“Una vicenda sconcertante e sulla quale è rimasto un cono d’ombra”. Lo mettono nero su bianco i due sostituti procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria Giovanni Musarò e Antonio de Bernardo, all’interno di una memoria depositata agli atti del processo d’appello scaturito dall’operazione “Il Crimine” del 2010. La vicenda sconcertante, su cui è rimasto il cono d’ombra cui fanno riferimento Musarò e De Bernardo, è quella del commercialista reggino Giovanni Zumbo, ed è una storia che risale tutto lo stivale da Reggio Calabria a Milano, passando anche per Roma. «Dove c’è», dice qualcuno, «chi trema ogni qualvolta escono notizie sulle indagini e i processi riguardanti il commercialista».
Una voce, quella secondo cui a Roma qualcuno trema, che a volerla verificare non sembra essere per niente così distante dalla realtà. Il perché lo spiegano subito nella memoria gli stessi magistrati: “Un personaggio particolare, spregiudicato, trasversale, ambiguo: stimato professionista e amministratore di beni confiscati, ma anche collaboratore esterno di una parte dei Servizi di sicurezza (in particolare, di una parte del Sismi) e soggetto che era solito rapportarsi con personaggi appartenenti alla ‘ndrangheta”.
Quella partentesi aperta e subito chiusa da Musarò e De Bernardo in sede di deposito della memoria è sempre stata tra le immagini più sfocate che si siano viste nel racconto per indagini che gli inquirenti hanno fatto in questi anni della ‘ndrangheta e delle sue entrature ai livelli più alti e tra le stesse forze dell’ordine e magistratura. Negli ultimi mesi però alcune tessere del puzzle stanno andando al loro posto dopo anni, e un primo spunto lo dà proprio quella sigla usata dai due sostituti procuratori: Sismi. Non è un caso. Il Sismi, Servizio per le informazioni e la sicurezza militare, nel 2007 viene sostituito dall’Aise. C’è stato chi, come Corrado d’Antoni, già responsabile Sismi sul territorio di Reggio Calabria, ha sostenuto che il rapporto tra Zumbo e i servizi fosse durato appena un anno e mezzo, conclusosi nel 2006.
IL PERSONAGGIO
“Chi é Zumbo Giovanni?”, si chiedono i pm nella memoria depositata. “Zumbo Giovanni fino a tre anni fa era un insospettabile commercialista di Reggio Calabria, più volte nominato amministratore di beni confiscati dal Tribunale di Reggio Calabria Sezione Misure di Prevenzione”. Un soggetto della ‘Reggio bene’, potrebbe dirsi: uno stimato professionista che spesso girava nei corridoi del palazzo di giustizia.
Ma Zumbo Giovanni era anche altro. Perché, come dice sua moglie, era uno che “ha sempre giocato con due mazzi di carte”.
Giovanni Zumbo, commercialista, amministratore di beni confiscati alla mafia, appare subito come una figura borderline tra ‘ndrangheta (aveva negli anni avuto a che fare con gli uomini delle cosche), politica (fu tra i collaboratori prima del 2007 di Alberto Sarra negli anni in cui lo stesso politico calabrese si faceva le ossa in Alleanza Nazionale, per poi diventare sottosegretario dell’attuale governatore Giuseppe Scopelliti), massoneria e servizi segreti. Secondo le ricostruzioni di investigatori e pm sul ritrovamento di un auto imobottita di armi e munizioni durante la visita di Giorgio Napolitano a Reggio Calabria dello scorso 21 gennaio 2010, è lui la fonte confidenziale che spiffera ai Carabinieri esattamente l’esatta ubicazione dell’auto e il modello. Una farsa, secondo gli inquirenti, che – nei piani di Zumbo e di chi come una pedina lo guidava – avrebbe dovuto rivelarsi utile per accreditarsi quale fonte affidabile presso Procura e magistrati.
