Il perimetro del reato di vilipendio nei confronti del Presidente della Repubblica si è molto ristretto rispetto a quando Giovannino Guareschi, scrittore e giornalista, fu condannato nel 1950 per una serie di disegni che facevano satira su Luigi Einaudi.
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Le vignette, apparse sulla rivista diretta da Guareschi Candido (disegnate da Carletto Manzoni), ritraevano l’allora Capo dello Stato intento a passare in rassegna le bottiglie del “suo” Nebbiolo come fossero corazzieri al Quirinale. Tanto bastò per comminare al padre di Peppone e Don Camillo otto mesi di carcere, sospesi con la condizionale, ma che furono poi scontati nel 1954, quando arrivò una seconda condanna per diffamazione ai danni di Alcide De Gasperi. Pur di non chiedere la grazia al Presidente, Guareschi – monarchico “perché in Italia non c’è più il Re” – passò più di un anno dietro le sbarre.
Giorgio Sorial, deputato del Movimento 5 Stelle, rischia una condanna da uno a cinque anni per aver definito il presidente Napolitano un “boia” (in considerazione del suo atteggiamento ritenuto di scarsa garanzia nei confronti delle opposizioni). La procura di Roma ha aperto un fascicolo, anche in seguito alla denuncia presentata dalla parlamentare Pd Stella Bianchi. Per procedere il pm avrà comunque bisogno del “via libera” del ministro della Giustizia. Sorial “rischia” solamente il carcere perché, rispetto ai tempi di Guareschi, la tolleranza nei confronti degli insulti al Quirinale (e non solo) è aumentata in modo considerevole.
I reati di vilipendio politico erano già previsti nelle leggi dell’Italia monarchica (codice Zanardelli) e furono ulteriormente rafforzati durante il fascismo. Con l’avvento della Repubblica e della Costituzione si creò una corrente in dottrina che ne chiedeva l’abolizione, per via del contrasto con la libertà di espressione del pensiero, ma la Corte Costituzionale nel 1974 rigettò la questione sostenendo che il bene giuridico del “prestigio delle istituzioni” avesse rilievo costituzionale e meritasse quindi tutela. Fino agli anni ’90 non si registrano comunque altri casi giudiziari, ma con la Seconda Repubblica, e Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale, la situazione cambia.
Bossi, Berlusconi, Fini, Previti, Ferrara, Pannella e altri finiscono indagati per vilipendio a seguito delle polemiche nate dal “ribaltone” con cui termina il primo esperimento di governo di Berlusconi nel 1994. Nessuna condanna definitiva tuttavia, tranne quella per Licio Gelli – il “maestro venerabile” della loggia P2 – per un articolo dal titolo «Ma Scalfaro è davvero cattolico?». Il successivo settennato di Carlo Azeglio Ciampi passa senza incidenti, mentre Napolitano non è altrettanto fortunato. Dal Pdl all’Italia dei Valori, passando per la Lega Nord e Storace, fino ad arrivare ai grillini, molti attori in molte occasioni attaccano il Capo dello Stato: insinuando dubbi sulle sue capacità mentali (o anche solo di rimanere sveglio), rinfacciandogli l’appoggio (vecchio di 58 anni) all’invasione sovietica dell’Ungheria, accusandolo di attuare piani eversivi per la democrazia e via dicendo.
Prima del caso Sorial la questione del vilipendio aveva già coinvolto Napolitano e i grillini nel maggio del 2012, quando 22 simpatizzanti del Movimento 5 Stelle vengono indagati dalla procura di Nocera Inferiore per aver scritto commenti altamente offensivi su diversi siti web, di seguito a un post in cui il comico genovese dava della “salma” al Presidente. Allora Beppe Grillo lanciò una battaglia per l’abolizione del reato di vilipendio, “retaggio fascista”, rivolgendosi direttamente al Quirinale. Ma dal Colle si rispose che non dipende dal Presidente fissare l’agenda legislativa del Parlamento e che, in ogni caso, non è su sua istanza che si procede contro il reato di vilipendio.
Il quadro normativo è quindi rimasto immutato e il reato di vilipendio viene ancora adesso perseguito più che sulla base di parametri oggettivi su quella del clamore mediatico che l’insulto al presidente della Repubblica suscita. Nel 2006 si intervenne per sostituire al carcere le sanzioni pecuniarie nella maggior parte degli altri reati di vilipendio (alla nazione, alla bandiera, alla religione, etc). Nell’impossibilità di accordarsi sull’abolizione del reato in questione – i contrari sostengono che si finirebbe con lo sdoganare l’insulto alle istituzioni, e il turpiloquio di questi ultimi anni peggiorerebbe ulteriormente – sarebbe opportuno almeno accordarsi sull’evitare il carcere a chi, per quanto in modo inappropriato, sta esprimendo il proprio pensiero.