Qualche settimana fa abbiamo inviato ai parlamentari un questionario, chiedendo loro di esprimere le proprie preferenze su cinque possibili sistemi elettorali: (1) mattarellum, (2) mattarellum con premio di maggioranza, (3) maggioritario a doppio turno (sistema francese), (4) proporzionale con premio di maggioranza a doppio turno (sistema dei sindaci), e (5) proporzionale corretto (sistema spagnolo). Quando, alla fine di dicembre, abbiamo lanciato il nostro mini-appello tutto immaginavamo tranne che la trattativa sulla legge elettorale avrebbe subito l’accelerazione di questi giorni. Il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha aperto i giochi dichiarando la propria disponibilità a un compromesso sulle opzioni (2), (4) o (5), in quest’ultimo caso con l’aggiunta di un premio di maggioranza.
Nei giorni scorsi sembrava che l’accordo tra Pd e Fi si stesse indirizzando proprio verso il sistema (5) con premio. Poi, con l’allargamento dell’accordo al Ncd di Alfano, ci si è di fatto assestati sul sistema (4). È questa la proposta che Renzi ha concordato con Berlusconi ed è riuscito a far approvare dalla direzione Pd. In sintesi, si tratta di un sistema proporzionale dove gli elettori votano in 118 collegi plurinominali (con, in media, 5 o 6 eletti) ma i seggi vengono assegnati sulla base dei voti ricevuti a livello nazionale. Se la coalizione vincente ottiene almeno il 35 per cento, scatta il premio di maggioranza che la porta al 53 per cento dei seggi. In caso contrario, l’assegnazione del premio viene decisa da un secondo turno tra le due coalizioni più votate, senza possibilità di accorpamenti tra il primo e il secondo turno (elemento importante per limitare il formarsi di armate Brancaleone). La proposta prevede soglie di sbarramento piuttosto alte, e apparentemente non negoziabili, per l’accesso alla ripartizione dei seggi: per i partiti che decidono di correre da soli lo sbarramento è all’8 per cento; per i membri di una coalizione che raggiunga almeno il 12, la soglia scende al 5 per cento. Regole che promettono di ridurre drasticamente il numero di partiti che avranno rappresentanza in Parlamento, realisticamente tra 3 e 5.
Perché Renzi e Berlusconi hanno raggiunto un compromesso sul sistema (4)? Possiamo capire questa scelta alla luce delle risposte al nostro questionario?
Al nostro appello hanno risposto 59 parlamentari, 45 dei quali del Pd (l’11 per cento dei parlamentari di quel partito). Un campione, naturalmente, tutt’altro che casuale. Tra i grandi gruppi, colpisce il tasso di risposta vicino allo zero di Fi e Ncd. Come aveva dichiarato nei giorni scorsi Maristella Gelmini: sarà Berlusconi, quando e dove vorrà, a indicare la scelta di Fi. Così è stato. La reticenza non ci ha sorpresi ed è in linea col fatto che uffici stampa e direzioni dei partiti hanno preferito non esprimersi, dando prova che la decisione sul sistema elettorale è una scelta strategica piuttosto che un esercizio di semplice aggregazione delle preferenze. Con buona pace dei reiterati appelli a un dibattito trasparente sulla qualità delle istituzioni. L’unica risposta di un ufficio stampa nazionale è arrivata da Scelta Civica, che ci ha inviato le risposte del capogruppo alla Camera, Andrea Romano. In allegato, tutte le risposte.
La maggior parte dei rispondenti del Pd ha indicato come riforma preferita o compromesso accettabile il sistema francese (82 per cento), seguito dal premio di maggioranza a due turni (64 per cento) e dal Mattarellum corretto (53 per cento). D’altra parte, il 58 per cento ha espresso forte opposizione verso il proporzionale corretto in salsa spagnola. Il sistema largamente più inviso a tutti i 59 parlamentari che hanno risposto, con l’eccezione – significativa sul piano politico, anche se non su quello statistico – dei rispondenti di FI (1) e M5s (4), a cui il sistema spagnolo, che favorisce i grandi partiti senza bisogno di formare coalizioni, in fondo non sarebbe risultato così indigesto.
