Coi film questi problema non c’era. Succedeva qualche volta con i seguiti ma, anche lì, molto raramente. I fan, prima, potevano solo fare i fan. Magari potevano creare dei club, fondare fanzine, scrivere fanfiction (storie scritte dai fan ma ambientate nello stesso mondo delle narrazioni da cui provengono). Ma poco di più. Poi è arrivato internet. E poi sono arrivate le serie tv. E tutto è cambiato.
Internet ha permesso ai fan non solo di incontrarsi tra di loro, ma anche di pubblicare con enorme semplicità quello che scrivevano e pensavano sulle loro serie preferite: teorie, critiche, nuovi contenuti. Dall’altra, la serialità continua e ciclica delle serie ha permesso agli autori di prendere i feedback lanciati dagli spettatori e includerli nella loro serie. A volte farlo consente di aggiustare il tiro e di rendere una serie più coinvolgente e appassionante per tutti gli spettatori. A volte, invece, crea enormi disastri, alienando il pubblico e non facendo felici nemmeno i fan.
Quelli qui sotto sono tre esempi, uno cattivo, uno buono e uno… strambo. Ce ne sono molti altri, naturalmente. In alcuni casi i fan sono riusciti a riportare in onda le serie che amavano, in altri a non far morire un personaggio e in altri ancora a influenzare l’andamento di interi episodi o stagioni.
Doctor Who è una delle serie televisive più longeve della storia, ed è solo naturale che abbia attirato generazioni di fan. Il protagonista, noto solo col nome di Dottore, è un alieno con fattezze umane (ma lui direbbe che sono gli umani a essere simili alla sua razza) che viaggia nello spazio e nel tempo. La serie è riuscita rimanere fresca e viva così a lungo grazie a uno stratagemma: quando il Dottore muore, non muore veramente. Si rigenera: cambia faccia e personalità, pur mantenendo i ricordi delle sue vite precedenti. A ogni morte e rinascita, si chiude un ciclo narrativo e ne inizia un altro.
Nel 1976, in un episodio della serie classica del Doctor Who (quella andata in onda dal 1963 al 1989), si era stabilito che il Dottore potesse rigenerarsi solo un certo numero di volte: dodici. Naturalmente, il conteggio delle rigenerazioni rimaste al loro personaggio preferito è stato per anni uno dei temi più discussi dai fan su forum e social network. L’ultima incarnazione del Dottore, quella andata in onda dal 2010 a oggi, avrebbe dovuto essere l’undicesima. Ma per una serie di eventi legati al Dottore precedente, molti fan pensavano che in realtà fosse la dodicesima e — quindi — ultima. E avevano ragione.
Steven Moffat, autore e show runner della serie, ha deciso di costruire un episodio chiave della narrazione del Dottore, quello della morte dell’undicesima versione, proprio su questa questione: il Dottore non si può più rigenerare. Il problema? La cosa non era mai stata citata prima nella serie moderna, mai presa in considerazione, mai discussa. In quello che doveva essere l’episodio più importante di questo ciclo narrativo, le motivazioni del personaggio, la sua morte e la scelta della sua razza di “donargli” altre 12 vive erano chiare, interessanti e rilevanti solo per i fan.
Una scelta che diventa ancora più assurda quando si scopre che, solo in Inghilterra, 11 milioni di persone hanno guardato quella puntata del Doctor Who, facendola diventare la singola puntata di una serie tv più vista del 2013. Il seguito della serie, insomma, non è composto solo da fan, non solo da appassionati che hanno sviscerato la serie e ne conoscono ogni dettaglio, ma da praticamente tutti: bambini, anziani, uomini, donne, adolescenti, adulti. Moffat ha detto più volte di non lasciarsi influenzare dai fan nella scrittura della serie. Se fosse vero, avrebbe solo dimostrato di essere un fan più dei fan di tutti gli altri, capace di ritirare fuori una storia vecchia di trent’anni dimenticata da tutti e di rendere così incomprensibile la fine di uno dei più bei personaggi della storia televisiva recente.
