Viva la FifaJuve-Roma, prima e dopo Turone

Una rivalità iniziata nel 1930

C’è un episodio che spiega cos’è Juve Roma. Lo ha raccontato tempo fa al “Corriere della Sera” Sergio Brio, che con la maglia bianconera segnò un gol contestatissimo ai giallorossi nel 1983: «Quella vittoria all’ Olimpico non bastò per strappare lo scudetto alla Roma. Giampiero Galeazzi mi stava intervistando a bordo campo quando si avvicinò un poliziotto con un cane lupo. Non so bene come fu possibile, ma mi presi un gran morso alla coscia. Negli spogliatoi mi fecero l’ antirabbica, ma i romanisti erano preoccupati per il cane. Stai a vedere – dicevano – che è morto avvelenato».

La rivalità tra la “Vecchia Signora” e la “Maggica” era scoppiata due anni prima, per colpa di un scudetto che ballava sui centimetri di un fuorigioco che poi è durato trent’anni. Scoppiata, sì. Rimasta sotto traccia per decenni, il gol annullato a Ramon Turone nel 1981 servì a fare da detonatore a un odio nato 50 anni prima tra la squadra ricca del nord e quella del popolino romano, che per anni si sono scambiati dispetti e vendette sportive. Possiamo quasi dire che esiste uno Juve-Roma prima e uno dopo Turone.

Nel 1930, i bianconeri sono già una superpotenza del calcio italiano. La squadra è l’ossatura della Nazionale che di lì a poco vincerà i primi due Mondiali della storia azzurra, dal portiere Combi all’oriundo Orsi. Nata su una panchina torinese ad opera di studenti del liceo classico “D’Azeglio” nel 1897, di proprietà della famiglia Agnelli già dagli anni Venti, è la squadra dell’élite piemontese. La Roma gioca al testaccio, quartiere popolare della capitale, ma ha natali “alti”. A volerne la fondazione fu l’onorevole Italo Foschi, che propose di fondere tre società sportive per avere un club in grado di contrapporsi allo strapotere calcistico delle squadre del nord Italia. Per attirare però i tifosi, l’onorevole decise di fare ricorso ai simboli della città: il giallo e il rosso, colori del gonfalone del Campidoglio, divennero quelli delle maglie della Roma. Una scelta contrapposta a quella della Lazio, nata nel 1900, che si ispirava a un mito di Olimpia legato più agli ambienti acculturati che potessero comprenderlo e quindi lontano dalle masse.

 

Al Testaccio la Roma non perde mai. Il 12 gennaio del 1930 la Juve va nella capitale con poche speranze. I bianconeri sono allenati dallo scozzese Aitken, fissato con la preparazione fisico e con il metodo di gioco detto del “sistema” che alla Juve non piace e che è causa di un campionato così così nonostante l’ossatura azzurra. Anche la Roma schiera un futuro campione del mondo come Ferraris IV, ma a fare la differenza è il bianconero Zizì Cevenini, terzo della dinastia di una famiglia dedita al football. Cevenini è in giornata di grazia e nonostante i 35 anni di età affonda la Roma: finisce 2-3. Il Testaccio è violato, la Juve diventa un nemico. Tanto che i giallorossi vogliono vendicarsi. L’anno dopo i bianconeri stanno per inaugurare il “Quinquennio”, ovvero i 5 scudetti consecutivi mai più vinti da nessuno in Italia. Il 15 marzo del 1931 non c’è più Cevenini. Dall’Argentina è però arrivato un altro argentino. Si chiama Renato Cesarini e spesso risolve le partite segnando negli ultimi minuti di gara, tanto che i giornalisti sportivi gli “dedicheranno” l’omonima zona, quella che nelle loro cronache simboleggia la parte finale di goni partita. La Roma è seconda in classifica dietro i bianconeri e non può fallire, scottata dall’anno prima. Finisce 5-0, segna anche il grande Fulvio Bernardini, talmente grande che darà il nome al centro tecnico della Roma a Trigoria. La vittoria ispirerà a Mario Bonnard un film, chiamato proprio “Cinque a zero”, nel quale (molto prima di “L’Allenatore del pallone” di Lino Banfi) alcuni giocatori romanisti faranno da comparse.

Mentre la Juve costruisce il mito del Quinquennio, la Roma perde il campo del Testaccio. Sono gli anni in cui il regime fascista capisce che può sfruttare il calcio per le masse, nonostante Mussolini in realtà non amasse questo sport preferendolo a pugilato e motori. I giallorossi giocano nello Stadio Nazionale Fascista, che dopo la caduta del regime diventerà il Flaminio, e nel 1942 dominano il campionato grazie al bomber Amadei. A fine anno sarà il primo scudetto per la capitale, ma davanti a 33mila spettatori la coppia di difesa bianconera Foni-Rava non fa passare nemmeno l’ossigeno. Finisce 0-2. La Seconda guerra mondiale blocca il calcio e taglia le gambe alla Roma, che nel 1950 arranca in campionato, mentre la Juve si è già ripresa lo scudetto. L’8 ottobre 1950 a Torino finisce 7-2. La Roma si vendica 3-0 al ritorno, impedendo alla Juve di vincere sul filo di lana un tricolore che va al Milan. I bianconeri se la ridono, perché a fine stagione i giallorossi finiscono in serie B per 1 solo punto.

