Una partita che in Lombardia vale poco meno di 87 milioni di euro di soldi pubblici e che è progressivamente minacciata da un traffico illecito che vede l’agire di vere e proprie centrali “affaristico-imprenditorial-criminali”: si tratta delle bonifiche e del business criminale che ruota attorno al traffico e allo smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e non.
Conti alla mano, tra interventi programmati ed eseguiti, bonifiche e rifiuti sono un piatto ricco per le imprese sane del settore e allo stesso modo per commissari compiacenti e organizzazioni criminali storicamente attive da Sud a Nord del Paese. Nell’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia, sul tema è intervenuto il procuratore Roberto Pennisi, individuando le evoluzioni criminali di quelle definite “ecomafie” e sintetizzandole in tre punti:
– Progressivo svincolarsi dei traffici dei rifiuti dal loro storico collegamento con le organizzazioni criminali di tipo mafioso (specialmente camorra), anche per aver essi traffici imboccato la direttrice che porta all’esterno dei confini nazionali (sì che non si necessita più di “controllori” del territorio).
– Del loro inserirsi in dinamiche, anch’esse organizzate, ma facenti capo a centrali affaristico-imprenditorial-criminali nazionali e transnazionali, il cui disvelamento è di particolare complessità, ed ove il coordinamento e l’impulso investigativo sono imprescindibili.
– Del comprendere anche l’apertura delle nuove frontiere che vedono i rifiuti entrare nel campo delle energie alternative nell’ottica di quella che può definirsi la criminal soft economy, ove interagiscono brokers dei traffici di rifiuti e “sviluppatori” di pratiche ed attività riguardanti le relative installazioni.
Tre spunti utili per comprendere gli interessi in gioco e i protagonisti che prendono parte alle vicende che in questi anni, non solo al Sud (basti pensare che nella sola Regione Lombardia sono oltre 3mila gli impianti per il trattamento dei rifiuti speciali), hanno portato il tema dei rifiuti, del loro smaltimento e delle bonifiche sulle cronache ma non sempre al centro dell’agenda politica.
I NUMERI DELLE BONIFICHE LOMBARDE
Con un colpo di spugna del governo Monti i Siti d’interesse nazionale (Sin) sono passati da 57 a 39: i 18 siti di differenza sono diventati invece di “interesse regionale”, che significa che la competenza per la bonifica passa dal ministero dell’ambiente alle regioni. In Lombardia da sette Sin si è arrivati a quota cinque. Sono rimasti Sin le aree ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, gli impianti Sisas SpA, Carlo Erba Antibioticos, Air Liquid, CGT di Pioltello Rodano, la ex Fibronit di Broni, la Caffaro di Brescia e i Laghi di Mantova. Sono uscite dalle competenze del ministero, ma con fondi già erogati, le zone milanesi di Bovisa e Cerro al Lambro. Fin qui gli stanziamenti pubblici, inclusi quelli arrivati per i siti che sono usciti dal programma dei Siti d’interesse nazionale, hanno superato quota 86 milioni di euro.
La regione deve però anche fare i conti con altri circa 800 luoghi definiti “contaminati”, con costi previsti che oscillano tra i 350 e i 400 milioni di euro, per bonifiche e riqualificazioni ambientali. Cifre destinate ad aumentare, perché una bonifica può durare anche trent’anni. Si pensi per esempio che una stima per portare a compimento la bonifica per l’area Caffaro di Brescia potrebbe vedere il contributo salire anche di dieci volte gli attuali 11 milioni già stanziati fino a qui. Un dossier pesante sui tavoli di Roma che vale salute e soldi. Molti soldi su cui il ministero e le autorità competenti dovranno vigilare. Compito che in passato non è sempre riuscito, proprio a causa delle cifre in gioco e di commissari, funzionari di ministeri e Arpa forse più attenti a interessi privati e mazzette.
