Il modello tedesco sul lavoro, che per il premier Matteo Renzi l’Italia deve imitare, è un mix di alta flessibilità, integrazione scuola-lavoro, efficienti servizi all’impiego e regole che obbligano chi vuole il sussidio ad accettare ogni lavoro. Dal 2004 al 2013 il tasso di disoccupazione della Germania è diminuito dal 10,5% al 5,3%. E, soprattutto, l’occupazione complessiva è aumentata per otto anni consecutivi, a quota 42 milioni di unità. Anche se il vero segreto del boom tedesco non sta tanto nelle celebrate riforme “Hartz”, bensì nella capacità di riformare le relazioni industriali e decentrare la contrattazione salariale, come spiega l’analisi che ripubblichiamo.
Dalla fine degli anni Novanta fino ai primi Duemila, la Germania era spesso definita “il malato d’Europa”. Oggi, dopo la grande recessione, la Germania è descritta come una grande potenza economica. Il numero totale di disoccupati è sceso da 5 milioni nel 2005 a circa 3 milioni nel 2008, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 7,7 per cento nel 2010. L’export ha raggiunto un picco di 1.700 miliardi di dollari nel 2011, che è uguale alla metà del Pil del paese e al 7,7 per cento dell’export mondiale.
OGGI TUTTI AL TRAINO DEI TEDESCHI
Come ha fatto la Germania, con il quarto Pil mondiale (dopo Stati Uniti, Cina e Giappone) a trasformarsi da “malato d’Europa” a locomotiva del continente? In una recente pubblicazione abbiamo concluso che:
– L’incredibile trasformazione dell’economia tedesca è dovuta a un processo di decentralizzazione della contrattazione del lavoro senza precedenti. Ciò ha portato a una riduzione del costo del lavoro e alla crescita della competitività.
– Questo processo di decentralizzazione è stato reso possibile dalla struttura e dall’autonomia dei sindacati tedeschi. In un momento difficile per l’economia del Paese, i sindacati hanno mostrato di essere molto più flessibili di quanto si potesse immaginare.
– Le riforme Hartz (2002-2005) non hanno giocato un ruolo essenziale. Sia il processo di decentralizzazione della contrattazione sia il miglioramento della competitività dell’industria tedesca sono iniziati alla metà degli anni Novanta, quasi un decennio prima.
LA POLITICA, DA SOLA, NON BASTA
La politica – se non ci fosse stata l’autonomia nella negoziazione dei salari – da sola non sarebbe riuscita a realizzare una tale decentralizzazione. La ricerca offre spunti interessanti su quello che i paesi europei in crisi possono imparare dall’esperienza tedesca. Paesi come Francia e Italia hanno istituzioni sindacali più centralizzate e molto meno autonome sul piano legislativo rispetto alla Germania. I potenziali cambiamenti di sistema dovrebbero quindi affidarsi alla politica. L’esperienza tedesca non offre comunque specifiche raccomandazioni sul tipo di riforme politiche da realizzare. Il caso tedesco porta invece l’attenzione sulle riforme che nell’ambito delle relazioni industriali hanno spostato la contrattazione salariale a livello aziendale nel pieno coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori.
COME SI FA A MIGLIORARE LA COMPETITIVITÀ?
Il grafico 1 mostra i costi unitari relativi del lavoro in dollari dell’economia di alcuni Paesi aggiustato in base alla composizione mutevole dei mercati in cui competono. Si vede che dal 1995, la competitività della Germania è cresciuta costantemente, mentre quella di alcuni suoi importanti partner commerciali europei come ltalia e Spagna è scesa costantemente oppure è rimasta invariata come nel caso della Francia.
Abbiamo concluso che nei primi anni Novanta il sistema di relazioni industriali tedesco ha consentito un incremento senza precedenti della decentralizzazione (o localizzazione) della negoziazione che fissa gli stipendi, gli orari e gli altri aspetti delle condizioni lavorative da livello collettivo nazionale a livello di singola azienda o singolo lavoratore. Questo processo ha consentito di ridurre gli stipendi, in particolar modo nella parte più bassa della distribuzione salariale, e ha infine migliorato la competitività dell’economia.
