Ahmet Insel, economista turco, docente di Economia alla Galatasaray University ed editorialista di spicco su Libération e Radikal, spiega a Linkiesta il contestoche ha provocato la caduta verticale della lira turca e che ha dato il via ai nuovi timori sulle economie emergenti.
La svalutazione della lira turca è forse il preludio ad una crisi maggiore?
Occorre subito dire che l’economia turca è solida ma questa solidità presenta anche alcune debolezze. Ad esempio pur avendo una crescita elevata che si basa su forti consumi interni ed elevate spese per le infrastrutture è un’economia che necessita dell’apporto di capitali stranieri per poter finanziare la totalità dei suoi bisogni d’investimento e per venire incontro ai suoi bisogni finanziari. Questo è il primo punto debole dell’economia turca. In secondo luogo la struttura produttiva dell’economia non produce un valore aggiunto elevato. Dunque ha bisogno d’importare molti beni intermedi ma anche energia perché la Turchia non è un paese indipendente dal punto di vista energetico. Se la Turchia cresce, le sue importazioni aumentano proporzionalmente. E dunque abbiamo un deficit di partite correnti e deficit della bilancia commerciale che non si riesce a colmare con il turismo. Per questa ragione la Turchia ha bisogno, quasi tutti gli anni, tra i 40 ed i 60 miliardi di dollari di apporto di capitali. Da questo punto di vista dunque l’economia turca è fragile e lo è non solo dal punto di vista interno ma anche rispetto a ciò che succede nel mercato internazionale dei capitali. Attualmente stiamo vivendo gli effetti di questa doppia fragilità. Da un lato, dal punto di vista internazionale, con le decisioni della Federal Reserve, le liquidità diventano rare e di conseguenza c’è una rarefazione dei capitali disponibili e una svalutazione della lira turca così come avviene per il real brasiliano ed il pesos argentino. Tutti i Paesi che si considerano economie emergenti si trovano in questa situazione. In realtà questo fattore esterno spiega solo in parte la svalutazione della lira turca. Il resto si spiega con la crisi politica interna che ha reso visibile l’opacità a medio termine dell’economia turca. Ci troviamo quindi in una situazione in cui la lira è deprezzata molto più che il real o il peso, quasi il doppio, a causa di questo fattore, di questa crisi politica che ha reso i prossimi due o tre mesi completamente imprevedibili.
Il primo ministro Erdogan ha cercato di condizionare la Banca centrale turca prima che questa decidesse di innalzare i tassi. Fino a che punto può spingersi il premier nel minare l’indipendenza della banca centrale?
Normalmente, dal punto di vista istituzionale, il premier non potrebbe spingersi fino ad intervenire direttamente sulla banca centrale ma quello che fa il governo è quello di creare una pressione psicologica. Il premier definisce coloro che parlano della necessità di innalzare i tassi d’interesse come dei ‘traditori della nazione’ e questo ovviamente crea una pressione psicologica estremamente forte ed ugualmente uno stress di decisione alla banca centrale. Ciò ha fatto si che quest’ultima ritardasse colpevolmente la sua decisione di aumentare i tassi di interesse. Probabilmente, se avesse potuto aumentare progressivamente i tassi d’interesse sin dall’inizio della crisi, forse la banca centrale avrebbe avuto bisogno di innalzarli di meno perché gli attori istituzionali, gli investitori avrebbero percepito immediatamente la sua reattività. Oggi invece la banca centrale perde anche la sua credibilità perché è in aperta lotta col suo governo e questo rappresenta un fattore acceleratore di crisi.
Cosa potrebbe succedere all’economia turca in caso di fallimento della correzione verso l’alto dei tassi d’interesse della banca centrale? Buona parte dei mutui a quanto pare sono denominati in dollari statunitensi.
Non so se esista concretamente un pericolo di fallimento nel breve periodo ma è certo che ciò che può accadere nel breve-medio periodo è un rallentamento dell’economia che avrà conseguenze nei termini di un calo dei consumi, del rallentamento degli investimenti ed un probabile aumento della disoccupazione. Quest’ultima potrebbe esprimersi in un intervallo più o meno lungo ed avere delle conseguenze tra 4 o 5 mesi. Occorre pero’ non dimenticare che l’aumento dei tassi d’interesse non ha provocato una caduta verticale della lira turca fino al suo punto di partenza dunque siamo in una situazione di aumento dei tassi d’interesse ma con una lira relativamente elevata. Però abbiamo all’orizzonte il rischio d’inflazione per le importazioni e un aumento dei costi interni ovvero un doppio processo di rallentamento economico.
Dopo aver raggiunto tassi di crescita record tra il 2010 ed il 2011, tassi quasi ‘cinesi’ , la crescita turca, forse vittima anch’essa della crisi economica mondiale, ha avuto una netta inflessione nel 2012. Teme che questa crisi possa essere di cattivo augurio anche per altre economie emergenti come il Brasile o l’India?
Vero per quanto riguarda la crescita record però noi non siamo in una dinamica cinese che ha beneficiato di un costo della manodopera basso, di esportazioni massicce ed una limitazione altrettanto massiccia dei consumi interni. L’economia turca non è mai stata trainata dalle esportazioni. L’economia turca è trainata soprattutto dal settore delle costruzioni, dai consumi. Mentre la Cina ha il problema degli eccedenti della bilancia commerciale noi abbiamo il problema opposto ovvero quello del deficit della bilancia commerciale. Penso che nel breve termine la svalutazione della lira turca abbia avuto un effetto negativo che è stato quello di contribuire a provocare una svalutazione del mercato finanziario dei paesi emergenti. Ma credo che la taglia dell’economia turca però non sia tale da trascinare con sé altri paesi. Si tratta pur sempre di un’economia che non arriva nemmeno all’1% del commercio mondiale dunque non credo ad un rischio di propagazione. Può esserci tuttavia una perturbazione a breve termine ma non credo lascerà tracce durature.