Perché Mario Greco deve sfiduciare i suoi azionisti

L’azione contro Perissinotto

A Mario Greco non piace l’azione di responsabilità nei confronti di Giovanni Perissinotto e Raffaele Agrusti, ex vertici di Generali. Costretto dall’Ivass, il regolatore delle assicurazioni e dalla Consob, che hanno chiesto l’intervento della Procura della città giuliana, il numero uno della compagnia triestina si è blindato attraverso un’indagine di Kpmg e due pareri dello studio Bonelli Erede e Pappalardo e dello studio Portale, Visconti e Maresca. D’altronde la posizione dell’ex top manager di Zurich è piuttosto scomoda: nessun amministratore delegato vorrebbe mai trovarsi nella situazione di dover sfiduciare i propri azionisti.

Soprattutto se le operazioni finite nel mirino di authorities e magistrati – per quanto prive di rilevanza penale, stando al parere del prof. Mucciarelli dello studio Erede – sono state concluse sotto il naso di Mediobanca, titolare del 13% (quota che scenderà al 10% secondo il piano industriale) della compagnia. Per quanto le deleghe di Perissinotto prevedessero un’ampia autonomia decisionale negli investimenti in fondi alternativi e di private equity afferenti direttamente o indirettamente ad azionisti forti, in virtù della special relationship con Piazzetta Cuccia è difficile ipotizzare che Mediobanca non fosse a conoscenza delle mosse del manager ravennate. Se gli esperti di Erede hanno sconsigliato di imbarcarsi in un lungo contenzioso, lo studio Portale, dal canto suo, ha invece consigliato di “salvare” l’ex direttore finanziario Raffaele Agrusti, che fino al 2007 non aveva grandi poteri decisionali

Il balletto sull’azione di responsabilità, osteggiata dal patron di De’Agostini Lorenzo Pelliccioli e da Alberto Nagel, amministratore delegato della banca d’affari milanese, ha il sapore di un regolamento di conti: molti degli azionisti artefici del blitz di giugno 2012 che ha portato all’allontamento di Perissinotto hanno fatto affari con Trieste. Dall’acquisizione indiretta della Residenza Cartesio, proprietà di un fondo riconducibile al vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone, ai 160 milioni investiti nel fondo Idea 1 Fund of Funds di Lorenzo Pelliccioli – operazione, va detto, rientrante nelle deleghe di Perissinotto – su cui lo scorso giugno la Consob ha chiesto chiarimenti. Il tutto a  spese della compagnia, di Mediobanca e in ultima analisi di Unicredit, a sua volta principale azionista dell’istituto di credito.

L’uscita dai patti di sindacato di Mediobanca, Telco, Pirelli, Ntv, Agorà, Gemina, Rcs e Prelios, la chiusura della joint venture Ppf con il finanziere ceco Petr Kellner – costata 2,5 miliardi – le cessioni per 2,4 miliardi. Sono queste le operazioni di rafforzamento messe in atto finora da Greco, aiutato anche dall’abbassamento dello spread sui circa 53 miliardi di titoli di Stato in pancia alla compagnia. Dall’altro lato della medaglia, come ha evidenziato un report di Kpmg pubblicato da Claudio Gatti sul Sole 24 Ore, il valore degli accordi in odor di conflitto d’interesse ammonta a 660 milioni di euro, svalutati cautelativamente per 234 milioni.

Si tratta di “investimenti alternativi” che coinvolgono la galassia degli azionisti veneti, in particolare la Fin.Int. di Enrico Marchi e Andrea DE Vido e la Palladio Finanziaria di Marco Drago e Roberto Meneguzzo. Nell’ambito dell’operazione “Carta commerciale Finleasing” Generali ha versato 40 milioni a Fin.Int., altri 150 milioni sono andati al fondo Vei, partecipato da Palladio, la quale detiene una quota rilevante di Snai, società di scommesse partecipata anche dalla Investindustrial di Andrea Bonomi. Non è finita. Come ha svelato a fine 2012 Massimo Mucchetti sul Corriere, in virtù di una complessa operazione sul 49% di Palladio di proprietà della holding vicentina Pfh1, che coinvolge la banca Hsbc, Generali è azionista di Palladio tramite tre fondi (Gp, Leo, e Tenax, i primi due di sua proprietà, il terzo controllato assieme a Massimo Figna, ex capo della ricerca di Ubs). A sua volta Palladio è azionista al 2,1% del Leone tramite Effeti, partecipata attraverso il veicolo Ferak, che riunisce la famiglia Amenduni, gli Zoppas, Veneto Banca e Fin.Int. L’istituto guidato da Vincenzo Consoli, peraltro, possiede il 9% di Palladio.

Quote incrociate sul punto di sfaldarsi. Intervistato da Repubblica Affari & Finanza, Enrico Marchi si è tolto qualche sassolino dalla scarpa, difendendo l’operato di Perissinotto: «Che senso ha vendere Save (società di Fin.Int. che gestiscce l’aeroporto Marco Polo di Venezia, di cui Generali ha ceduto il 10% a Morgan Stanley, ndr) per poi puntare 50 milioni su un hedge fund inglese (Algebris di Davide Serra, NdR), che aveva magari il merito di aver contrastato la gestione Perissinotto? Save avrebbe dovuto essere un investimento ideale per Generali: ha un contratto di programma decennale e ha ricavi e utili in crescita». «C’è un Ceo che da molto tempo sta facendo una due diligence su cose di dieci anni fa. E tutti i giorni escono articoli da macchina del fango» ha detto ancora Marchi all’Adnkronos. Aggiungendo: «Chi si azzarderebbe a fare un investimento che non siano i Btp, con l’idea che qualcuno poi potrebbe mettere in discussione quegli investimenti dieci anni dopo? Così non lavora più nessuno». Eppure l’ex presidente di Antonveneta – sentito dal procuratore di Trieste Federico Frezza come persona informata dei fatti assieme al socio De Vido – si dimentichi di un piccolo particolare: Fin.Int., come detto, è tra i proprietari di Generali. Non da oggi peraltro. 

In attesa di capire l’esito della riunione del comitato controllo e rischi (composto da Alberta Figari, Paola Sapienza, Sabrina Pucci e Clemente Rebecchini) – che alle 20.00 del 18 febbraio è ancora in corso – sull’azione di responsabilità, prodromica al consiglio d’amministrazione convocato per il 19 febbraio, è possibile misurare la performance di Giovanni Perissinotto e Mario Greco con il metodo proposto da Marchi. «Qualsiasi Ceo deve essere valutato come una somma algebrica di più e di meno. Se il risultato complessivo è positivo, allora lo è anche la valutazione del lavoro di un top manager», ha detto il manager veneto. Bene, nei dieci anni al vertice Perissinotto ha distrutto valore per 1,1 miliardi di euro, mentre sui mercati Generali (-58%) ha perso meno di Allianz (-67%), ma più di Aviva (-53%) e Axa (-50%). Dalla nomina a inizio giugno 2012 del successore Mario Greco, il titolo ha invece guadagnato il 92,7%, meglio dell’82% di Allianz ma meno del 120% di Axa.

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