Un déjà-vu. «Abbiamo appena sentito dalla viva voce di Vannoni la seguente espressione: “Basta che ci sia un comitato etico che dica sì, e io posso iniettare cioccolata a 25 mila pazienti con 8 mila malattie diverse a spese del Servizio sanitario nazionale», spiega Paolo Bianco, direttore del Laboratorio staminali del dipartimento di Medicina molecolare alla Sapienza di Roma, a Riccardo Iacona durante la puntata di Presa diretta del 13 gennaio scorso. «Lei basta che sostituisca cioccolata con olio di serpente, ed eccoci tornati indietro al 1917 quando Clark Stanley vendeva olio di serpente per 8 mila malattie sulla piazze del Paese». Così per evitare che ciarlatani come Stanley potessero ancora truffare i cittadini, nacquero le prime agenzie regolatorie dei farmaci, continua a spiegare Bianco, il cui compito sarebbe stato quello di analizzare e regolare le sostanze che noi assumiamo come farmaci. Per proteggerci. «L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) in Italia, questa volta è intervenuta con coraggio compiendo il suo dovere e fermando una pratica pericolosa».
Dal rapporto emergono molte altri problemi (come il laboratorio non a norma per dirne una), ma a destare maggiore preoccupazione è il contenuto stesso del preparato. Il 19 dicembre quando la relazione dei Nas e delle istituzioni scientifiche viene finalmente resa nota, sono numerosi i media che riportano la stessa notizia: nelle infusioni preparate secondo il fantomatico metodo Stamina, di staminali non c’è traccia, se non in piccolissima parte. «La cellula staminale è un qualcosa che tu puoi vedere al microscopio e che puoi caratterizzare: ha della proprietà, che sono decina e centinaia di molecole, aspetti che possono essere documentati in modo ripetibile» spiega Elena Cattaneo durante la puntata di Presa diretta del 13 gennaio scorso. «Se vuoi ottenere dei neuroni ci vogliono delle prove per dimostrare che le cellule staminali che stai utilizzando si siano realmente trasformate in un neurone, e ci vogliono circa 70-80 giorni per fare un neurone. Non c’è nessuna prova scientifica però, che una cellula staminale mesenchimale (quelle usate da Vannoni ndr) possa trasformarsi in neurone. Servono delle prove per dimostrarlo – continua Elena Cattaneo – e di tutto questo nei campioni di preparato della Stamina Foundation prelevati dagli Spedali Civili di Brescia non c’è traccia». Vannoni inoltre – secondo la domanda di brevetto presentata negli Stati Uniti e poi rifiutata dalle stesse autorità americane – sostiene di impiegare solo due ore per trasformare le cellule mesenchimali in neuroni terapeutici. «Ma queste cellule se trattate come dicono loro – continua Cattaneo – muoiono. Lo stesso Ufficio dei brevetti americano parla di citotossicità, perché con il metodo descritto da Vannoni si uccidono le cellule. Certo male che vada queste cellule trapiantate moriranno, ma non sappiamo cosa può succedere, non sappiamo cosa viene iniettato: sono cellule fuori controllo che possono anche portare a tumore ed encefalopatia».
Nei migliori dei casi insomma il pericolo è che il preparato della Stamina Foundation non contenga niente e non abbia alcun effetto; nel peggiore però potrebbe causare effetti collaterali non da poco, come tumori, encefalopatie, malattie virali, sifilide, e encefalopatia spongiforme bovina, ovvero il “morbo della mucca pazza”. Dalla documentazione dei Nas e delle Agenzie sanitarie nazionali infatti emerge come «il protocollo clinico non prevedesse l’effettuazione dei test minimi di profilassi contro HIV ed epatite B e C, sui campioni di staminali prelevati dai donatori e destinati alle infusioni, come invece è previsto dalla normativa in materia di tessuti e cellule e da quella trasfusionali». Inoltre «nella documentazione allegata relativa alla donazione non sono presenti i referti di alcuni esami previsti per il donatore; e in particolare non sono disponibili i risultati del test per sifilide, e HIV». Sul donatore insomma si sa poco e niente, né se sia sano, né spesso il grado di parentela con il malato.
Poco si sa infine anche della dose somministrata: «Non è descritto alcun razionale in base al quale è stata stabilita la dose da somministrare, né sono state definite la dose minima efficace, la dose ottimale e la dose massima somministrabile» si legge sempre nella relazione dei Nas e delle Agenzie sanitarie del 24 maggio. Ma anche se una dose ci fosse stata, sarebbe stata inutile: «dal confronto del protocollo e il foglio di lavorazione risulta che non vi è sempre corrispondenza tra il numero di cellule previste dal protocollo stesso e quelle effettivamente infuse. Su 56 infusioni effettuate solo in 7 casi i dosaggi previsti corrispondevano a quelli realmente infusi. Negli altri casi la discrepanza varia tra circa la metà a più del doppio della dose prevista». La dose stabilita nel protocollo (non si sa con quali criteri) solo in sette casi su 56 era stata rispettata.
