Un dicastero a trentatré anni. «Non me l’aspettavo, stavo guardando Peppa Pig in tv con mio figlio». Presto il piccolo Francesco avrà una sorellina, custodita nel pancione del nuovo ministro della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione che ha prestato giuramento al Quirinale. Ottavo mese di gravidanza, un impegno niente male: «Non sarà semplice ma mi organizzerò, è pieno di donne che allattano e lavorano». Marianna Madia scaccia le paure, davanti ai flash semina ottimismo e sorrisi con buona pace dei maligni, tra cui c’è qualcuno che scommette: «A breve andrà in maternità e Renzi si prenderà le sue deleghe».
Carnagione bianco latte e capelli ricci biondissimi, già ribattezzata «Vergine botticelliana», Madia è il secondo ministro più giovane dell’esecutivo. Classe 1980, cede il passo solo all’altra amazzone renziana, lei sì della prima ora, quella Maria Elena Boschi nata nel gennaio 1981. D’altronde il padrino politico del neoministro della Pubblica Amministrazione fu Walter Veltroni che nel 2008 la volle a tutti i costi candidata alla Camera, capolista nel Lazio a 27 anni, una delle bandiere che l’ex sindaco di Roma fece sventolare sul suo piano di rinnovamento.
«Walter partecipò al funerale di mio padre Stefano, sostiene di essere rimasto colpito dal piccolo discorso che feci fino alla fine, ma io nemmeno ricordo di aver parlato». Giornalista e attore, papà Madia era consigliere comunale a Roma eletto con la “Lista Civica per Veltroni”. Scomparso prematuramente a 49 anni, vinse un premio al Festival di Cannes ma aveva lavorato pure a Porta a Porta e Mixer. Anche Marianna avrebbe collezionato un’esperienza professionale con Giovanni Minoli a Rai Educational: «Un grande maestro, mi ha dato un’opportunità».
Il curriculum è da secchiona. La gioventù passata a Fregene, il liceo alla scuola francese Chateaubriand, avamposto d’Oltralpe ma culla della Roma bene, poi la laurea con lode in scienze politiche alla Sapienza, specializzazione e dottorato a Lucca, un volume sul welfare per il Mulino. Ma c’è un passaggio decisivo: a fine università Enrico Letta la fa entrare all’Arel, centro studi economici promosso da Nino Andreatta, dove si rafforza il rapporto di stima e collaborazione tra i due. «Marianna è straordinaria», ha ripetuto più volte l’ex premier parlando con interlocutori di prestigio. L’enfant prodige veltroniana entrerà poi nella segreteria tecnica del sottosegretario alla Presidenza Del Consiglio durante il governo Prodi 2006-2008, quello in cui tra i quattro sottosegretari figura proprio Enrico Letta. Col tempo accede alla grande famiglia del think tank Vedrò ma figura anche tra i componenti del comitato di redazione a Italianieuropei, la fondazione di D’Alema.
«È giovane però non le mancano entrature e contatti», ripetono i bene informati. Le amicizie di peso sono esemplificate dai «tre grazie importanti» che a margine della candidatura nel 2008 lei stessa formulò a Walter Veltroni, Enrico Letta e Giovanni Minoli. Tre talent scout, tre maestri che a loro insaputa l’hanno fatta diventare oggetto di chiacchiere e accuse. Etichette dure a morire come «cocca di Walter» e «nipote di», con riferimento allo zio Titta Madia, avvocato difensore di Clemente Mastella. Nel calderone mediatico tutto fa brodo e l’intellettuale Piergiorgio Odifreddi affila la penna: «È una raccomandata di ferro con un pedigree lungo come il catalogo del Don Giovanni, è figlia di un amico di Veltroni e la sua candidatura è espressione del più antico e squallido nepotismo mascherato da novità giovanilista e femminista».
