Viaggio a Tor Bella Monaca, tra droga e redenzione

Reportage nel buco nero di Roma

Il 2014 di Tor Bella Monaca è stato annunciato dall’agguato a un diciassettenne, ucciso in strada con due colpi alla testa. Un’esecuzione spietata a pochi metri da via Santa Rita da Cascia, la “santa dell’impossibile” che qui veglia sconsolata sui palazzoni. Nei giorni successivi una girandola di arresti tra i pusher della zona e un’altra guerra di bande consumata di notte, con pistole cariche nascoste in una Smart. A Tor Bella Monaca il rosario della malavita si sgrana nelle notizie di cronaca degli ultimi mesi: risse, accoltellamenti, sparatorie, omicidi, regolamenti di conti. E poi le fortificazioni nei pianerottoli dei palazzi con cancelli, videocitofoni e doppie porte per spacciare in santa pace aggirando gli sbirri.

I lampeggianti blu appaiono per i posti di blocco, ultimi quelli del 17 gennaio quando 150 carabinieri del Comando Provinciale di Roma hanno passato al setaccio la zona con elicottero, unità cinofile e pattuglie in borghese controllando persino gli autobus. Eppure, tra gli abitanti, più di qualcuno sbotta:

«Se la cavano con una retata e poi tutto torna come prima».

Non mancano i blitz nei condomini, roccaforti inespugnabili dove comanda l’anti-Stato. Lì dentro vivono centinaia di individui agli arresti domiciliari: tra appartamenti, garage e scantinati fattura la prima industria del quartiere.

Il core business è lo spaccio con un filo diretto che chiama in causa Campania e Calabria, camorra e ’ndrangheta: nuovi boss e vecchie tecniche commerciali scavalcano le regioni e s’incontrano qui. Cocaina, eroina, marijuana in un mercato aperto h24 a prezzi competitivi, «punto di riferimento per la città» sottolineano gli inquirenti. Appena due mesi fa i carabinieri hanno arrestato un corriere della droga che in auto trasportava 106 kg di erba. Oppure la roba si infila in lavatrice, nella scatola delle scarpe, tra i giochi dei bimbi. Le dosi vengono confezionate nelle case-bunker dei pregiudicati, compresi pesci piccoli e disoccupati: una decina le famiglie che dirigono il traffico (i cognomi ricorrenti sono Casamonica, Alvaro, Piromalli), trecento quelle che si mantengono coi proventi. L’attività è talmente capillare da risultare invisibile, a prova di “guardie”. Gli stupefacenti assediano strade come via dell’Archeologia, fortino della malavita dove abitava pure D’Artagnan, al secolo Roberto Cercelletta, noto ladro di monetine a Fontana di Trevi. «Se la sera passi a via dell’Archeologia e non sei del luogo vieni fermato e identificato dalle vedette». Di giorno ti fissano quando transiti con l’auto, in una strada che ostenta silenzi surreali e contraddizioni spiazzanti. Sullo stesso viale svettano un istituto con scuola elementare e media ma anche il laboratorio di arte sperimentale aperto dalla Comunità di Sant’Egidio.

Il consumo di droga non è appannaggio dei soli tossici: la noia è il collante che porta gli adolescenti a “farsi” nel tempo libero mentre altri di loro vengono arruolati dai boss e fanno gli spacciatori al dettaglio. I parchi diventano oasi del buco a cielo aperto, dove i rifiuti si mischiano agli aghi. In zona gira il camper della fondazione Villa Maraini con gli operatori che forniscono siringhe e acqua distillata «per prevenire la diffusione di malattie infettive» e fanno pronto intervento per almeno «150 casi di overdose all’anno». Capita che alla scuola elementare del quartiere la maestra sorprenda una sua alunna sonnecchiante con la testa poggiata sul banco: «Ieri notte non ho dormito, ho aiutato mamma e papà a fare le bustine di zucchero». Che zucchero non era.

