Beppe Grillo e il Movimento Cinque Stelle hanno presentato ieri i loro “Sette punti per l’Europa”. Siccome tendiamo a prendere le cose sul serio, anche quando non appaiono sempre tali, abbiamo deciso di analizzare uno ad uno i punti grillini, ricavandone un giudizio complessivamente molto negativo. Vediamoli nel dettaglio. I commenti di Riccardo Puglisi, Carlo Stagnaro, Giordano Masini e Piercamillo Falasca.
Referendum per la permanenza nell’euro
di Riccardo Puglisi, Università di Pavia @ricpuglisi
Prescindiamo pure dalla questione relativa alla costituzionalità di un tale referendum. Dal punto di vista economico/finanziario un referendum sull’euro è una boiata pazzesca. Dal momento che una nuova valuta italiana sarebbe senz’altro svalutata rispetto all’euro, chiunque tema una vittoria dei NO al referendum di cui sopra andrebbe a ritirare i propri depositi bancari per evitare questa svalutazione e tenersi gli euro non svalutati. Ciò avverrebbe ben prima del risultato del referendum, molti risparmiatori inizierebbero a trasferire i propri soldi all’estero non appena avviato l’iter referendario. Nessuna banca sopravvive a una corsa agli sportelli: non ci vuole una laurea in economia per capirlo. Siamo poi sicuri che il ritorno ad una valuta nazionale rappresenterebbe per l’economia italiana un vantaggio? Nel breve termine una “nuova lira” svalutata porterebbe certamente dei vantaggi alla produzione nazionale, in quanto i beni da noi prodotti diventano meno cari rispetto a quelli prodotti all’estero. Nel medio-lungo termine questo effetto positivo è fortemente stemperato da tre fattori: 1) specialmente in presenza di indicizzazione dei salari, importeremmo un po’ di inflazione a motivo dei beni stranieri più cari (effetto pass-through); 2) perché mai l’Italia dovrebbe essere il solo paese a svalutare? Altri paesi o gruppi di paesi potrebbero fare altrettanto, riducendo il grado di competitività di prezzo dei nostri prodotti; 3) le svalutazioni sono una droga che induce a badare meno agli aumenti di produttività del lavoro, che nel lungo periodo sono il meccanismo che spinge verso l’alto il benessere medio di un paese, cioè il suo reddito reale pro capite.
Abolizione del Fiscal Compact
di Piercamillo Falasca, Strade @piercamillo
Grillo chiede la sospensione del Patto di bilancio europeo (in gergo Fiscal Compact), con il quale l’Italia, gli altri paesi della zona euro e gli altri membri dell’UE (esclusi Regno Unito e Repubblica Ceca) si sono impegnati in un piano di contenimento del deficit e del debito pubblico e nell’adozione nelle Costituzioni nazionali del principio del pareggio di bilancio. Non mancano critiche sensate all’eccessiva rigidità delle regole del Fiscal Compact, ad esempio relativamente ai suoi effetti anticiclici in fase recessiva (quando si può verificare contemporaneamente un calo del gettito fiscale e un aumento automatico della spesa sociale, ad esempio per i sussidi di disoccupazione). Ma è evidente che una cosa è proporre legittimi correttivi per una maggiore flessibilità delle regole, altra cosa è chiedere la loro abolizione. Se ciò avvenisse, se cioè i paesi europei non fossero più vicendevolmente legati dal rispetto di vincoli di finanza pubblica, si arriverebbe rapidamente al disfacimento dell’unione monetaria per volontà dei Paesi più virtuosi. Non è da escludere che l’eventuale disgregazione avrebbe conseguenze nefaste anche per il mercato comune e i rapporti politici tra paesi europei.
Adozione degli Eurobond
di Riccardo Puglisi, Università di Pavia @ricpuglisi
In poche parole gli Eurobond sarebbero titoli di stato emessi dall’Unione Europea stessa, per conto degli stati appartenenti all’area euro. Valgono le buone vecchie analogie con l’economia di tutti i giorni: perché mai dovrei mettermi d’accordo con un debitore spendaccione e farmi prestare i soldi con lui, se io sono molto più virtuoso, cioè restituisco i denari con una probabilità vicina alla certezza? Gli Eurobond sono possibili soltanto se vi sono regole che disciplinano le finanze pubbliche degli stati membri (vedi il punto precedente), altrimenti perché mai paesi virtuosi dovrebbero diventare nostri soci nel prendere a prestito?
