Perché tanti pregiudizi sulla voluntary disclosure?

Il nuovo strumento del fisco

Il messaggio che emerge in questi giorni leggendo la stampa nazionale è che la cosiddetta voluntary disclosure sia una forma di condono, che consente a chi ha detenuto irregolarmente capitali all’estero di sistemare la propria posizione con il fisco pagando una sanzione pari a circa il 12% del capitale, cinque punti in più di quanto previsto dall’ultimo scudo fiscale (7% per le ultime adesioni). Non è così. La voluntary disclosure, così come prospettata dal disegno di legge licenziato dal Consiglio dei Ministri del 24 gennaio 2014, prevede un trattamento premiale per chi si autodenuncia al fisco, mettendo in chiaro la propria posizione e accettando di pagare le imposte evase, con le relative sanzioni e interessi.

Il trattamento premiale, rispetto a chi dovesse subire un accertamento su iniziativa dell’agenzia delle entrate, consiste nella depenalizzazione di alcuni reati, ma soprattutto, per la maggior parte dei casi, nella riduzione del 50% delle sanzioni minime sul monitoraggio valutario (cd. quadro RW della dichiarazione dei redditi) per le quali l’Italia ha subito una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea.

Due prime considerazioni sono a questo punto necessarie.

– La prima: l’infrazione era motivata dalla sproporzione fra violazione e sanzione, visto che la dichiarazione nel quadro RW della consistenza delle attività detenute all’estero è “solo” strumentale alla dichiarazione dei redditi: non è detto cioè che chi ha omesso il quadro RW abbia anche evaso delle imposte (l’esempio classico è quello degli immobili tenuti a disposizione all’estero): ridurre questo tipo di sanzione ci mette quindi in linea con la posizione suggerita dalla Commissione Europea.

– La seconda considerazione riguarda la depenalizzazione dei reati di infedele e omessa dichiarazione: considerando i rendimenti medi delle gestioni patrimoniali estere negli ultimi anni, per superare le soglie in presenza delle quali si configura uno dei due reati sopra citati, è necessario un patrimonio di alcuni milioni di euro; ciò implica, ragionando in modo pragmatico, che la maggior parte dei contribuenti interessati alla voluntary disclosure, con capitali non milionari, non avrà di fatto alcun beneficio reale da tale depenalizzazione… Il vantaggio sarà quello di pagare in un’unica soluzione un importo di circa il 15% del capitale, evitando il rischio futuro di accertamento con irrogazione di sanzioni applicate in misura massima anziché minima, senza ovviamente sconti, e con effetti che in alcuni casi potrebbero condurre a una sanzione totale pari al 50% del capitale.

Perché allora tanto scetticismo intorno a questa procedura? A parere di chi scrive i dubbi riguardano se mai le probabilità di successo, visto che una fetta consistente di contribuenti non ha semplicemente omesso il quadro RW e la dichiarazione dei redditi di natura finanziaria prodotti all’estero, ma ha anche trasferito all’estero il frutto dell’evasione realizzata nel corso degli ultimi anni in Italia: il prezzo da pagare per questa categoria di soggetti può arrivare facilmente anche al 70% del capitale detenuto irregolarmente all’estero… Nulla a che vedere quindi con uno scudo fiscale! Siamo sicuri che tali contribuenti vorranno davvero autodenunciarsi o non cercheranno invece forme nuove di occultamento per sfuggire ai futuri controlli, pur se resi sempre più efficaci dalle procedure internazionali di scambio di informazioni?

In tal senso, considerando cioè molto improbabile l’autodenuncia della seconda categoria di soggetti, è d’obbligo la massima prudenza nel fornire stime di gettito: per ottenere il risultato conseguito dalla Germania, pari a circa 4 miliardi di euro, servirebbe l’autodenuncia di circa 50.000 contribuenti con una disponibilità estera non dichiarata di circa 500.000 euro, pari cioè al 15% circa della ricchezza che dovrebbe essere stata occultata all’estero (circa 180 miliardi secondo le stime più autorevoli). 

Purtroppo oggi non risulta che i funzionari dell’UCIFI – l’ufficio preposto specificatamente alla gestione delle pratiche di voluntary disclosure – siano in un grado di gestire un numero così elevato di pratiche; ecco perché un ruolo fondamentale competerà, più che mai – ai professionisti, chiamati a predisporre l’istanza con tutti i relativi allegati, ma soprattutto – e una volta per tutte – a instaurare un dialogo costruttivo, improntato alla buona fede reciproca, tra fisco e contribuente.

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