I B-52 sembrano leggerissimi mentre galleggiano in quello che immagino essere un cielo azzurro e luminoso. Immagino, perché in realtà è un cielo in bianco e nero che so che prima della fine del film diventerà scuro e incombente. Però adesso quegli aerei enormi e pericolosissimi procedono placidi e silenziosi come cetacei di alluminio, in vista delle maree rassicuranti di un futuro migliore. Mancano solo un paio di minuti a quando Peter Sellers alzerà la cornetta per la prima volta e decreterà il disastro imminente. «Riconosce la mia voce?» «certo, signore, perché lo chiede?».
Il dottor Stranamore – ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba ha fatto la sua comparsa il 29 gennaio 1964, sollevando un polverone di polemiche. Il libro da cui è tratto, Allarme rosso di Peter George, veniva già diffuso nelle basi missilistiche americane da anni come guida pratica agli incidenti nucleari, ma il film non venne accolto con la stessa buona volontà da parte delle istituzioni militari statunitensi. Senza entrare nei particolari della polemica, il capolavoro di Kubrick venne definito un vettore di propaganda rossa abbastanza spesso da convincere più di un critico e sicuramente gran parte dell’elettorato conservatore. «Pericoloso…» scrissero «la brutta rappresentazione di qualcosa di brutto». La maggior parte delle critiche vennero però, come spesso capita quando si toccano i nervi scoperti di una Nazione, a mascherare la paura e si focalizzarono sull’implausibilità. Un esperto dell’Institute for Strategic Studies ha definito gli eventi raccontati nel film «impossibili per una dozzina di ragioni diverse».
Oggi, a cinquant’anni dal momento in cui Jack D. Ripper, generale e folle conclamato, avrebbe dato l’ordine a trentaquattro bombardieri in ronda costante di eseguire il piano R – cioè di colpire altrettanti punti strategici sovietici con ordigni nucleari – sappiamo che alcuni ufficiali statunitensi avevano realmente il potere di scatenare l’inferno senza passare per le alte cariche dello Stato. Il piano R, da attuarsi in caso di morte o irraggiungibilità del Comandante in Capo, aveva forse un altro nome in codice ma era lì, a portata di mano, e possiamo solo speculare sul numero di volte in cui è stato più vicino alla realtà di quanto l’immaginazione di un regista avrebbe potuto osare.
Il problema del controllo delle testate nucleari aveva cominciato a impensierire i Presidenti già dai primi anni cinquanta. Nel 1953, fu Eisenhower ad affrontare per primo la questione, pretendendo il controllo esclusivo degli armamenti. Ma se in caso di attacco il Presidente non fosse stato raggiungibile? Se fosse stato isolato? Chi avrebbe preso la tragica decisione, se il Presidente non ne avesse avuta la possibilità?
Con grande riluttanza, Eisenhower concesse che alcuni ufficiali scelti venissero formati per la gestione delle crisi nucleari internazionali e avessero, di fatto, accesso alla piattaforma di lancio delle testate a larghissimo raggio. I piloti vennero autorizzati ad attaccare i bombardieri russi che avessero provato a introdursi nello spazio aereo americano e sei generali vennero autorizzati all’utilizzo di armi nucleari minori nel caso si trovassero sotto attacco e «l’emergenza delle circostanze non permettesse chiaramente una decisione specifica del Presidente o di qualsiasi altra persona autorizzata ad agire in sua vece». La preoccupazione di Eisenhower era che, conferendo questo tipo di libertà, si potesse andare incontro ad abusi di potere. Se non a un vero e proprio «crollo a catena delle istituzioni, che in una serie di iniziative personali conducesse all’esplosione incontrollata di una guerra nucleare». La crisi di Ripper, in pratica, e l’impossibilità successiva di richiamare alla ragione il maggiore T.J. “King” Kong.