Il sistema tedesco delle relazioni industriali non si basa sulla legislazione, ma invece sui contratti e gli accordi di tre attori principali: i sindacati nazionali, le associazioni degli industriali e i rappresentanti dei lavoratori nelle aziende medie e grandi.
Due maggiori sviluppi hanno contribuito a questo cambiamento: una forte riduzione della parte di lavoratori coperti da accordi sindacali e l’aumento degli accordi in deroga a quelli nazionali che ha rafforzato i rappresentanti dei lavoratori nelle aziende rispetto ai sindacati generali.
LO SCARSO CONTRIBUTO DELLE RIFORME HARTZ
Le cosiddette riforme “Hartz”, indirizzate al mercato del lavoro e realizzate dal Governo di Gerhard Schröder non sono state determinanti nel processo che ha portato al miglioramento della competitività dell’industria. Le riforme sono state implementate quasi un decennio dopo che questo processo di decentralizzazione e rafforzamento della competitività era cominciato. Le riforme avevano l’obiettivo di incentivare la ricerca di lavoro ma hanno contribuito poco al principale fattore che ha determinato il miglioramento della competitività, cioè la moderazione salariale a partire dalla metà degli anni Novanta.
DELOCALIZZAZIONE INDUSTRIALE E FLESSIBILITÀ
Perché la Germania ha visto un declino dei lavoratori sindacalizzati e una crescita di accordi industriali in deroga ai contratti collettivi solo a partire dalla metà degli anni Novanta e non prima?
Abbiamo concluso che il costo della riunificazione tedesca, unito alla rapida ascesa di un contesto globale sempre più competitivo, rendeva sempre più costoso per le aziende tedesche pagare gli alti salari negoziati coi sindacati. Le nuove opportunità didelocalizzazione della produzione in Europa dell’Est hanno cambiato gli equilibri di potere fra sindacati e associazioni degli industriali.
Questi cambiamenti hanno spinto i sindacati e i rappresentanti dei lavoratori a fare delle concessioni sui contratti collettivi di settore per non essere ulteriormente marginalizzati.
Le concessioni sono spesso sfociate in una riduzione degli stipendi. Di conseguenza, il mercato del lavoro tedesco si è dimostrato molto più flessibile di quanto si pensasse.
Perché gli altri Paesi dell’Europa continentale non hanno reagito allo stesso modo della Germania?
Il sistema di relazioni industriali negli altri paesi non consente le stesse capacità di adattamento di quello tedesco. Molte delle regole che in Germania sono determinate dai contratti di lavoro sono leggi dello stato in altri paesi (come il salario minimo in Francia) o implementate a livello nazionale (come ad esempio nel caso di accordi sindacali che si estendono a tutte le aziende) e richiedono comunque l’assenso ai massimi livelli per essere cambiate (anche a livello politico).
UNA LEZIONE PER L’EUROPA
Anche se a volte si sente dire che alcuni Paesi dell’Europa continentale dovrebbero adottare la loro versione delle riforme Hartz, la raccomandazione potrebbe essere fuorviante. È stata la specifica struttura delle relazioni industriali tedesche che ha aperto la strada alla notevole decentralizzazione della negoziazione salariale. Non dovrebbero essere quindi le riforme Hartz le politiche che la Germania raccomanda all’Europa (raccomandazioni spesso date da economisti tedeschi come Rinne e Zimmermann nel 2013 o da politici come la cancelliera Angela Merkel in un discorso nel febbraio 2013) ma riforme mirate al sistema di relazioni industriali, che possano sia decentralizzare la contrattazione sia coinvolgere i rappresentanti dei lavoratori in modo da assicurare di nuovo benefici occupazionali quando le condizioni economiche migliorano.