LE SOFFIATE SULLE INDAGINI
Siamo a gennaio 2010, e in quel periodo Zumbo raccoglie anche informazioni preziose sulle indagini in corso, in particolare quelle sull’asse Reggio Calabria-Milano, che nel luglio dello stesso anno porteranno all’arresto di 300 persone legate alla criminalità organizzata calabrese di cui più della metà in Lombardia. Il commercialista reggino spiffera, viene intercettato e condannato nell’ambito del processo “Piccolo Carro” a 16 anni e 8 mesi di reclusione. Sarà che Zumbo non ha più rapporti con i servizi dal 2006-2007, ma è persona informatissima: avverte gli indagati, come successo con i boss Giovanni Ficara e Giuseppe Pelle, dà indicazioni e fa ritrovare microspie. Dirà Giovanni Ficara, altro personaggio chiave nella vicenda del ritrovamento dell’auto durante la visita di Giorgio Napolitano a Reggio, ai sodali del clan mentre viene intercettato: «Ah, questi Servizi, queste cose! Io fino ad un anno fa, ero ignorante su queste cose! Non avevo, non li conoscevo… Non sapevo neanche che esistessero! Poi tramite uno… Uno “scemunitu” cosi! Ha detto no…abbiamo scoperto tutte quelle microspie».
Il 13 luglio 2010 scatta l’operazione “Infinito-Crimine”, Zumbo viene arrestato e confiderà ai Carabinieri che lo arrestano: «So tutto di Reggio, se parlo scuoto la Calabria». Non parlerà, ma lascerà un memoriale in cui tira in ballo D’Antoni sel Sismi/Aise, e l’appuntato Roberto Roccella che verrà indagato e che attribuirà a Zumbo l’appartenenza alla loggia “Araba Fenice”. Successivamente Zumbo, definito una “antenna” dei servizi segreti, sosterrà per esempio di «essere stato mandato» a casa del boss Giuseppe Pelle, e che dietro di lui vi fosse un sistema. «Ho fatto parte di… e faccio parte tuttora», attacca Zumbo intercettato a casa di Pelle a Bovalino, «di un sistema che è molto, molto più vasto di quello che (…) ma vi dico una cosa e ve la dico in tutta onestà: sunnu i peggio porcarusi du mundu e io che mi sento una persona onesta e sono onesto e so di essere onesto… molte volte mi trovo a sentire… a dovere fare… non a fare, perché non me lo possono imporre, ma a sentire determinate porcherie che a me mi viene il freddo!». Parla a ruota libera quando si trova a casa Pelle: non sa di essere intercettato, oppure è talmente sicuro delle sue conoscenze che non si fa problema alcuno. In un colloquio in carcere con la moglie dirà: «Se io sono qua dentro è perché pure non voglio mettere in mezzo determinate persone che tu mi dici ti aiutano»
Sono proprio le intercettazioni in cui si sente la viva voce «dell’uomo che gioca con due mazzi di carte» a completare il profilo del personaggio e portare sempre più in concreto l’ipotesi che dietro a Zumbo ci sia un puparo. Lo diceva l’ex procuratore capo di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, senza individuarlo, il puparo, lo conferma uno strano episodio di questi giorni, che di nuovo fa risalire la vicenda da Reggio Calabria a Roma.
LE INTERCETTAZIONI “INCOMPRENSIBILI”
Si tratta di alcune trascrizioni delle intercettazioni ambientali tra lo stesso commercialista e la moglie, avvenute in carcere tra il 21 settembre e il 29 ottobre del 2011. Intercettazioni costellate di incomprensbile, termine utilizzato dai periti addetti alla trascrizione quando l’intercettazione è disturbata. La pignoleria del pm di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, impegnato nel processo Archi-Astrea lo porta a nominare un nuovo perito e a riascoltare quelle intercettazioni. Durante una pausa del processo, come riportato dal Corriere della Calabria, dirà il pm: «Ho riascoltato personalmente le conversazioni intercettate in carcere che vanno dal 21 settembre 2011 al 29 ottobre 2011 ci sono degli incomprensibili incomprensibili. E la ripetizione, presidente, è necessaria e voluta». Insomma, quegli “incomprensibili” nei colloqui tra Zumbo e la moglie Maria Francesca Toscano trascritti dal perito, tali non sono.
Scrive Alessia Candito sul Corriere della Calabria:«Passaggi che più attente orecchie di un nuovo perito hanno ascoltato e decifrato, sono stati trascritti e oggi sono agli atti del procedimento che ha già visto Zumbo condannato nel primo grado del filone abbreviato a cinque anni di reclusione. Le differenze non sono macroscopiche ma pesano come i nomi e le circostanze che – ad un più attento ascolto – hanno acquisito maggiore chiarezza».