L’amministrazione Kennedy prese la decisione di bloccare i congegni in custodia alle basi NATO dopo la preoccupante rivelazione che «un ufficiale, di fronte a una minaccia concreta e sostanziale, potesse dare il via a un olocausto termonucleare senza consultarla» come si leggeva in un memo top-secret indirizzato al Presidente. Gli interruttori elettromeccanici vennero chiamati PALs (Permissive Action Links) e resero inutilizzabili gli ordigni senza i codici di sblocco, che sarebbero stati comunicati alla NATO solo nel caso in cui la Casa Bianca si fosse trovata nella necessità di fronteggiare un attacco sovietico. Il provvedimento aveva valore per gli armamenti custoditi dalle basi in Europa ma non per quanto riguardava quelli presenti sul territorio statunitense.
I generali erano convinti che bastasse la disciplina di ferro impartita ai militari per prevenire ed eventualmente scongiurare colpi di testa. Si arrivò a un sistema a due uomini, che rendesse relativamente complicato per chiunque azionare un armamento nucleare senza permesso, ma che non limitasse, di fatto, la libertà degli ufficiali. Lo Human Reliability Program venne istituito per controllare e limitare l’accesso agli armamenti a chi non fosse ritenuto psicologicamente idoneo – per inciso, lo HRP esiste ancora, ma non sembra essere troppo efficace. È notizia di poco tempo fa l’arresto di due ufficiali incaricati del controllo degli ordigni a largo raggio: Tim Giardina, per aver utilizzato fiches false in un casinò dell’Iowa e Michael Carey per essersi fatto trovare ubriaco in compagnia di alcune prostitute in un locale di Mosca, dove tentava di salire sul palco ed esibirsi con un cover-band dei Beatles. Contro il parere della band, naturalmente.
Malgrado l’incremento delle precauzioni, nell’inverno del 1964, quando Il dottor Stranamore usciva nelle sale, non c’era nulla che potesse impedire, nella pratica, a una squadra missilistica statunitense di usare le proprie armi contro i sovietici senza il parere degli alti papaveri. Kubrick condusse per anni ricerche a riguardo, consultò gli esperti e lavorò fianco a fianco di George, autore del libro che avrebbe ispirato il film ma anche ex pilota della R.A.F. e arrivò a quella che, malgrado le perplessità del momento, si sarebbe poi rivelata una rappresentazione molto vicina alla realtà, tanto che lo stesso Segretario della Difesa McNamara confessò, dopo la fine del suo mandato, di essersi preoccupato che un incidente, un errore, o un ufficiale troppo zelante avrebbe potuto avviare un conflitto nucleare.
Nei primi anni ’70, un sistema a codici simile a quello applicato alle testate NATO venne impartito anche agli armamenti in Patria, contro il parere della Marina – che oggi, tuttavia, nega questa presa di posizione. Numerose fonti tra quelle utilizzate da Eric Schlosser per un’analisi sul New Yorker confermano che il codice fosse uguale per tutti i missili: 00000000 (non è più così, si spera).
C’è un’altra cosa piuttosto inquietante e che sembra aver anticipato la realtà nel Dottor Stranamore: l’Ordigno Fine del Mondo. Circa dieci anni dopo l’uscita del film di Kubrick, i russi cominciarono a lavorare su un sistema di lancio automatico di missili a lungo raggio nel caso di un attacco statunitense, che garantiva non soltanto una pronta risposta, ma anche un effetto deterrente nella certezza che se gli USA avessero attaccato per primi avrebbero scatenato una catena di distruzione sistematica. L’Ordigno Fine del Mondo avrebbe reso la Terra inabitabile per novantacinque anni. Le stesse premesse, nella sostanza, ma – come spiega proprio Strangelove – «l’effetto dell’Ordigno è nullo, se la sua esistenza è mantenuta segreta». Il nemico deve sapere per fermarsi prima che sia troppo tardi, e forse l’America avrebbe saputo se le cose fossero andate solo poco diversamente, se la storia avesse deviato di un soffio e la realtà si fosse tradotta in quella storia che, per nostra fortuna, oggi è delegata alla finzione.