Alleanza tra i Paesi mediterranei per una politica comune
di Piercamillo Falasca, Strade @piercamillo
Il M5S propone praticamente un asse politico tra i Paesi meridionali dell’Unione Europea (Italia, Spagna, Grecia, Cipro e lo stato mediterraneo ad honorem, il Portogallo) allo scopo di “contrapporsi” alle realtà del centro e del nord del continente: una specie di alleanza degli ultimi della classe per continuare a non studiare. Si potrebbe anche pensare che si stiano evocando forme futuristiche di collaborazione politica tra le due sponde del Mediterraneo, l’Europa mediterranea e i paesi del Maghreb oggi in preda a forti tensioni socio-politiche. Nell’uno o nell’altro caso l’obiettivo sembra essere quello di stuzzicare le pulsioni anti-tedesche e “complottiste”, introducendo anche in Italia quella retorica stracciona e rivendicazionista tipica di alcune realtà sudamericane nei confronti degli odiati “yankee”.
Investimenti in innovazione e nuove attività produttive esclusi dal limite del 3% annuo di deficit di bilancio
di Riccardo Puglisi, Università di Pavia @ricpuglisi
Un punto semi-decente, anche se piuttosto vago. Da molti anni si discute dell’idea di escludere gli investimenti pubblici dal computo del deficit, in quanto gli investimenti danno per definizione utilità per molti anni ed è dunque sensato finanziarli con il debito. Serve naturalmente un controllo deciso su che cosa venga qualificato come “investimento in innovazione”, al fine di evitare furbate che consistono nel qualificare la qualunque come investimento in innovazione o in “nuove attività produttive”.
(Finanziamenti per attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni
di Giordano Masini, Strade @lavalledelsiele
Geniale: voi (europei) pagate e noi italiani consumiamo. Chissà perché nessuno ci aveva pensato prima! Si propone di destinare risorse comunitarie al finanziamento del protezionismo dei singoli stati, anche se non si specifica in quale forma questo dovrebbe avvenire. Naturalmente sarebbe contrario ai principi del mercato comune – ma sappiamo che questo non è argomento destinato a far breccia tra le fila del M5S – oltre che dannoso per i contribuenti e i consumatori, ovvero tutti noi che ci troveremmo a pagare prezzi più alti per prodotti equivalenti. In ogni caso non pare una misura particolarmente indicata per l’Italia, le cui produzioni non sono neanche lontanamente sufficienti a soddisfare il fabbisogno interno (per una banalissima questione di rapporto tra superficie agricola e popolazione – ma sono dettagli) e le cui eccellenze agroalimentari, vocate all’export, resterebbero vittime del protezionismo speculare degli altri stati. Praticamente, un sussidio alla zappa sui piedi.
Abolizione del pareggio di bilancio
di Carlo Stagnaro, Istituto Bruno Leoni @carlostagnaro
L’obbligo di pareggio di bilancio è, in sé, una regola stupida. Ancora più stupido è il cervellotico modo in cui è stato introdotto nella Costituzione italiana. A ben vedere, però, tutte le regole sono un po’ stupide: sennonché servono per prevenire comportamenti perfino più stupidi. Verso chi è virtuoso è ragionevole essere flessibili; verso chi, invece, è campione del vizio occorre la massima rigidità. E’ vero in generale, ed è vero pure se si guarda a dimensione, tendenze e qualità della spesa pubblica italiana. I vincoli, per quanto ottusi, servono soprattutto a chi non ha dimostrato capacità di discernimento. L’Italia tra questi. Abolire l’obbligo di pareggio (e non il pareggio di bilancio, come curiosamente recita il settimo punto del M5S) equivale insomma a eliminare l’unico argine contro l’irresponsabilità della spesa pubblica. E’ una richiesta in politichese di più spesa e più debito. Se un individuo è obeso, bisogna metterlo a dieta; non eliminare il divieto di grassi saturi.