Una prima circostanza riguarda ancora la “missione” a casa Pelle. «Me lo ha chiesto lui di andare», dice Zumbo, un «lui» con cui spiega di aver avuto un contatto quindici giorni prima di andare a casa del boss. La conversazione prosegue poi in toni più concitati e con voci sovrapposte, fino a che all’orecchio del perito non arriva il nome di Mancini: «No! Questo che era venuto dopo? No (incomprensibile) Mancini ..allora (frase incomprensibile) era … quando mi è successo il fatto (…) la (inc) per Mancini si è interrotto … no? Eh … esatto … si è interrotto… poi vedi che cosa è successo? È successo che questo qua ha voluto … tramite sempre questo amico comune. Mi ha detto che siccome là hanno perso i contatti perché c’era stato eh, eh … dice, l’unica persona che noi ci fidiamo visti… visti i trascorsi sei tu».
I NOMI
Mancini è quel Marco Mancini, ex numero due proprio del Sismi che, come scrive ancora il Corriere della Calabria, Zumbo ha affermato di conoscere fin dal suo interrogatorio di garanzia. Di fronte all’allora procuratore capo di Reggio, Giuseppe Pignatone, lo spione ha infatti affermato non solo di essere dei servizi, ma anche di aver «incontrato l’ex funzionario Mancini che scese a Reggio Calabria, ma dell’argomento preferirei non parlare». Una circostanza confermata nel corso dell’istruttoria del processo “Piccolo Carro” anche da Corrado D’Antoni, ex responsabile Sismi a Reggio, secondo il quale il rapporto fra i Servizi e Zumbo avrebbe goduto dell’avallo di Mancini, con il quale Zumbo si sarebbe effettivamente anche incontrato un’unica volta a Reggio Calabria. E più volte nel corso delle conversazioni intercettate in carcere fra il settembre e l’ottobre del 2011, Giovanni Zumbo farà riferimento a un personaggio “sceso da Roma” che gli avrebbe rivelato informazioni importanti.
Insomma, Zumbo avrebbe fatto parte dei cosiddetti “riservati” (cioè non affiliati ma a disposizione dei boss) della cosca De Stefano, come rivelato dal pentito Nino Fiume. Ruolo che lo avrebbe reso un piatto invitante per i servizi e allo stesso tempo credibile agli occhi del boss Pelle. Per la “missione” lo stesso Zumbo avrebbe anche ricevuto delle garanzie, ma qualcosa evidentemente andò per il verso sbagliato: «Secondo me», dice Zumbo alla moglie, «avevano… o volevano sicuramente fottermi… e poi ci sono riusciti». E continua: «Oppure volevano arrivare a… qualche altro obiettivo che io non riesco a capire ..e non lo riesco a capire neanche io… i fatti comunque sono questi».
Le nuove trascrizioni rivelano nuovi nomi e personaggi ancora tutti da identificare. Il “cono d’ombra” è ancora saldo, ma, giura qualcuno, un po’ meno saldo di prima. Nomi, scrive sempre il Corriere della Calabria, come quello di Rappoccio – presumibilmente, l’imprenditore Pasquale – introdotto dalla Toscano e che strappa a Zumbo un’affermazione che legge da un foglio che ha preparato: “Ho lavorato tanti anni facendo da tramite tra le cosche e lo Stato… ho fatto tante cose… il mio ruolo era quello di garantire un patto a garanzia di un altro ed è stato sempre così! Ecco la mia delinquità! Tanti mi dicono (incomprensibile) conoscevo quasi tutti e molti sono stati consigliati… nutro dispiacere per chi dice che non sono mai stati con me, tranne che a voi ..ma non in questa lettera”. Ma anche nomi come quello dell’ex comandante del Ros di Reggio Calabria, il tenente colonnello Stefano Russo. Curiosamente, Zumbo e la moglie sembrano molto interessati a verificare quali riferimenti al militare ci siano nell’ordinanza emessa a carico dello spione. “Secondo l’ordinanza (incomprensibile parla a bassa voce) Russo non c’è niente da… da (incomprensibile)”, commenta la Toscano, cui il marito ribatte: “No… tranne che è venuto. Mi ha salutato… Zumbo Giovanni – mi ha salutato quel giorno… mi hanno portato in Caserma … piacere: tenente Colonnello Stefano Russo… come per dire ti ho arrestato io”.