Al deputato Antonio Garcia Conejo non è servito restare in mutande. Dopo una discussione parlamentare di quasi 20 ore, grandi polemiche dei partiti d’opposizione e proteste di piazza, in Messico è stata approvata quella che tutti definiscono la “storica” riforma del settore energetico. Oggi il Paese dell’America centrale è pronto ad aprire il mercato agli investitori stranieri. Dopo il via da parte del parlamento, è arrivato anche quello dei congressi locali. L’iniziativa ha raggiunto, così, il supporto necessario per ottenere la dichiarazione di costituzionalità.
Con la riforma voluta fortemente dal presidente Enrique Peña Nieto e dalla sua formazione politica, il Partito Rivoluzionario Istituzionale e dal Partito Azione Nazionale (di orientamento conservatore e cristiano-democratico), finisce il monopolio dello stato e si aprono ai privati i contratti di servizi e produzione assieme agli appalti per l’esplorazione e la produzione agli idrocarburi.Anche l’Italia guarda con grande attenzione al nuovo corso messicano dell’energia. In questi giorni il presidente del Consiglio Enrico Letta si trova nel paese centroamericano per una visita tutta incentrata sul miglioramento dei rapporti commerciali ed economici. Assieme al premier ci sono,tra gli altri, Paolo Scaroni (Eni) e F ulvio Conti (Enel).
Con la riforma fortemente voluta da Peña Nieto, le compagnie straniere potranno esplorare il sottosuolo ed estrarre petrolio e gas ma solo in collaborazione con la società statale Pemex (Petroleos Mexicanos) che controlla l’intera filiera in un regime di monopolio. La legge prevede inoltre la conversione di Pemex e della Cfe (Commissione federale dell’elettricità) in imprese di Stato, che dovranno competere con le aziende straniere per ottenere i contratti. Per il governo non c’era più tempo da perdere.«La produzione di petrolio in Messico ha cominciato a ridursi dal 2004 quando è stato raggiunto il picco. Inoltre la Pemex non ha le competenze e la tecnologie necessarie per estrarre in acque profonde dai giacimenti non convenzionali», spiega a Linkiesta Francisco Salazar, presidente della Comisión Reguladora de Energía, l’agenzia del governo messicano che riveste un ruolo centrale nel monitoraggio e nell’espansione di tutto il settore energetico. «Il governo non ha le risorse finanziarie che servirebbero alla Pemex per operare al meglio in queste condizioni. La cosa migliore per il Messico sarebbe diversificare il rischio di produzione affidando il lavoro a diverse compagnie». In virtù dell’incarico che ricopre dal 2005 Salazar è una delle persone che conosce meglio la riforma.
Proteste a Città del Messico contro l’apertura di Pemex a capitali stranieri (Afp)
Da Città del Messico assicura che il governo continuerà ad avere un ruolo importante. «Lo stato ricoprirà tre ruoli fondamentali. Primo, stabilire la linea politica. Secondo, regolare il settore.Terzo: continuare ad operare attraverso la Pemex, anche se non più come l’unico operatore. Uno degli obiettivi della riforma è quello di rafforzare i primi due ruoli dello Stato così da portare il settore privato a rafforzare il terzo punto», quello della cooperazione tra Pemex e le compagnie straniere.Come ha scritto The Economist, tutti gli analisti concordano nel dire che i potenziali benefici della riforma dipenderanno da come sarà redatta la legislazione secondaria che dovrà definire le regole per i nuovi contratti e le royalties e che indicherà quali saranno i giacimenti da esplorare. Ovviamente, i potenziali investitori vogliano conoscere in quali condizioni potrebbero trovarsi ad operare prima di investire.
L’apertura del mercato energetico rappresenta un cambiamento enorme che non riguarda solo il sistema economico e il settore energetico. Il fiero orgoglio del popolo messicano ha trovato sfogo anche nel “nazionalismo petrolifero” fin dal 1938 quando l’allora presidente Lázaro Cárdenas del Río decise di estromettere le multinazionali straniere creando la Pemex (nel 1960 viene nazionalizzato anche l’industria elettrica). Ancora oggi, ogni 18marzo, nelle scuole messicane gli alunni festeggiano El dia de la expropiacion petrolera . Quando pensano al proprio petrolio i messicani non ricordano solo l’amatissimo generale Cárdenas ma anche Rudesindo Cantarell, un pescatore di gamberetti che nel 1971 scoprì per caso un gigantesco giacimento che in seguito verrà chiamato proprio Complejo Cantarell.