Sherlock, pur avendo in totale soltanto 9 episodi, è diventato istantaneamente una serie di culto. Ogni puntata è un film di un’ora e mezza in cui una delle avventure di Sherlock Holmes scritte da Arthur Conan Doyle torna in vita nella Londra contemporanea. Nell’ultimo episodio della seconda stagione, andato in onda nel gennaio del 2012 sulla BBC e nell’ottobre 2012 in Italia, Sherlock muore. O, come scopriamo quasi subito, finge di morire riuscendo però a convincere tutti, compreso l’amico Watson, di essere morto davvero. La domanda che rimane in sospeso è: come abbia fatto a ingannare tutti.
Per via degli impegni dei due attori protagonisti della serie: Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, le nuove puntate si fanno attendere per due interi anni. Due anni in cui i fan non hanno fatto altro che speculare e speculare, provando a immaginare infiniti e strambi modi in cui Sherlock possa aver ingannato tutti. La serie è basata sulla deduzione e sulla logica, sembrano dirsi, ed esattamente come per i casi che vengono affrontati durante le puntate una risposta chiara a questa domanda deve esiste. Basta trovarla.
Nel 2014, finalmente, Sherlock torna con la terza stagione e scopriamo subito che nella Londra della serie è successo esattamente quello che è successo nel mondo fuori: i fan di Sherlock (che nella serie è una celebrità) credono che l’investigatore sia ancora vivo e che abbia solo inscenato la sua morte. E immaginano, speculano e teorizzano su come ci sia riuscito. Steven Moffat (sì, lo stesso del Doctor Who) stavolta prende i veri fan e, come in una mossa di judo, ne sfrutta la carica e l’invenzione. Li mette in scena, mostra le teorie bizzarre che hanno escogitato (in una Sherlock bacia il suo arcinemico, in un’altra si lancia nel vuoto con una corda da bungee jumping) e riesce a trasmette l’amore per il personaggio e la passione per il mistero che porta a farsi delle domande fino a trovare delle risposte. E soprattutto dà agli spettatori modo di ritrovarsi, dopo due anni in cui rischiavano di aver perso il bandolo della matassa, nella serie. Pronti di nuovo a seguire le brillanti deduzioni dell’investigatore.
Supernatural è una serie horror in cui due fratelli vanno a caccia di demoni e mostri per vendicare la morte della madre. All’inizio inseguono fantasmi e licantropi ma arrivano persino ad avere a che fare con una battaglia tra gli angeli del paradiso e Lucifero. Non un blockbuster, ma una bella fetta degli spettatori che lo seguono sono fan molto, molto appassionati. Con loro, Supernatural, ha sviluppato un rapporto sanissimo (anche se un po’ particolare): li ha inclusi nella storia.
Il momento culminante di questo processo è nella quarta stagione della serie, in cui i due protagonisti scoprono che le avventure che hanno vissuto fino a quel momento sono pubblicate, dentro alla serie, in una serie di romanzi intitolati Supernatural scritti da un profeta. E i lettori di questi libri, proprio come i veri fan, sono dei veri appassionati.
I due fratelli a varie riprese hanno a che fare con una convention a tema Supernatural organizzata dai fan, con cosplayer vestiti come loro stessi, con personaggi che scrivono fanfiction (nello specifico, fanfiction erotiche) su di loro. Niente di tutto questo è invenzione dell’autore della serie, Eric Kripke. Esistono davvero convention a tema Supernatural, esistono cosplayer dei due fratelli, esistono le fanfiction incestuose (si chiamano Wincest, da incesto + Winchester, il cognome dei due fratelli). Sono tutte espressioni dei fan, che sono state prese, rimasticate e inserite nella serie. Non solo come ironica strizzata d’occhio, ma come elemento narrativo. Dalla loro, i fan non si sono sentiti presi in giro da questa operazione, ma hanno seguito la serie con ancora più passione, portando Supernatural alla (ormai quasi confermata) decima stagione. Giusto per fare un paragone, un successo mondiale come X-Files è riuscito ad arrivare solo fino a 9.