Fino a qualche anno fa, le sale conferenza del Marriott Hotel di Kendall Square, a Boston, giusto attraversata la strada davanti al MIT, erano colme di venture capitalist votati a risolvere il problema del cambiamento globale finanziando startup che proponevano innovative tecnologie per celle solari e biocombustibili. Ricordo John Doerr, della Kleiner Perkins, che si struggeva parlando dell’importanza di finanziare nella tecnologia mirata a fermare il riscaldamento globale.
Queste stesse sale conferenza erano ben più fredde quest’anno, durante la conferenza annuale del MIT Venture Capital. Le startup energetiche, di fatto, sono state paragonate letteralmente a dei casi di beneficenza.
Negli ultimi anni, i finanziamenti verso nuove società energetiche sono andati diminuendo o sono passati ad aziende con traguardi più modesti, quali l’analisi di dati per abbattere le bollette elettriche. I venture capitalist sono rimasti scottati dalla bancarotta o dall’acquisizione a prezzi stracciati di diverse aziende che operano nel settore del solare e delle batterie (vedi “For Energy Startups, a Glass Half Full or Empty?” e “La A123 Systems avvia l’istanza di fallimento”).
Alla conferenza ho appreso che la Will and Jada Smith Foundation, assieme a quattro altre fondazioni, stanno finanziando uno sforzo mirato a sviluppare una nuova tipologia di startup energetiche da finanziare – trattandole come opere di beneficenza che nessun normale finanziatore approccerebbe.
E’ emerso che nel codice delle tasse esiste un approvvigionamento per cui gli investimenti nelle startup energetiche possono essere considerati delle opere di beneficenza – anche se questi investimenti, nel lungo termine, potrebbero portare a grandi ritorni di investimento. L’appiglio? Le startup devono essere quelle più rischiose per i finanziatori ordinari.
Di questi tempi, questo è un requisito sempre più facile da incontrare con diverse aziende energetiche. I venture capitalist sono stanchi delle startup che richiedono grandi investimenti e più di dieci anni per portare a dei frutti. Le fondazioni private, però, non temono di dover aspettare e sono ben abituate a elargire grandi quantità di denaro.
Negli Stati Uniti, le fondazioni private esentasse forniscono fondi per un totale di 50 miliardi di dollari ogni anno – una mossa del genere potrebbe aiutare notevolmente le startup energetiche. Le donazioni fanno parte di uno dei requisiti di queste fondazioni, per cui ogni anno devono donare almeno il cinque percento dei loro fondi a cause di beneficenza. La fondazione degli Smith sta provvedendo a fornire il denaro per una nuova organizzazione – denominata PRIME – che sta aiutando le fondazioni private a trarre vantaggio da una parte del sistema fiscale, aiutandole a investire nelle startup con dei finanziamenti che verranno considerati una parte del cinque percento che devono devolvere ogni anno.
Stando a Sarah Kearney, direttrice esecutiva di PRIME, le fondazioni private possono effettuare investimenti, e avere persino dei grandi ritorni di investimento, e nonostante ciò potranno considerare tali investimenti una forma di beneficienza, fintanto che due requisiti verranno rispettati.
Il primo requisito è che le startup perseguano un ruolo filantropico. “Il progresso scientifico” conta come filantropia. Anche l’intervento in risposta al cambiamento climatico e il contributo a rispondere ai bisogni energetici dei paesi poveri contano.
Il secondo requisito è che i finanziatori ordinari non tocchino queste startup. Le fondazioni private non sono solite sfruttare spesso questa opportunità. Uno dei motivi è che i team di persone responsabili dei finanziamenti non sanno come investire i fondi a disposizione. Un altro motivo è il rischio che l’IRS (Internal Revenue Service) non accolga questi investimenti come forma di concessione, per cui una sua conferma potrebbe arrivare a richiedere un anno, spiega Kearney. Si tratta di un’attesa lunga per una startup in cerca di fondi con cui tirare avanti.
PRIME è concepita per agire da intermediario che si assume il rischio e dispone dell’esperienza necessaria per effettuare investimenti. Attualmente, si sta registrando come organizzazione di beneficenza presso l’IRS, per cui le fondazioni potranno effettuare normali donazioni a essa, sapendo che questi fondi conteranno come parte di quel cinque percento annuo previsto dal regolamento.
PRIME potrà quindi investire quel denaro in startup che i suoi esperti identificheranno come facenti parte della categoria delle opere pie. L’organizzazione è ancora a uno stadio iniziale, avendo raccolto appena 180,000 dollari in fondi seed, e sta occupandosi di raccogliere fondi per i suoi primi investimenti. Gran parte del lavoro iniziale è opera di “benevole concessioni” da parte dei venture capitalist del settore energetico che desiderano vedere maggiori quantità di denaro indirizzate verso compagnie energetiche.
Matthew Nordan, un vice presidente presso la società di venture Venrock e uno dei venture capitalist più interessati al settore energetico (vedi “Una speranzosa sopravvissuta nell’industria del solare”), è uno di questi venture capitalist. Per lui, il settore energetico è ancora un mercato enorme con grandi opportunità. Vede però la necessità di elaborare nuovi modelli d’investimento per le società a rischio, ed ha identificato PRIME come uno dei modelli più promettenti.
L’approccio di PRIME è sicuramente un modello interessante, di quelli che potrebbero riuscire a indirizzare più finanziamenti nelle compagnie energetiche. Ironicamente, rivelando le aziende che necessitano di beneficienza, sta anche evidenziando quanto sia difficile portare nuove tecnologie energetiche nel mercato, e quanto dia difficile attirare l’attenzione dei finanziatori ordinari.