Otto anni dopo iniziò la produzione e per il Messico si apre una nuova era. Da paese importatore di petrolio, diventa esportatore. Fino a diventare il nono produttore mondiale, il terzo esportatore verso gli Stati Uniti. Oggi Pemex rappresenta il 16% dei ricavi da esportazione e contribuisce al 34% delle entrate complessive dello Stato federale. Cifre ragguardevoli ma che non sono più quelle del biennio 70-90 quando praticamente solo grazie al giacimento di Cantarell il Messico poteva assicurarsi un flusso costante di dollari in entrata. Nei primi dieci mesi del 2013il Messico ha prodotto 2,5 milioni di barili di petrolio ma nel 2006 riusciva a produrne il 22% in più.
Dal 2006 al 2012 le esportazioni verso gli Usa, principale mercato per il petrolio messicano, sono calate del 38%. Nel frattempo Paesi come la Colombia e il Canada hanno aperto agli investimenti delle compagnie petrolifere di Stati Uniti, Europa e Asia. Inoltre il petrolio messicano è di tipo “crude” cioè pesante e viene venduto ad un pezzo più basso perché è più difficile raffinarlo. Anche Canada, Colombia e Brasile sono produttori di grandi quantità di petrolio “crude”. L’offerta è aumentata e il prezzo è ulteriormente calato mentre in Messico ci sarebbe bisogno di operare grandi investimenti per tenere il passo dei concorrenti. Il Wall Street Journal riporta uno studio della banca britannica Barclays Capital che spiega che la Pemex «spende circa 24 miliardi di dollari per sviluppare i settori gas e petrolio, una cifra che deve almeno essere raddoppiata se si vogliono ottenere significativi cambiamenti». Come spiega un’analisi dellaReuters, il Messico ha un assoluto bisogno di riammodernare le proprie raffinerie e migliorare la propria rete infrastrutturale. Secondo l’associazione che riunisce le industrie chimiche messicane per ogni barile trattato si perdono 1,23 dollari. «La nostra priorità è ridurre le perdite», ha detto l’amministratore delegato della Pemex, Emilio Lozoya. Lo scorso dicembre Arturo Henriquez, procurement chief dello stabilimento Pemex di Houston ha dichiarato che la compagnia sta cercando di migliorare la capacità di raffinazione acquisendo competenze e tecnologia in Europa, Stati Uniti e Asia. Miguel Tame, capo del settore raffinazione della Pemex ha detto che la fine del monopolio, l’azienda è determinata a tagliare i costi e a diventare più efficiente.
Le potenzialità del Messico restano, comunque, importantissime. Secondo le stime dell’EIA (Energy Information Administration), la sezione statistica del dipartimento dell’Energia americana, le riserve ammontano a 10 miliardi di barili. Numeri che ne fanno il primo produttore non Opec. La riforma del settore energetico potrebbe rappresentare una grandissima occasione per l’intera economia messicana. Per la banca d’affari Svizzera Ubs che ci troviamo davanti alla più grande trasformazione dell’economia messicana dai tempi dell’ingresso nel Nafta (il trattato di libero scambio commerciale stipulato con Usa e Canada) nel 1993. Quello messicano è un mercato con ottime prospettive che le compagnie potrebbero sfruttare nella corsa globale per ridurre i costi dell’energia. Per OilPrice.com , le modifiche alla legislazione nazionale permetterebbero a compagnie straniere come le americane Exxon Mobil e Chevron di iniziare a operare nei più vasti giacimenti di petrolio crude dopo quelli del Circolo polare artico. Secondo Bloomberg con sufficienti investimenti il Messico potrebbe diventare uno dei primi cinque paesi esportatori del mondo.