La Juve si riprenderà idealmente quello scudetto nel 1973, proprio alle spese di Roma e Milan. I rossoneri sono tornati in Italia con le gambe dilaniate dalla “Battaglia di Salonicco”, che con le sue barricate ha permesso alla squadra di Nereo Rocco di vincere la Coppa delle Coppe contro il Leeds, altro che calcio totale di Arrigo Sacchi. Primo in classifica, il Milan ha l’ultimo turno a Verona, che lotta per la salvezza. Per questo, ha chiesto ma non ha ottenuto un rinvio della gara. La Juventus è seconda in classifica con un punto in meno e ha una trasferta ancora più difficile: Roma. I bianconeri devono ancora giocare la propria finale, quella di Coppa Campioni contro l’Ajax di Cruijff. La Roma ha cambiato di nuovo casa e gioca all’Olimpico. Il 20 maggio sugli spalti c’è anche il presidente della Repubblica, Giovanni Leone. I giallorossi vogliono fare bella figura e vanno in vantaggio con Spadoni, dominando e sfiorando il 2-0 più volte. Gianpiero Boniperti non è più bomber della Juve. Ora fa il presidente e c’è bisogno di lui nell’intervallo. Dalla pancia dell’Olimpico riemerge una Juve più aggressiva e con in attacco Altafini. L’oriundo cerca il suo gol in serie A numero 200: lo troverà. A tre minuti dalla fine Antonello Cuccureddu insacca con una gran botta: 2-1. Il Milan perde 5-3: è la “Fatal Verona”, Juve campione d’Italia, Roma sconfitta davanti a Leone.

Il 10 maggio 1981 la storia del duello è destinata a cambiare. In peggio. La Juve è in testa con 39 punti, segue la Roma con 38. Mancano tre giornate alla fine. A Torino mancano Bettega e Tardelli, ma non Falcao. Partita nervosa, tosta. La Roma del “Barone” Liedholm gioca a zona; Trapattoni dall’altra parte predispone marcature personalizzate: Gentile su Pruzzo, Cabrini su Conti, Prandelli su Falcao, mentre Furino deve occuparsi di Di Bartolomei. Anche Brady, che di solito ispira il gioco, deve controllare a vista Ancelotti. L’arbitro Bergamo ha la mano attaccata al taschino e distribuisce gialli per evitare il rosso che scateni polemiche infinite. Arriverà tutto lo stesso. Furino viene espulso. Al 74’ minuto, Ramon Turone segna in tuffo. La Roma esulta, Cabrini e Gentile alzano il braccio per chiamare il fuorigioco, che il guardalinee segnala. Bergamo non assegna il gol, finisce 0-0, a fine anno la Juve vince il campionato e si apre la seconda parte di una rivalità infinita.

Roma-Juve passa da scontro di classe e vendetta per le sconfitte inflitte a vicenda a odio per quei centimetri incriminati. Il presidente giallorosso Dino Viola è furioso, parla di millimetri che fanno la storia. In Italia le moviole si scatenano e solo dopo anni l’esperto Rai Carlo Sassi scoprirà che il fuorigioco era giusto, di 10 centimetri. Nel frattempo, la rivalità è incontrollata.Giampiero Boniperti regala a Viola un righello, il presidente romanista lo respinge al mittente: «Serve più a un geometra come lei che a un ingegnere come me». Il 25 maggio 1983 Roma scende in piazza per festeggiare la vittoria dell’ Amburgo in finale di Coppa Campioni contro la Juve, che però aveva battuto i giallorossi a Roma con il gol di Brio di cui sopra. La Roma perde la Coppa Campioni nel 1984: juventini in strada a gustarsi la vendetta.

Sono gli anni del dopo Turone. Una discesa verso l’odio più profondo. Il 15 gennaio 1995, a Torino, un guardalinee ostacola involontariamente Aldair mentre sta battendo una rimessa laterale; segna Ravanelli e le polemiche infuriano. Poi arrivano Zeman, i suoi sospetti sulla muscolatura di del Piero e Ravanelli, «il calcio deve uscire dalle farmacie». Si pensa che lo scontro sia ormai solo fuori dal campo, ma ci pensano Nakata, Totti, Capello e Liechesteiner a riportarlo lì, in rigoroso ordine. Nel 2001, con la Roma sotto di 2 gol a Torino nell’anno del terzo scudetto, ci pensa il giapponese a riaprire i giochi. Due giorni prima, la corte federale aveva dato il via agli extracomunitari. Nel 2004 la Juve perde 4-0 all’Olimpico. Totti fa il segno del 4 e del tutti a casa a Tudor, ispirando magliette e perfino banconote. La allena Fabio Capello, quello del non allenerò mai la Juve. Nel 2005, Capello allena la Juve e diventa non gradito a Roma, come Paolo Rossi in Brasile nel 1982. 

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L’ultimo capitolo della polemica infinita è il 22 aprile 2012: la Roma prende 4 gol a Torino e Liechtsteiner tira fuori il gesto del 4. Ma non è solo questo, Juve-Roma. Perché è la partita del primo gol allo Juventus Stadium di Alex Del Piero, o del gran gol da fuori area di Totti nel 2013. La partita degli sfottò sugli spalti, come quel meraviglioso striscione romanista “Annatelo Appiah” dedicato al ghanese della Juve, o al bianconero “Magno Lamela e poi Gago”. Juve-Roma è la storia del calcio italiano, nel bene e nel male.

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