Viva la FifaLa startup che allena la Nazionale per i Mondiali 2014

L’iniziativa nata grazie a Polihub

Che il calcio in Italia sia una cosa seria, non lo dimostrano soltanto i numerosi dibattiti, analisi, moviole e polemiche che abbondano tutte le settimane su giornali e tv. Lo dimostra anche il fatto che tre ingegneri aerospaziali abbiano progettato un sistema capace di monitorare le prestazioni dei giocatori della nazionale italiana durante i propri allenamenti, in vista dei Mondiali in Brasile. Un sistema che è diventato una startup tutta italiana: Beast Technologies.

Tutto si sviluppa nel quartiere milanese della Bovisa, nella sede di Polihub, l’incubatore di startup e imprese del Politecnico di Milano, gestito da Fondazione Politecnico. All’interno del suo open space, i tre ingegneri aerospaziali (Tommaso Finadri, Ernst Vittorio Haendler e Lucio Pinzoni) forse non immaginavano di poter arrivare fino alla maglia azzurra. La loro idea era quella di trovare un sistema che elaborasse i dati di un’atleta durante l’allenamento, per stabilire la correttezza e le potenzialità della preparazione atletica in base a misurazioni scientifiche. L’idea è, in sostanza, quella di portare il know-how della tecnologia aerospaziale nel mondo del fitness.

La connessione tra i due mondi nasce dall’idea di uno dei tre ingegneri, Tommaso Finadri, che sa cosa vuole dire indossare una maglia azzurra. Tommaso è giocatore della Nazionale italiana di Football Americano, oltre ad essere campione d’Italia con i Panthers Parma («vinciamo il campionato da 4 anni», spiega a Linkiesta con orgoglio). Da ingegnere-sportivo, l’intenzione di Tommaso era un nuovo strumento  in grado di misurare e visualizzare istantaneamente su tablet e smartphone, direttamente in palestra, i progressi di un atleta così da trovare il metodo migliore di allenamento. Il confronto con i due compagni di corso ha dato il via al progetto. I tre ingegneri hanno iniziato a lavorare all’idea per poi sottoporla alla giuria di PoliHub.

Già, perché il progetto, per dotarsi di un business plan in grado di ottenere finanziamenti, deve passare attraverso la competizione  “Switch2Product” indetta da Polihub e sostenuta economicamente da Microsoft e Cariplo. Una competizione vinta nel maggio 2013. Da qui, comincia la seconda fase del progetto. Tommaso, Ernst e Lucio vengono affiancati nel proprio lavoro per 6 mesi da due tutor, Matteo Bogana e Rasha Mozil. «Chi vince la competizione ha infatti diritto a una incubazione gratuita presso Polihub, per poter sviluppare prima di tutto un prototipo che funzioni», spiega a Linkiesta Stefano Mainetti, consigliere delegato di Polihub.

«Uno dei tre ingegneri, Ernst, lavorava a Londra ed è rientrato in Italia apposta per poter sviluppare al meglio questo progetto. Quando dicono che i nostri cervelli fuggono all’estero è vero, ma è anche vero che qualcuno quando serve rientra», precisa Mainetti. «Il team si è potuto così concentrare sullo studio di come si rappresenta una curva di forza durante l’allenamento: la tracciatura del gesto è fondamentale, perché serve a capire, ad esempio, quante volte devi ripetere un certo sforzo per ottenere la tipologia di allenamento migliore».

Il prototipo va talmente bene che la startup trova subito un finanziamento da un privato. Il tutto in meno di un anno: «Della partnership con la Figc sapevamo da almeno 3 mesi, ma abbiamo aspettato l’ufficialità per rivelarlo: e il solo fatto di poterlo annunciare fa capire che il modello di Polihub funziona»,  spiega Mainetti. Un modello che riunisce in sé quindi la ricerca di fondi e know-how. E che funziona. Basti pensare che, dati alla mano, in 10 anni Polihub ha incubato 75 aziende,  creato 600 posti di lavoro e fatto sì che l’80% delle aziende seguite sia ancora attivo. Negli ultimi due anni, inoltre, sono stati raccolti investimenti per 4 milioni di euro. «All’interno dell’incubatore ha funzionato soprattutto il network insieme al supporto imprenditoriale offerto dai tutor. Senza il loro aiuto non ci saremmo riusciti. Abbiamo dato un’accelerata. Il mercato purtroppo non aspetta», racconta Ersnt, che oltre ad essere uno dei tre ingegneri coinvolti è anche Ceo di Beast Technologies.

La Nazionale comincerà ad usare il sistema sviluppato da Beast Technologies a partire dai prossimi campionati del mondo in Brasile. «I calciatori si affideranno a dei sensori dal peso di 30 grammi ciascuno e che saranno applicati sui macchinari da allenamento o direttamente sul corpo tramite braccialetti e corpetti attorno al busto», spiega Tommaso Finadri, l’ingegnere che del team si è occupato della parte relativa allo sviluppo dei sensori, che lavorando attraverso dei magneti, serviranno a raccogliere dati relativi a forza, potenza, velocità ed esplosività.

«Noi non saremo presenti agli allenamenti. I dati raccolti vengono elaborati e raccolti da una piattaforma gestita in totale autonomia dallo staff della Nazionale. Noi abbiamo fornito la tecnologia necessaria», prosegue Tommaso. «La Figc è stata la prima a chiamarci, ma nel nostro futuro ci piacerebbe estendere la nostra collaborazione ad altre federazioni: il nostro è un sistema che va benissimo soprattutto in quelle attività dove è previsto l’uso della forza esplosiva». Non solo calcio, quindi. Anche se, al momento, il futuro più immediato resta legato agli azzurri, che il prossimo 14 giugno esordiranno al Mondiale contro l’Inghilterra. Al momento, l’accordo con la Federcalcio è limitato a questa competizione. Se ci saranno i presupposti, i calciatori italiani continueranno ad affidarsi al progetto dei tre ingegneri aerospaziali. 

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