidente rimando alle politiche d’oltreoceano: nel 2011 il presidente americano Barack Obama aveva presentato in un discorso trasmesso a reti unificate il suo American Jobs Act.
Che l’esempio americano costituisca un modello per il Job Act italiano non solo a livello nominalistico, ma di visione e approccio, resta ancora incerto. Il contratto stabile-flessibile di cui si discute in queste settimane sembra richiamare il concetto di employment at will americano. Ma cosa significa employment at will? La traduzione sovente utilizzata per indicare tale tipologia di rapporto di lavoro è “licenziamento ad nutum”. Osservando la traduzione, tuttavia, si nota immediatamente come il focus concettuale della resa italiana sia opposto rispetto all’originale americano, ponendo l’accento non più sul rapporto di lavoro (employment) quanto sulla modalità di licenziamento, ed utilizzando peraltro una locuzione latina, tanto lontana dalla nostra cultura è l’idea di un rapporto di lavoro nel quale le decisioni siano rimesse alla esclusiva responsabilità del datore.
In termini di visione, lo scarto culturale tra Italia e Stati Uniti è notevole. Nel discorso del 2011 di Barack Obama e nelle proposte di legge relative all’American Jobs Act non si parla mai di tipologie contrattuali, al centro invece del dibattito italiano. Le misure proposte da Obama erano di stampo economico piuttosto che normativo, non toccavano aspetti formali, ma proponevano sgravi e tagli da un lato, incentivi e investimenti dall’altro. L’American Jobs Act era un piano da 447 miliardi di dollari che avrebbe introdotto una riduzione della tassazione sul lavoro, tax holiday in caso di nuove assunzioni o di incrementi retributivi, incentivi all’assunzione di determinate categorie di lavoratori quali i disoccupati di lungo periodo, un programma, il Bridge to work, di sostegno per il reinserimento, un prolungamento dei sussidi di disoccupazione.
L’American Jobs Act, però, non è divenuto legge. Obama ha tentato di “spacchettarlo” in una serie di provvedimenti distinti, ma il tentativo è stato sinora comunque fallimentare. Forse un intervento troppo invasivo per un Paese come gli Stati Uniti. O forse troppo limitato in termini di visione se si guarda invece al provvedimento introdotto nel 2012 col nome di JOBS Act con consenso bipartisan e dal taglio innovativo.
JOBS Act, maiuscolo, è un acronimo: Jumpstart Our Business Startups Act, ma non è una coincidenza che vada a formare la parola jobs. Il provvedimento mira a promuovere lo sviluppo di startup, semplificando una serie di procedure per le imprese, facilitando il reperimento di fondi e il crowdfunding (infografica da Forbes). Offre una serie di agevolazioni alle cosiddette emerging growth companies (ovvero “imprese emergenti in crescita”), definite come quelle imprese con un fatturato lordo inferiore a un miliardo di dollari nell’ultimo anno fiscale. L’occupazione, anche se non ne costituisce apparentemente il focus, è invero un obiettivo chiave del provvedimento: il titolo I mira a riaprire i mercati di capitali americani per le imprese emergenti, il titolo II a facilitare l’accesso ai capitali per imprese che creano occupazione (Access to capital for job creators), il titolo III riguarda il crowdfunding, il titolo IV le piccole imprese, il titolo V i temi della flessibilità e della crescita. Anche se titolo II ha trovato piena applicazione solamente nel settembre 2013 mentre il titolo III è ancora in attesa di attuazione da parte della Securities and Exchange Commission (Sec), la strada è tracciata e già si registrano i primi effetti positivi delle agevolazioni nell’accesso al crowdfunding facendo leva sulle possibilità messe a disposizione dalla rete per le nuove micro e piccole imprese.
Tanto l’American Jobs Act che il JOBS Act costituiscono esempi interessanti per il caso italiano. Sicuramente mostrano una ampiezza di vedute sconosciuta in Italia, un modo di affrontare le criticità del mercato del lavoro in maniera concreta, pratica, non formalista e con un approccio di ampio respiro che può giovare al dibattito in corso nel nostro Paese.
*ADAPT Research fellow