Il 2013 appena concluso ha rappresentato un anno decisivo per il Corridoio meridionale del gas, il progetto politico immaginato per diversificare le importazioni europee attraverso l’accesso diretto ai produttori del Bacino del Caspio e delle aree limitrofe. Un progetto discusso da oltre un decennio e arrivato alla sua ufficializzazione da parte della Commissione Europea nel 2008, ma – complice la crisi – rimasto in sospeso fino all’anno appena concluso. Nel mese di giugno è stato finalmente scelto il Trans Adriatic Pipeline (TAP) come tratto finale dell’infrastruttura che porterà il gas azerbaigiano su mercati finali europei. Nel mese di dicembre è poi arrivata l’attesa firma della decisione finale d’investimento relativa alla seconda fase di Shah Deniz, il giacimento da cui sarà materialmente estratto il gas.
Si completa così tutta la catena, dal produttore al consumatore. A partire dalla fine di questo decennio, il gas prodotto nel settore azerbaigiano del Caspio sarà così trasportato attraverso Azerbaigian e Georgia dal South Caucasus Pipeline Expansion (693 km). Dal confine georgiano, poi, il gas attraverserà tutta la Turchia fino al confine con la Grecia, trasportato dal Trans Anatolian Pipeline (1.300 km). Il tratto finale è quello che interesserà più da vicino il nostro Paese: il TAP attraverserà la Grecia (550 km), l’Albania (210 km) e il Canale d’Otranto (105 m), arrivando infine sulle coste pugliesi.
Per l’Italia, si tratta di un successo: il sistema di approvvigionamento nazionale avrà infatti nuova direttrice di approvvigionamento, da affiancare alle tre esistenti (Nord Europa, Russia e Nord Africa). Un esito tutt’altro che scontato, dato che il TAP stava correndo un testa a testa con il Nabucco West, il gasdotto alternativo che avrebbe portato il gas dalla Turchia fino all’Austria. Privando l’Italia della possibilità di diversificare le infrastrutture e di aumentare così la sicurezza delle proprie importazioni, che coprono circa il 90% dei consumi nazionali di gas.
Una vittoria condivisa con Grecia e Albania, due Paesi storicamente vicini all’Italia. Nell’ultimo anno, i tre governi hanno fatto fronte comune per portare a casa il risultato. Un sostegno politico importante, soprattutto considerando che il Nabucco West – pur essendo in tutto e per tutto analogo al TAP – godeva di un occhio di riguardo da parte della Commissione Europea. A decidere sono stati però i fondamentali economici. Il TAP è infatti il progetto più breve e con le tariffe più basse. Inoltre, porta a un grande mercato che, per quanto in crisi, resta pur sempre il terzo del continente. E questo senza considerare che l’evoluzione dei mercati europei va verso un mercato sempre più unico e virtuale, nel quale i punti di ingresso fisico saranno sempre meno rilevanti.La superiorità economica del TAP si è così tradotta nella capacità di allineare gli acquirenti finali, quelli che effettivamente commercializzeranno il gas. E senza la firma dei quali il tubo non si posa mai. A settembre è stata difatti annunciata la chiusura degli accordi con un operatore bulgaro, uno greco e sette attivi sul mercato italiano, che nel complesso si sono impegnati a comprare tutto il gas trasportato dal TAP (10 miliardi di metri cubi, Gmc) per venticinque anni.
Più economia che politica, insomma. Anche perché a conti fatti il nuovo gasdotto avrà una qualche rilevanza in termini di sicurezza energetica soprattutto per il sistema italiano, che vedrà un aumento della capacità di importazione totale pari al 10% dei consumi totali e una diversificazione dei fornitori. Nell’insieme, un impatto comunque di poco superiore a quello di un rigassificatore. Ma che non costerà nulla ai consumatori italiani, perché il progetto è privato e la SEN esclude ogni forma di sostegno pubblico. A livello europeo, invece, l’impatto della concretizzazione del Corridoio meridionale sarà tutto sommato molto modesto. A regime, l’infrastruttura coprirà meno del 2% del fabbisogno europeo: nulla di comparabile col 25% russo o il 20% norvegese. E anche in caso si realizzasse in futuro l’ipotizzato raddoppio della capacità, non cambierebbe certo la geografia dell’approvvigionamento europeo. Si tratta in ogni caso dell’unica opzione disponibile lungo quella direttrice. Il progetto di Corridoio meridionale è stato spesso utilizzato come strumento retorico e con una certa ambiguità sui numeri. Nei documenti ufficiali si parla anche di gas mediorientale e centroasiatico, ma l’ipotesi di portare grandi quantità di gas iracheno o iraniano sui mercati europei non rappresenta attualmente un’alternativa praticabile. Sia per ragioni economiche, sia per evidenti ragioni di stabilità politica.
Quanto all’accesso alle enormi riserve turkmene, l’insormontabilità del veto russo all’attraversamento del Caspio e il rapporto sempre più stretto tra Ashgabat e Pechino sono da anni evidenti. E cortesie diplomatiche a parte, i clienti europei sono tagliati fuori. Il Corridoio meridionale, adesso e certamente fino al prossimo decennio, è dunque un gioco che inizia a finisce a Baku. E proprio per il governo azerbaigiano la realizzazione delle infrastrutture che danno corpo al Corridoio rappresentano un importante vittoria politica, con un valore che va oltre i cospicui vantaggi economici. A partire dalla metà degli anni Novanta, il governo di Baku ha fatto dell’apertura del settore energetico il pilastro sia del proprio sviluppo economico, sia della difesa della ritrovata indipendenza politica da Mosca. Una strategia che ha fin qui pagato ampi dividendi e che con la realizzazione del Corridoio affiancherà alle esportazioni petrolifere anche quelle di metano, impegnando in un progetto da 25 miliardi di dollari le compagnie europee. E i loro governi di riferimento, che avranno tutto l’interesse a difendere lo status quo.
La costruzione dei nuovi gasdotti rafforzerà poi il legame tra l’Azerbaigian e i vicini turchi, che negli ultimi anni stanno ricevendo crescenti investimenti da parte delle compagnie di stato azerbaigiane. Con la realizzazione del TANAP, oltre al gas in transito verso l’Europa, arriveranno in Turchia anche 6 Gmc all’anno per il mercato interno, in forte crescita. Facendo di Baku il secondo fornitore turco, dopo la Russia.
Una partita che si chiude con tanti vincitori, collegati da un lungo tubo d’acciaio che correrà dalle coste del Caspio a quelle della Puglia. E con alcuni perdenti: le compagnie che avevano creduto al progetto Nabucco, i governi di Austria e Ungheria che non potranno diversificare le rispettive reti e, soprattutto, la Commissione Europea, che ha cercato di intervenire in un contesto complesso senza fare i conti con le variabili politiche ed economiche sul campo.