La sala del Cavaliere scotta più del palco dell’Ariston. Zero contenuti, men che meno canzonette, l’incontro-scontro tra Matteo Renzi e Beppe Grillo è un botta e risposta che semina scorie. Alla fine del duello rusticano sono in molti tra i grillini ad assegnare la vittoria nelle mani di Beppe. Lo streaming si rivela arma a doppio taglio, ring dove colpire a bruciapelo senza il tempo di repliche o approfondimenti. Più mazza ferrata che fioretto. I tempi televisivi sono quelli di uno show, la tensione quella tipica di una resa dei conti a due in cui gli altri presenti masticano il ruolo delle comparse: «Delrio deve pensare alla differenziata», intanto Di Maio annuisce a braccia conserte.
«Sono venuto qui solo perché me l’hanno chiesto», ripete l’ex comico. La prova di forza esibita a Montecitorio non è la prima ma neanche una qualunque. Spinto controvoglia nella Capitale dal voto degli attivisti che ha sconfessato le indicazioni sue e di Casaleggio sulle consultazioni, Grillo suona a memoria lo spartito elettorale delle origini. L’intransigenza mista a scherno davanti al premier, la vena monologhista impermeabile al contradditorio e la sfuriata coi giornalisti ricalcano le regole d’ingaggio di una battaglia muscolare che il leader ha preparato in una notte, ma covato per mesi. «Posso sbagliare o dire parolacce ma intellettualmente mi sento a posto». Quel «tutti a casa» declinato di fronte alle telecamere è il rifugio strategico dal nervosismo di una rincorsa elettorale all’ex rottamatore, ora in plancia di comando a Palazzo Chigi.
«Beppe esci dal blog», chiede Renzi prima di essere ribatezzato «l’avatar di De Benedetti», ultimo nickname di un archivio letterario custodito sul blog dell’ex comico che continua ad attaccare a testa bassa, quasi in apnea: «Qualsiasi cosa dici non sei credibile». Con streaming e conferenza stampa Grillo firma il manifesto dell’opposizione stellata al nascituro governo, blinda la marcia grazie a suggestioni e provocazioni che fanno saltare dalla sedia anche qualcuno dei suoi. Rilancia lo schema dell’uno contro tutti, del Movimento pronto a uccidere un esecutivo non ancora nato ma già schedato negli uffici della Casaleggio. La performance fomenta il popolo stellato e i parlamentari ortodossi, iniezione di adrenalina nel sangue dei Cinque Stelle e tagliando di legittimazione della guerra contro «corrotti, poteri forti e persone senza credibilità». Intanto i cittadini portavoce si riuniscono negli uffici o nelle salette fumatori di Montecitorio e palazzo Madama, ogni luogo è buono per seguire il derby tra i due alfieri del cambiamento, aspiranti monopolisti di un elettorato deluso tendenza astensione.
Prima e dopo lo show Grillo riunisce i parlamentari, si concede una foto con Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, i veri giovani lodati per onestà e impegno, che «si preparano e stanno crescendo perché studiano», investiti dalla leadership genovese. Gli altri festeggiano sui social network. Carlo Sibilia è raggiante: «Ha detto quello che vogliono dire gli italiani onesti, patetici quelli che si lamentano di Grillo “non costruttivo”», Vega Colonnese si spinge oltre: «Se tutti i miliardari avessero la metà del senso della società che ha Beppe avremmo una società diversa». Ma dal blog al Palazzo c’è pure un sottobosco di voci «perplesse» se non apertamente deluse. Attivisti che parlano di «vittoria di Pirro» e di una prestazione sì passionale, ma priva di dibattito. Qualcuno accusa il leader di «non aver rispettato la volontà popolare» nel corso di un faccia a faccia «che non è servito a nulla se non a prendere in giro chi ha votato per le consultazioni».
Qualche muso lungo si trova anche nei palazzi della politica: tra Camera e Senato il disagio lambisce i parlamentari M5s ascrivibili all’ala dialogante. Speravano nelle consultazioni per «sentire le proposte di Renzi, provare a portare le nostre». E invece niente, nessun racconto nè una spiegazione. È lo show del muro contro muro che non accontenta gli aperturisti e lascia l’amaro in bocca celato tra silenzi e profili bassi. Il deputato laziale Cristian Iannuzzi si lascia andare: «Sono avvilito dall’andazzo che sta prendendo questo Movimento». Palpabile la delusione della senatrice Serenella Fucksia: «Da questo incontro poteva uscire la bellezza del Movimento, ma il meglio si è perso per strada. Il nostro megafono poteva essere più incisivo nel proporre il programma politico, poteva anche lasciarlo fare ai parlamentari ma ha preferito un monologo, non recependo l’indicazione del Movimento ma interpretando il suo dovere. Io mi aspettavo altro».
I buoni propositi erano tanti, come quelli esposti alla vigilia dal senatore Francesco Campanella: «Io sono per consegnare a Renzi le nostre idee per il paese, se poi ci dovesse dire di no, come prevedibile, rivendicherei la nostra serietà». Oltre a spiazzare Grillo e lo staff, l’esito a sorpresa del voto online aveva galvanizzato gli aperturisti ed esplicitato «la voglia di fare un passo avanti». Invece non ce n’è stato il tempo. «Vai lì e neanche lo fai parlare cinque minuti» chiosa Luis Orellana, comunque concorde sul fatto che «Renzi non sia credibile». In serata lo stesso parlamentare firma una nota insieme a Lorenzo Battista, Fabrizio Bocchino e Francesco Campanella esprimendo «perplessità per il modo in cui Beppe Grillo ha inteso approcciare il colloquio con il presidente del Consiglio incaricato».
Qualcun altro contesta al fondatore M5s la bontà dei passaggi letterali durante la conferenza stampa: «Grillo ha detto che non conta la proposta ma chi la propone, il contrario di quello che professa da mesi, cioè che noi dovremmo votare i provvedimenti più vicini all’orientamento del Movimento a prescindere dalla provenienza politica degli stessi». Disorientamento con qualche punta di irritazione, ma il voto di sfiducia nei confronti di Renzi, almeno finora, non è mai stato in discussione anche perché equivarrebbe alla cacciata automatica dal Movimento.
Il responsabile comunicazione della segreteria Pd Francesco Nicodemo si dice certo che «non pochi parlamentari pentastellati si opporranno con dignità e orgoglio a questa umiliazione». Il dibattito interno ai malpancisti è quello di chi tra mille sfumature continua a chiedere spazi per un confronto aperto o quantomeno «per verificare le carte del governo» in caso di riforme e provvedimenti di lungo periodo. Ora i margini per un’opposizione «costruttiva» si assottigliano. A chiudere il cerchio, tagliando le ali ai voli pindarici, ci pensa Luigi Di Maio: «Il Movimento è andato alle consultazioni di Renzi, non avevamo niente da dirgli, sono persone senza credibilità che aspetteremo alla prova dei voti in Aula. Chi si aspettava altro credo che non abbia capito lo spirito di questo Movimento». Oggi di lotta, domani chissà.