Le bonifiche, a livello nazionale, vanno a rilento, ma il giro d’affari del risanamento ambientale non si ferma, e oggi, secondo gli ultimi dati di Legambiente si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro. Dal 2001 al 2012 sono stati messi in campo 3,6 miliardi di euro di investimenti, tra soldi pubblici (1,9 miliardi di euro, pari al 52,5% del totale) e progetti approvati di iniziativa privata (1,7 miliardi di euro, pari al 47,5% del totale), con risultati concreti che qualcuno non esita a definire “inesistenti”. Con la diretta consguenza di richiami e sanzioni a livello comunitario.
Siti contaminati in Lombardia al 31 12-2013 (Fonte Arpa e Regione Lombardia)
I LUOGHI E LE STORIE DELLE BONIFICHE IN CORSO
– PIOLTELLO RODANO E SESTO SAN GIOVANNI: quella di Rodano-Pioltello è area di discariche industriali. Già nel 1986, anno di fondazione del ministero dell’Ambiente, l’Ue richiama l’Italia per la situazione di quei 775mila metri quadri di terreno alla periferia est di Milano, già colme di scorie e rifiuti industriali pericolosi. Passano gli anni, si nominano i commissari e la polvere finisce sotto il tappeto aprendo la strada agli illeciti e alle inchieste della magistratura.
«Per decenni», si legge nella relazione conclusiva del 2012 della Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti, «si sono prodotti solventi e plastificanti». Sul posto sono 350mila le tonnellate di prodotti da smaltire. Il 9 settembre 2004 la Corte di giustizia dell’Unione europea, condanna lo Stato italiano per la mancata bonifica dell’area ex Sisas, e da qui ha inizio la vicenda che lo scorso gennaio ha visto come protagonista proprio il commissario incaricato per la risoluzione della discarica, Luigi Pelaggi, con il coinvolgimento del direttore generale dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Lombardia, Umberto Benezzoli, del direttore del dipartimento Arpa di Brescia Giulio Sesana, e di due funzionari della Sogesid (l’azienda pubblica per le bonifiche di proprietà del ministero dell’Ambiente e delle Infrastrutture), il direttore generale Fausto Melli e il direttore operativo dell’area ex Sisas Luciano Capobianco. Tutte persone accusate a vario titolo di traffico illecito di rifiuti, corruzione e truffa aggravata.
Nel 2010 Pelaggi, con un passato da dirigente di Confindustria e consulente di aziende come Telecom, Pirelli e Ferrovie dello Stato era stato nominato commissario delegato alla bonifica dell’«ex Sisas» di Pioltello Rodano dall’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo (di cui era anche capo della segreteria tecnica). Tra il 2004 e il 2010, intanto, attorno all’area gravitavano il Re Mida delle bonifiche Lombarde, Giuseppe Grossi, giudiziariamente coinvolto anche sulla mancata bonifica del quartiere Santa Giulia e sulla stessa area Falck di Sesto San Giovanni, e il costruttore Luigi Zunino.
Niente gare d’appalto, ma assegnazioni dirette, anzi, come le definirà la commissione parlamentare, «triangolazioni tra la proprietà, il bonificatore e il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare». I risultati di quell’approccio per la commissione sono «totalmente negativi, considerato che ci si trova di fronte a un bonificatore che non è stato in grado di eseguire la bonifica (la cordata Grossi-Zunino infatti non porterà a termine la bonifica), a una sanzione europea e a costi di bonifica che nessuno ha mai controllato, ma che sono stati accettati per come il bonificatore li ha portati al Ministero». Il bonificatore privato, che aveva garantito di non far sborsare un euro pubblico, si ritira dalla corsa. Per l’area viene dichiarato lo stato di emergenza e l’Ue condanna l’Italia al pagamento di una sanzione da 19 milioni di euro per la mancata bonifica, cioè 192mila euro per ogni giorno di ritardo. La pena verrà poi sospesa in seguito all’approvazione di un progetto di risanamento parziale dell’area, anche questo con un percorso accidentato e tutt’altro che trasparente.
