MILANO – Il venerdì mattina in via Canaletto a Milano, poco distante da piazzale Susa, è giorno di mercato comunale. La strada è bloccata al traffico, i marciapiedi sono nascosti sotto i carrellini colorati delle sciure del quartiere. In giro si sentono gli odori acri di formaggi e pesce fresco; e in sottofondo c’è un chiacchiericcio costante, insieme agli insistenti “prego signora” degli abusivi che se la danno a gambe levate appena arrivano i vigili.
Ha un lato vintage, il mercato. Sa sempre un po’ di infanzia, di casa, di zie che tornavano con il pollo arrosto o le caramelle gommose da portare a scuola. E ne ha uno più crudo. Della realtà marchiata 2014 di chi ai negozi con le vetrine non si può più avvicinare. Puoi andare per evadere. Divertirti a cercare occasioni nei cestoni di centrini, tende, tazzine. Oppure vai a metterti in coda al bancone del tonno sott’olio sgomitando con la coppia di anziani che ha fretta e ruba il turno. E ti chiedi cosa mai abbia da fare un pensionato. Poi pensi a tua cugina che ti ha detto che la mamma le fa la spesa e le cura la bambina otto ore al giorno perché il nido ormai costa troppo «e Giacomo entra ed esce dalla cassa integrazione».
I venditori dietro i banconi sono un mix di veterani che calcano le strade dei mercati comunali da più di vent’anni e immigrati che si sono lanciati da poco nella vendita di frutta e verdura, abbigliamento al ribasso o spezie e prodotti dei Paesi d’origine. Al bancone della carne accettano “tutti i tipi di ticket”, quelli che si danno ai lavoratori per essere usati in pausa pranzo e che molti preferiscono spendere per la spesa.
Giunoniche badanti dell’Est spingono apatiche carrozzine troppo pesanti, mentre leggono ad alta voce per l’anziano che ormai ha perso troppi gradi quanto costano i cavoli, le carote, le clementine. Due signore imbellettate, sui sessanta, parlano della mostra di Vincent Van Gogh in città mentre ordinano «un chilo di finocchi e due di arance tarocco». Al banco dei salumi c’è chi decide di comprare «una soppressata e due salamini» come «regalo di compleanno per un amico. E non mi faccia spendere molto, mi raccomando».
Un ragazzo con grandi occhiali neri passa fischiettando con le mani calate nelle tasche dei pantaloni arrotolati alla caviglia. Ragazze in cappotti vintage passeggiano sorridenti.
Il lato hipster e il lato badante del mercato si intrecciano e sciolgono di continuo. Il lato fuga nel tempo e il lato branzino eviscerato al banco del pesce, perché qui è fresco e costa meno di quello surgelato e già bello, pulito e cucinato dei quattro salti in padella. Il lato 10 carciofi a 3 euro e quello papaya incelofanata con cartellino che descrive le proprietà nutritive.
Una signora ben vestita con le perle alle orecchie dice che ormai quella di venire al mercato è un’abitudine. «Abito qui vicino, e so da chi andare». La qualità? «Ma certo che è migliore del supermercato e si spende anche di meno. Basta vedere come sono belli questi banconi con la frutta». E in effetti proprio accanto ai fruttivendoli ci sono le file più lunghe. Non per tutti, chiaro; qui molti si conoscono da anni e sanno di chi fidarsi. Tanto che gli stranieri, quelli abusivi senza una postazione fissa, cercano di attirare i clienti vendendo i carciofi già puliti su piccole cassette di legno. Un servizio in più per qualche centesimo in più. Ma in pochi si avvicinano.
Dietro il bancone del pesce, c’è il rappresentante di una famiglia di pescivendoli da quattro generazioni. «Vendiamo il pesce da 70 anni. E io ho anche gli stessi clienti di mia nonna», dice. Cosa è cambiato nel mercato? «Che ora ci sono gli stranieri senza permesso, prima non era così». E poi c’è qualche cliente in più, quelli che non vanno in pescheria: «Tanti signori che prima non venivano. E poi i filippini, comprano per loro stessi o per le persone per cui lavorano».
«I biscotti che compro ogni settimana sono aumentati, eh!». «Signora, a noi continuano ad aumentare tutto, cosa dovremmo fare?», risponde il proprietario dello stand mentre scarica dal camion gli ultimi sacchetti.
Al mercato ci sono pure gli sbuffi. Di quelli che «qui è tutto bloccato, non si vende più niente». I nuovi, stranieri soprattutto, gli arabi dei jeans a 10 euro, dei calzini “firmati” a 2 e delle borse “di vera pelle” a 15, si lamentano. «Si vende sempre meno». «Pochi soldi». «Poca gente». «C’è crisi». Altri dicono che dipende dalle zone. E c’è la sopravvivenza. Arrivano tre vigili, camminano schierati in fila orizzontale da occupare tutta la stretta corsia tra una bancarella e un’altra. Pare una barricata. Ma i senegalesi con le borse contraffatte una via di fuga l’hanno già trovata.
Tre le bancarelle si aggira anche Katharina Kort, corrispondente in Italia del giornale tedesco Handelsblatt, con passeggino e cane al seguito. «Il sabato non usciamo, così di venerdì ne approfitto per venire al mercato», dice. Ha appena incontrato un ragazzo del Senegal. Un venditore del magazine di strada Terre di mezzo. «Mi ha detto che tra poco parte, lascia l’Italia. Ha trovato un lavoro in Germania».
«Qui ci sono persone di ogni tipo, e con la crisi c’è anche chi prima qui non veniva. Sono tutti molto attenti ai prezzi. Non comprano tutto allo stesso stand, vanno un po’ di qua, un po’ di là, alla ricerca dell’offerta migliore».
Allo stand con le creme, i trucchi e i profumi, si vede anche qualche signora in pelliccia che contratta il prezzo del fondotinta e del fard. Il venditore, che viene dall’Aspromonte e fa questo lavoro «da 22 anni», spiega che «a Milano c’è più gente che compra al mercato, soprattutto con la crisi. Qui viene anche la moglie dell’ingegnere; nella provincia invece no, perché la gente di un certo tipo si vergogna di venire tra le bancarelle». Lui sui prodotti di marca arriva anche a fare sconti fino al 30-40%. «Un profumo Dior che in negozio compri a 120 euro, qui lo trovi a 90. Io posso fare questi prezzi perché di tanto in tanto investo dei soldi, anche 10mila euro, per comprare gli stock scontati e vendo quella roba magari per due anni». Ma attenzione: «Se prima con i soldi che guadagnavi potevi concederti anche qualche distrazione, ora devi stare attento a non magnarteli. Li devi investire di nuovo».
Attorno allo stand del “tutto a 1 euro” è un vespaio di signore che immergono le mani nei cestini e tirano fuori vestiti di ogni tipo: magliette, camicie, pantaloni, zainetti. Qui, altro che saldi. Si trovano anche vestiti a 8 euro, e di questi tempi meglio arraffare tutto e prima degli altri. Si avvicina ogni tipo di persona, anche quelli insospettabili che immagineresti in un negozio delle vie del centro.
Allo stand del pollo arrosto si sente ripetere più volte il nome di Berlusconi. «Signora, ma com’è abbronzata! È stata ospite di Berlusconi ad Antigua?», scherza uno. «No, a San Vittore», risponde lei. E poi è un profluvio di «olgettine», «bunga bunga», e la mafia, e Totò Riina ecc. Il discorso è talmente lungo che tocca riscaldare di nuovo il pollo arrosto confezionato. Più che altro sembra una terapia di gruppo.