Le risposte al nostro sondaggio fanno pensare che, almeno all’interno del Pd, il sistema (3) in salsa francese fosse più gradito degli altri, seguito dal (4) e dal (2). Questi ultimi due, in particolare, sono sempre apparsi molto graditi a Renzi per via dell’obiettivo di garantire la governabilità attraverso il premio di maggioranza. Interessante, e coerente con il suo intervento alla direzione Pd, la risposta di Pippo Civati, che ha indicato nel Mattarellum l’opzione preferita e nell’uninominale alla francese un compromesso accettabile. Ma come si è arrivati al compromesso proprio sul sistema (4), corretto – come detto – con clausole di sbarramento abbastanza alte?
Renzi ha scelto di rompere con un vecchio schema delle politica italiana. Al compromesso non si è arrivati dopo lunghe trattative, tra e all’interno dei partiti, in cui le posizioni dei contendenti risultavano sempre poco chiare, anche al fine di potersi accreditare la vittoria finale. Renzi ha messo sul tavolo tre proposte (le opzioni (2), (4) e (5), in quest’ultimo caso con l’aggiunta di un premio di maggioranza) a cui era favorevole, e su cui sapeva di poter trovare un accordo con Berlusconi. Ed ha in larga misura lasciato che fosse Berlusconi a scegliere, ma rispettando l’esigenza di salvaguardare la stabilità del governo.
La preferenza di Pd e Fi per un sistema di tipo spagnolo, l’opzione (5), è stata quindi sacrificata, come avallato dallo stesso Renzi nella sua relazione alla direzione Pd, per allargare l’accordo al Ncd, e salvare di fatto il governo. L’avversione del Ncd per questo sistema è facile da capire: i partiti minori non hanno mai da guadagnare quando i seggi vengono attribuiti su base locale, per una questione di arrotondamenti a numeri interi. Ma perché anche Berlusconi ha accettato il diktat di Alfano? Si è trattato di una prova di debolezza o, piuttosto, di una ritirata strategica? Conoscendo il personaggio, viene da propendere per la seconda ipotesi. E l’opzione (5), in ogni caso, è anche la più invisa ai parlamentari Pd che ci hanno risposto – anche Renzi lo avrà tenuto in conto.
Resta da capire perché, una volta scartata l’opzione (5), sia stata scelta la (4) e non, come suggeriva Civati, la (2). La ripartizione nazionale favorisce comunque gli apparati di partito a livello centrale. In più, il sistema spagnolo o il Mattarellum avrebbero mantenuto in vita la Lega, che invece col sistema proposto rischia di non essere rappresentata in Parlamento. Renzi porta a casa il premio di maggioranza e l’opzione dei due turni, che ben si sposa con una leadership che punta a pescare voti al di fuori del suo elettorato tradizionale. Berlusconi evita collegi uninominali e preferenze, e mantiene aperte varie strade per cercare di risalire la china. Se Fi e Ncd decideranno di marciare uniti per colpire divisi, il nuovo sistema elettorale lascia loro una chance non piccola di vittoria. Renzi, dal canto suo, si giocherà tutto sul tentativo di riassorbire parte dei voti del M5s. La soglia (bassa) del 35 per cento per far scattare il premio di maggioranza, infine, lascia a entrambi la strada di provare il colpaccio da soli.
L’accordo allunga l’orizzonte temporale del governo almeno del tempo necessario alle riforme costituzionali, ma non ne rende la vita più semplice. Letta rischia di trovarsi in mezzo ad una lunga campagna elettorale tra Pd e Fi, perchè subito dopo la firma conclusiva sull’accordo le strade di Renzi e Berlusconi dovranno necessariamente separarsi.