Da ripulire rimangono circa 280mila tonnellate di rifiuti industriali – compresi idrocarburi residui della produzione di colle e solventi contaminati con mercurio – di cui 50mila tonnellate di nerofumo, generati dai processi produttivi e che minacciavano la falda acquifera. Qui si innesca il “sistema Pelaggi” (indagato anche a Taranto per il caso Ilva in quanto segretario della commissione tecnica che nell’agosto 2011 rilasciò all’Ilva l’autorizzazione integrata ambientale): un personaggio che per il gip Varanelli che ha avallato l’inchiesta del Nucleo operativo ambientale dei Carabinieri coordinati dai pm di Milano è «soggetto capace in grado di esercitare forti influenze sia su funzionari di livello ministeriale/governativo, amministratori di enti locali e altri». A un certo punto Pelaggi viene anche a sapere che c’è un’indagine in corso e fa bonificare (dalla G-Risk di Giuseppe De Donno, recentemente coinvolto anche negli arresti sul caso Rognoni-Expo e rinviato a giudizio nell’ambito del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia) dalle microspie la sua auto e il suo studio, compreso quello al ministero.
L’appalto da 35 milioni per la bonifica finirà alla Daneco impianti, grazie anche, secondo le indagini del pm Alfredo Robledo, a una mazzetta da 700mila euro che, stando alle carte dell’accusa, Pelaggi cercò di reinvestire in operazioni immobiliari. Contropartita arriva da Francesco Colucci, presidente del cda della Unendo, controllante della Daneco, e dall’amministratore unico direttore tecnico Bernardino Filipponi. Niente autorizzazioni e requisiti per eseguire la bonifica da parte delle società, che operavano invece un cambio di etichetta e classificazione ai rifiuti. A permettere il tutto la complicità della stazione appaltante, cioè della Sogesid, società partecipata del ministero dell’Ambiente, nelle persone di Fausto Melli e Luciano Capobianco e del consulente Claudio Tedesi, ingegnere ambientale e già collaboratore di Grossi che, sottolineò la commissione parlamentare già nel 2012, si era occupato «anche delle bonifiche effettuate in numerosi comuni del mantovano con fondi regionali».
Un sistema che nel tempo ha foraggiato un altro signore della “monnezza”: l’avvocato romano Manlio Cerroni, il re dei rifiuti arrestato il 9 gennaio scorso per associazione a delinquere e traffico di rifiuti nella gestione dei rifiuti romani. Della sua galassia erano le discariche del gruppo Systema Ambiente, che hanno accolto temporaneamente i rifiuti della ex Sisas di Pioltello. Un affare che avrebbe portato nelle tasche di Cerroni poco meno di 2 milioni di euro.
«Mentre i suoli di alcune aree, per le quali vi è un forte interesse immobiliare o produttivo, sono stati bonificate e certificate, per le acque sotterranee una vera e propria bonifica è ancora al di là da venire. In sostanza, il quadro fornito dalla provincia di Milano conferma, ancora una volta, i forti ritardi nell’attuazione degli interventi di bonifica necessari». Così la commissione parlamentare nel 2012 sull’area ex Falck e Marelli di Sesto San Giovanni, finita anche al centro delle indagini degli inquirenti riguardanti bonifiche e riqualificazioni che hanno visto protagonista anche l’ex presidente della provincia di Milano Filippo Penati. Da quelle aree arrivò anche un input dall’antimafia che arrivò da quelle parti seguendo i mezzi e alcune intercettazioni telefoniche di imprese coinvolte nel movimento terra e nella bonifica stessa, come la Eco.Ge dei liguri Mamone, impresa su cui il faro dell’antimafia si è acceso più di una volta.
– BRESCIA, IL CASO CAFFARO: la Caffaro aveva iniziato a produrre pcb (policlorobifenili) nel 1932, interrompendo l’attività nel 1983, anno in cui fu vietata la produzione di pcb in Italia. Nel 1985 è stata inglobata da Snia-Bdp, che nel 2009 viene messa in liquidazione. Nel 2001, come ha recentemente ricordato un articolo de Il Giorno, una ricerca dello storico ambientalista Marino Ruzzenenti pubblicata su La Repubblica rivela che in 50 anni sono finite nelle acque bresciane 150 tonnellate di pcb. Ruzzante viene sentito anche dalla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti: da lì si accendono i riflettori sulla zona e la Caffaro diventa Sito d’interesse nazionale.