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Nella città eterna è conosciuta come Tbm o Tor Bella, sui media passa con il marchio di “Scampia romana” (per la stessa strategia commerciale sulla droga) o “Bronx capitolino”. Incastonata tra via Casilina e il Grande Raccordo Anulare cresce negli anni Ottanta con i piani di edilizia popolare per rispondere all’emergenza abitativa. Ma l’urbanizzazione è ciclopica, spazi ampi e poco interconnessi, per di più vi si fanno convergere inquilini con bagagli pieni di disagio socio-economico. Nel tempo Tor Bella diventa una borgata dormitorio: tanti palazzoni, poco altro. «Te piace ’sto tono de griggio?», recitava beffardo un murales in via Orazio Placidi. Siamo nel terzo municipio più popoloso della Capitale, eppure non esiste un cinema e in attesa della linea C la fermata della metro più vicina è a otto chilometri di distanza, venti minuti di auto se non c’è traffico. «Però è pieno di supermercati e discount, uno strano concetto di servizi avallati dal Comune». Un mondo che per molti comincia e finisce qui, tra le mura immaginarie di una fortezza che di romano conserva l’accento.

Percorrendo le strade della zona balza agli occhi un alveare di torri che scalano il cielo con quindici piani e migliaia di inquilini nel giro di pochi metri quadri. «Una gabbia a cielo aperto», la descrive chi ci vive. A identificare i comparti abitativi ci pensano sigle anonime come la loro architettura: R8, R11 oppure R5, quest’ultimo un serpentone di palazzi che appesantisce i due chilometri di via dell’Archeologia. Manutenzione carente, androni e ascensori fatiscenti. Scarseggiano pure i collegamenti col centro città, che rendono Tor Bella un microcosmo condannato a lavare i propri panni sporchi: dalla carenza di servizi sociali al degrado degli spazi pubblici, dai reati contro il patrimonio alle liti condominiali che sfociano nel sangue, fino alle occupazioni abusive di appartamenti. Con il sindacato degli inquilini che nel 2011 denunciava: «Non riusciamo a rappresentare chi abita in quelle case perché c’è un’alta percentuale di pregiudicati». La stazione dei carabinieri ha i ritmi di un ufficio postale, entrano ed escono decine di persone: c’è il “pischello” che ha l’obbligo di firma, il marito che ha appena saputo del fermo della moglie, il signore a cui è stata rubata l’auto.

Il colore dominante è il grigio, quello dei palazzoni e delle nuvole che negano nuova luce a un perimetro dannato. Tbm è periferia nel corpo e nell’anima, capro espiatorio di una città troppo grande per occuparsi dei suoi quartieri problematici. Un pozzo di cronaca nera a uso e consumo dei media, zona franca di torri scrostate e prati verdi dove il controllo del territorio è in mano a pattuglie di spacciatori. «Il 90% delle violenze perpetrate qui non si vede, le trovi nelle ferite dell’animo delle persone», era solito dire il capitano della polizia locale Dario Guidaldi. In giro per questi marciapiedi la discrezione è compagna di vita, «se vedi qualcosa di storto abbassi lo sguardo e tiri dritto» e pure nel bar a due passi dal Municipio campeggia una scritta sulle slot: «Si prega di non disturbare i giocatori». Nel 2010 Alemanno lancia l’idea: abbattere le torri e ricostruire il quartiere, il progetto va avanti per mesi e approda in Campidoglio salvo poi essere archiviato dalla nuova giunta. «Il problema non è il contenitore ma il contenuto», ripete qualcuno. «Servirebbe un sindaco che ci capisse – riflette Andrea, studente di 23 anni – magari proprio uno di Tor Bella Monaca», dove il paese reale è sublimato nel campionario di problemi e contraddizioni quotidiane.

I dati parlano chiaro: la borgata ingurgita 30.000 abitanti (dei 250.000 che popolano il 6° Municipio), suddivisi tra il 70% di lavoratori perbene e un 30% che delinque, con centinaia di arresti in un anno. Metà degli alloggi è di proprietà del Comune o dell’Ater. Qui, dove il reddito medio è inferiore ai 1.500 euro e il numero di disabili s’impenna, primeggiano l’età media più bassa della Capitale e un elevato tasso di dispersione scolastica (15% contro il 9% medio di Roma) perché «gli alunni che non hanno famiglie strutturate alle spalle sono destinati all’insuccesso scolastico». I problemi maggiori riguardano le scuole medie, dove è capitato che il 25% delle pagelle non fossero mai state ritirate dai genitori. Il tutto accompagnato da una crescita demografica impetuosa: dal 1991 al 2004 i residenti di Tbm sono aumentati del 10% mentre a Roma sono diminuiti mediamente del 2,6%.

