Un anno di svolta, per l’Europa e per l’Italia, all’insegna di un cambio di accenti dall’austerity alla crescita e all’occupazione, «l’anno in cui l’Europa cambia» e il semestre italiano di presidenza Ue «sarà orientato a questo». Parla già da presidente in pectore Enrico Letta nella sua intensa giornata brussellese, che lo ha visto dal presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, poi con gli eurodeputati italiani, quindi – insieme a cinque ministri – dal presidente della Commissione europea José Manuel Durao Barroso e ai suoi commissari, infine di nuovo al Parlamento Europeo per presentare in Europa l’Expo 2015 a Milano. È l’occasione per Letta per rilanciare, questa da Bruxelles e in vista della presidenza di turno da luglio, l’obiettivo che porta in Europa: spostare l’accento dal rigore e dall’austerity all’occupazione e alla crescita. Ma anche, va detto, di sentirsi ripetere i moniti di Bruxelles che l’Italia resta fragile, e tanto deve ancora fare.
Certo, Letta avrebbe preferito arrivare da Barroso con il contratto di coalizione già bell’e firmato, ma Matteo Renzi non glie l’ha permesso. Eppure porta a Bruxelles con l’orgoglio dell’uscita dalla procedura per deficit eccessivo, con il debito pubblico che per la prima volta scende. «L’Italia – ha detto il premier– guiderà il semestre dimostrando di saperlo fare, arrivandovi all’insegna della stabilità e dei conti in ordini». Tra i progressi – strizzando l’occhio a Renzi – ci mette anche l’accordo sulla legge elettorale. «E’ una delle grandi riforme strutturali che servirà a dare stabilità al paese» dice. Significativamente, anche Barroso ha manifestato incoraggiamento per le riforme istituzionali italiane, senza ovviamente entrare nel merito. «È certamente importante garantire stabilità anche istituzionale al paese – dirà – perché ricordiamo che ogni crisi politica è anche un crisi di fiducia e ormai sappiamo che i mercati sono estremamente reattivi. Sono positivi tutti gli sforzi per una stabilità strutturale perché gli investitori e i partner possano avere fiducia».
Il punto centrale per Letta è comunque suonare la carica della crescita, dice che «per la prima volta da tre anni non apriamo l’anno dentro una tempesta finanziaria, questo è l’anno in cui sono possibili finalmente scelte di medio e lungo termine, per far ripartire l’Italia, renderla più competitiva». Durante l’incontro con il collegio della Commissione – c’è stato anche un incontro a tu per tu con Barroso – Letta ha snocciolato gli ultimi risultati: il debito pubblico in leggero calo «per la prima volta da sei anni il debito pubblico si è fermato ed è cominciato a ridiscendere», ha parlato della privatizzazioni. Tutto nella speranza che la Commissione riveda il parere negativo sui margini di bilancio cui avrebbero diritto i paesi che, come l’Italia, sono fuori dalla procedura per deficit eccessivo – il commissario agli affari economici Olli Rehn aveva criticato l’Italia sostenendo che non ha intrapreso il dovuto cammino di riduzione del debito pubblico.
A Bruxelles, almeno ufficialmente, Letta non ha però ottenuto il beneplacito ufficiale della Commissione, «la nostra posizione – ha infatti detto Barroso – per ora non cambia rispetto a novembre. Dovremo aspettare fine febbraio», quando saranno pubblicate le previsioni economiche d’inverno della Commissione, che al tempo stesso daranno la «pagella” all’Italia, per capire se ha cambiato parere. Va detto che da settimane lo stesso Rehn sta dando segnali di apertura e si dimostra possibilista. I margini di manovra (sempre comunque rispettando la soglia del deficit nominale al 3% del pil) sarebbero cruciali per rilanciare l’economia italiana, agevolerebbe l’utilizzo dei 31 miliardi di fondi strutturali cui l’Italia ha diritto per il periodo di bilancio Ue 2014–2020, ma che richiedono una somma più o meno equivalente di cofinanziamento nazionale.
Soprattutto, però, la Commissione ha voluto lanciare un monito molto chiaro – che sembra destinato più a sostenere Letta che a danneggiarlo: «l’Italia ha fatto negli ultimi tre anni progressi notevoli, ma la maratona è ancora lunga» dice Barroso. Occorre «dare più impeto e imprimere più velocità alle riforme strutturali». Perché così com’è «l’Italia resta vulnerabile, la situazione rimane fragile, la disciplina di bilancio deve restare». Sembra di capire, insomma, che Bruxelles tutto vuole tranne che, almeno per quest’anno un’ennesima crisi di governo e magari elezioni anticipate, o un rallentamento delle riforme. Chissà se lancerà lo stesso messaggio a Matteo Renzi, che a sua volta sbarcherà a Bruxelles il 17 e 18 febbraio prossimo.