Il 1° agosto, dopo un lungo tira e molla, Vannoni consegna la documentazione relativa al suo metodo al comitato di esperti che dovrà valutarlo: il verdetto consegnato al ministro della Salute Beatrice Lorenzin è inequivocabile, il metodo viene bocciato. «La popolazione di staminali ottenuta secondo il metodo non è pura e omogenea, e non è neanche una popolazione di staminali, e non ci sono prove che queste funzionino realmente. Non sono sicure, perché non vengono eseguiti i test richiesti per legge sui donatori, e perché c’è il pericolo che contengano frammenti di osso che potrebbero arrivare fino al cervello, e sostanza pericolose come antibiotici. C’è il rischio infine, che le cinque infusioni previste per via endovenosa e intrarachidea possano causare encefalomielite» si legge nella relazione. Vannoni però non ci sta e ricorre al Tar del Lazio, accusando gli esperti del comitato di aver agito in questo modo per via di evidenti pregiudizi nei suoi confronti, dichiarati fin dall’inizio. Il Tar accoglie il ricorso: è fine dicembre quando il ministro Lorenzin diffonde i nomi dei nuovi esperti che dovranno rivalutare il metodo.
Dicembre è un mese caldo per il caso Stamina, sempre in questo mese la comunità scientifica entra nuovamente in subbuglio: Camillo Ricordi stimato scienziato italiano che a Miami dirige il Diabetes Research Institute, si offre di analizzare il preparato somministrato della Stamina Foundation. Come se i test sui campioni, già eseguiti durante le ispezioni del maggio 2012, di cui fin qui abbiamo parlato, non fossero sufficienti. Da uno scambio di mail tra Enrica Molino, biologa di Stamina e Camillo Ricordi, di cui sempre l’Espresso è riuscito in parte a entrare in possesso, si capisce chiaramente come in realtà anche Vannoni sappia ben poco sui suoi preparati, e chieda aiuto al ricercatore di Miami proprio per trovare delle risposte: «Dobbiamo dimostrare in maniera conclusiva l’assenza dei contaminanti descritti sopra (cellule ematopoietiche, detriti tissutali, frammenti ossei, osteoclasti, cellule immuni che possono innescare reazioni anafilattiche, ecc.) usando specifici marker». Insomma alla Stamina Foundation non sanno se questi contaminanti, pericolosi per la salute, siano presenti o meno nei preparati, nonostante per anni gli abbiano iniettati a ignari pazienti. Non sanno neanche se il prodotto finale contenga staminali oppure no, e chiede sempre a Ricordi di eseguire dei test per scoprirlo.
L’olio di serpente di Clark Stanley fu poi analizzato dal governo americano e risultò contenere una miscela di olii, pepe, canfora e trementina. Ben diverso da quello che il venditore sosteneva contesse, e privo dell’effetto miracoloso dichiarato. Conclude Bianco durante la puntata di Presa diretta del 13 gennaio, affermando che «l’obiettivo di Vannoni è chiaro: vendere la cioccolata o olio di serpente non ai cittadini che lo pagano di tasca propria ma al Ssn, che lo pagherebbe con le tasche di tutti gli italiani. Di quei 110 miliardi di euro impiegati per la spesa sanitaria nazionale, uno almeno andrebbe per pagare l’olio di serpente e non andrebbe invece a curare quei bambini che hanno le stesse malattie dei bimbi che vanno in TV o in piazza, ma che invece in TV e piazza non vediamo».
Lo scorso 29 gennaio intanto davanti alla Commissione Sanità alla camera sono stati ascoltati il direttore dell’AIFA Luca Pani e il comandante dei NAS Cosimo Piccinno. «Mi corre l’obbligo di segnalare che sono in corso accertamenti amministrativi che potrebbero evolvere in atti di Polizia giudiziaria su altri casi di infusioni di cellule staminali al di fuori delle regole, con rischi per la salute pubblica. Potremmo avere presto un caso Stamina 2, 3 e 4», spiega Piccinno, mentre Pani ha sottolineato «Sospettiamo che in Italia la deregolamentazione sulle cellule staminali possa aver prodotto situazioni analoghe a quelle di Stamina». Nelle prossime settimane saranno ascoltati anche u rappresentanti di Stamina Foundation e delle associazioni dei famigliari dei pazienti. Nel frattempo agli Spedali Civili di Brescia una obiezione degli operatori ha bloccato l’erogazione delle cure.
Caso Stamina: audizioni dei rappresentanti del NAS e dell’AIFA
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