La parrocchia Santa Maria Madre del Redentore è «una struttura verticale alta e ardita, progettata così perché non si confondesse con l’impersonalità delle torri e per dire agli uomini di rialzare la testa». Il parroco si chiama don Francesco De Franco e distribuisce 250 pacchi alimentari al mese. Nel suo oratorio si fanno pittura e kick boxing, pallavolo e danza moderna. Quando finisce la scuola partono i campi estivi per centinaia di bambini. Tor Bella Monaca balla sugli ossimori: alleva la criminalità e ospita uno dei migliori licei scientifici di Roma, l’Edoardo Amaldi, 1300 studenti. A pochi metri c’è il teatro comunale il cui red carpet è stato calcato da Sylvester Stallone e Leonardo Di Caprio, oggi vanno in scena gli spettacoli con Corrado Tedeschi e Massimo Wertmuller. Ventimila biglietti venduti negli ultimi dieci mesi anche se, annota un dipendente, «la gestione cambia quasi una volta l’anno, bisogna sempre ricominciare da zero per coinvolgere il territorio e le scuole».

Ogni volta che i telegiornale nominano il quartiere scatta la sentenza di condanna mediatica per gli abitanti, per i ragazzi che a Tor Bella impastano socialità, per gli adulti che hanno deciso di non abbandonare quei luoghi: «Sarebbe troppo facile scappare, bisogna restare e mettersi in gioco». Tanti altri vivono bene e giurano che da qui non se andrebbero mai. La maggioranza silenziosa è un popolo che misura la quotidianità con una borgata dalla fama inquietante ma umana come tante altre, figlia di un dio minore che di lei si ricorda a intermittenza. Magari per celebrarne i personaggi illustri nati e cresciuti qui, come la velina Federica Nargi o la nuotatrice Alessia Filippi.

Tor Bella non è il ghetto dove la gente si lamenta. Sono in molti a non aspettare la manna dal cielo, uomini e donne che spendono tempo e competenze per rispondere alle emergenze sociali. Si contano associazioni, sindacati e case di accoglienza. Dai corsi di ballo alla medicina solidale, da “El Che’ntro sociale” di Mario Cecchetti alle suore di Madre Teresa. Storie di sussidiarietà e amicizia come il doposcuola gratuito “Libertà va cercando” messo in piedi dalla professoressa Cinetta D’Antrassi con il supporto di venti studenti universitari che donano i loro pomeriggi per aiutare ragazzi di scuole medie e superiori. Gli assistiti sono centoventi in quattro giorni settimanali, senza contare una lunga lista d’attesa. «Non siamo un corso di recupero, quello lo fa la scuola – spiega Cinetta a Linkiesta – noi vogliamo scommettere sul fatto che lo studio non sia una pillola ma qualcosa che c’entra con noi stessi, proponiamo lo studio come una scoperta». 

I giovani che si salvano sono quelli che resistono alle sirene dello spaccio e al pascolo nel nichilismo. Studiano, lavorano, inventano. Li scopri rapper, volontari alla Caritas o appassionati di parkour, disciplina metropolitana che trasforma muri e palazzoni in sport. Ne sanno qualcosa i ragazzi del progetto Momu, che organizzano corsi per tutti. Ci sono bimbi di famiglie disagiate, adolescenti rom o anziani che frequentano lezioni di arti marziali. Spiega Monica: «La trasformazione del corpo può produrre un mutamento nella persona, in palestra chiediamo disciplina e preparazione mentale». Mancano mezzi e infrastrutture, ci si organizza come si può «ma strappiamo tanti adolescenti alla noia che, senza nulla da fare, finirebbero nella droga». Il maestro Gianpaolo organizza pure «urban guerrilla» per riqualificare i luoghi degradati. «Non si vedono aiuti dall’alto e i meccanismi burocratici sono stagnanti, noi non bastiamo».

Lo sa bene Enrico Stefàno, classe 1987, studi scientifici all’Amaldi e laurea in legge nella vicina università di Tor Vergata. Oggi fa il consigliere comunale al Campidoglio per il Movimento 5 Stelle: «Sono orgoglioso di essere nato e cresciuto qui nonostante Tor Bella Monaca sia uno dei “non-luoghi” scollegati dalla città». Il quartiere, spiega Stefàno a Linkiesta, è una fucina di «punti di formazione promossi da persone oneste che sfornano eccellenze. Siamo il municipio anagraficamente più giovane di Roma e abbiamo un potenziale che può dare tanto». Il fattore decisivo è quello umano: innesta carburante nel motore di “Tor Bella”, dà l’esempio e offre un’alternativa. Lo stesso che colora le torri e accende le menti di un quartiere dormitorio, oggi più sveglio che mai.