Le cronache gossippare la ricordano per una storia d’amore con Giulio Napolitano, figlio di Re Giorgio davanti al quale Madia ha appena giurato in qualità di ministro. Marianna e Giulio sono stati paparazzati in giro per Roma e insieme allo stadio, ma lei puntualizza: «Con lui cominciai una storia sentimentale quando suo padre Giorgio era ancora solo un ex e illustre dirigente del Pci, poi sono stata a cena sul Colle, una sola volta». Acqua passata. Oggi la vita privata la vede sposata con Mario Gianani, rampante fondatore della casa di produzione cinematografica Wildside nonché socio in affari di Fausto Brizzi, regista e fedelissimo della Leopolda, il cui loft a San Lorenzo è forse l’unico «salotto» romano regolarmente frequentato da Matteo Renzi. Marianna ha anche partecipato al film di Brizzi “Tutte pazze di me” con un cammeo al fianco di Francesco Mandelli, volto di Mtv e protagonista de “I soliti Idioti”.
A Palazzo Madia si comporta bene, dicono. Arrivata nel 2008 in quota Veltroni, nel 2013 si misura alle primarie dei parlamentari Pd e incassa cinquemila preferenze con altrettanti buoni motivi per respingere al mittente le accuse di paracadutismo. Alla Camera non è una seconda linea qualsiasi: si occupa di lavoro e precariato, vanta una buona media presenze sia nella sedicesima che nella diciassettesima legislatura, molti anche i disegni di legge presentati nonché le interrogazioni e gli emendamenti su cui spicca la sua firma. È riuscita a stupire persino il compagno di banco Massimo D’Alema, uno che dall’alto dei suoi baffi ha visto morire decine di peones. Madia ha lottato da subito per non restare una meteora, ha risposto coi fatti alle accuse di nepotismo e alle chiacchiere malevole che scivolano rapide sui sampietrini della Capitale.
Poi però agli onori delle cronache balzano le gaffe, quelle vere e presunte. Come quando al momento della sua elezione nel 2008 esordì con una dichiarazione per qualcuno ingenua e infelice: «Porto in dote la mia straordinaria inesperienza». Nel giugno scorso scatenava un putiferio al Nazareno dopo essersi lasciata scappare che «nel Pd ho visto delle vere e proprie piccole associazioni a delinquere sul territorio». A dicembre in qualità di responsabile lavoro della segreteria Pd, nominata da Renzi a dicembre, avrebbe confuso la sede del ministero dello sviluppo economico con quella del lavoro, circostanza che l’ha scaraventata nella centrifuga di sberleffi sul web. Nel mezzo anche la polemica sollevata dall’ex direttrice di Youdem Chiara Geloni che le rimproverava di essere stata prima veltroniana, poi dalemiana, lettiana, bersaniana e infine renziana. Un percorso che Aldo Grasso sul Corriere commenta così: «Per essere giovane e inesperta la Madia ha imparato subito e bene a risalire le correnti».
Oggi è in prima linea nella squadra dell’ex sindaco innescando qualche mal di pancia tra i renziani doc, «leopoldini della prima ora» che scandiscono un ritornello prossimo alla bocciatura: «Madia al governo? Più che un errore è una presa in giro». Ad altri la ragazza sembra fin troppo esile per affrontare a mani nude l’elefantiaco apparato della burocrazia italiana. Checchè ne dicano i detrattori, il programma del ministro è ambizioso e tutto all’attacco. Lo spiega lei stessa: «Va affrontata una riforma della pubblica amministrazione partendo dai dirigenti, per cui ci dev’essere una rotazione degli incarichi e quindi una mobilità. Ci sembra inaccettabile che tanti di loro restino bloccati nei loro prestigiosi incarichi per anni accumulando potere e disinteressandosi del funzionamento della macchina». Parole rivoluzionarie, quasi un grido di battaglia. Chissà se sarà quello giusto per seppellire chiacchiere e pregiudizi.