Attorno allo stabilimento abitano 25mila persone. Così partono le indagini di Asl e Arpa. L’Asl appronterà anche una parte del sito istituzionale per la comunicazione riguardante il sito. Sotto la fabbrica, si scopre che gli inquinanti tossici hanno contaminato il terreno fino a 30 metri; nella falda, il pcb è 543 volte sopra i limiti, e attraverso le rogge è arrivato nei campi agricoli e nei Comuni a Sud di Brescia.
Dopo anni a Brescia si aspetta ancora la partenza della bonifica: nell’autunno del 2014 dovrebbe iniziare una bonifica riguardante però solo una piccola parte del sito. Lavori per circa 4 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere agli 11 milioni pubblici già stanziati o da stanziare per la bonifica. Un terreno, quello della Caffaro, che, dicono gli esperti del settore, «è anche di difficile bonifica: ci sono montagne di terreno contaminato da spostare che vanno stoccate. E il posto, al momento, non c’è».
– BRONI EX FIBRONIT: un altro percorso accidentanto e tormentato è quello della ex Fibronit di Broni, provincia di Pavia, altra patria dell’Eternit. Nel processo che ha visto coinvolti i vertici dell’azienda ci sono state le prime due condanne dei manager più anziani in primo grado, mentre altri sono ancora alle prese con il dibattimento. Intanto, dulcis in fundo, la vicenda di Broni si lega con quella di Pioltello: l’incarico di direttori dei lavori di bonifica del sito era, fino all’inizio dello scorso febbraio, nelle mani di Claudio Tedesi, finito nell’inchiesta riguardante proprio l’area ex Sisas di Pioltello.
Una bonifica inchiodata almeno fino al prossimo giugno e che a fine lavori dovrebbe valere sui 20 milioni di euro cui aggiungerne altri dieci circa per lo smaltimento. Quello che più preoccupa la cittadinanza, e anche qualche politico del luogo, è che «la compagnia di giro che si occupa della bonifica Fibronit è la stessa che stava sulla Sisas di Pioltello e a Sesto San Giovanni». I nomi infatti sono sempre gli stessi della rete di Pelaggi, iniziando da Tedesi andando a finire alle imprese di Grossi, che anche nella partita Fibronit ha messo più di un piede nel completamento di messa in sicurezza e del primo lotto di bonifica dall’amianto nell’area.
– LAGHI MANTOVA: Dieci chilometri quadrati l’area da bonificare, vale a dire il 15% del territorio comunale, di cui, riferiscono gli ultimi dati, solo il 19% messo in sicurezza e solo l’1% con un progetto di bonifica approvato. Questa è la situazione che si verifica invece sul territorio di Mantova, dove in un solo complesso hanno trovato spazio aziende come Eni, Ies, Belleli Energy, Itas, Sol, Industria Colori Freddi San Giorgio, Claipa, Ferramenta Fratelli Posio, azienda agricola Le Betulle.
Ha recentemente riportato La Gazzetta di Mantova: «In sostanza secondo i tecnici Arpa da una parte il progetto Sogesid di messa in sicurezza dell’area Ies-Belleli (oggetto di una recente ingiunzione ministeriale all’azienda del gruppo Mol) non è sufficiente perché prevede sì barriere fisiche e idrauliche ma non in zona darsena, dall’altra deve partire al più presto il progetto presentato da Ies, e già approvato, per il recupero degli idrocarburi fuoriusciti a suo tempo». Per l’Arpa, occorre intervenire al più presto in Belleli, mentre critica è la situazione dei fusti di mercurio alla Fredi e Versalis, visto che «sono degradati».
Il 25 luglio del 2013 la conferenza di servizi ha approvato cinque progetti di bonifica presentati dall’azienda del gruppo Eni, scrive ancora La Gazzetta di Mantova. Il primo prevede la rimozione del surnatante, il mix di veleni che galleggia sulla falda acquifera. Il secondo riguarda la rimozione di vasche interrate contenenti fusti di mercurio nella cosiddetta Area L. Un intervento urgente in quanto «i fusti sono degradati – ha aggiunto Bianchi – ed è fuoriuscito materiale».