Michael Yassa è un assistente universitario presso il Dipartimento di psicologia e neuroscienze della Johns Hopkins University. Ha appena riempito una tazza di caffè e seduto davanti a un camino ardente si accinge a berlo. «Da sempre sappiamo che la caffeina ha un effetto sul sistema cognitivo, ma non è mai stato dimostrato il suo effetto sulla memoria, la sua capacità di rinforzare i ricordi. Per la prima volta abbiamo dimostrato che la caffeina ha un effetto specifico nel ridurre le dimenticanze fino a 24 ore dopo la sua assunzione».
La ricerca condotta da Yassa e colleghi e pubblicata su Nature Neuroscience racconta come 150 persone – non regolari consumatori di prodotti contenenti caffeina – sono state sottoposte a uno studio in doppio-cieco, in cui la metà dei partecipanti ha ricevuto una tavoletta contenente 200 mg di caffeina (dose media consumata da un adulto, equivalente a circa una tazza di caffè forte) e l’altra metà un placebo, cinque minuti dopo aver visto una serie di immagini. Inoltre per valutare i livelli di caffeina di ciascun partecipante, sono stati prelavati dei campioni di saliva prima dell’assunzione della tavoletta, dopo una, tre e ventiquattro ore.
Il giorno dopo a tutti partecipanti sono state mostrate altre immagini: alcune erano identiche a quelle viste il giorno prima, altre erano nuove, altre ancora simili ma non uguali a quella viste in precedenza. Gli è stato chiesto poi di individuare quali immagini avessero già visto durante il primo test: chi aveva assunto il prodotto con caffeina il giorno prima, è stato in grado più degli altri di distinguere le nuove immagini simili ma non identiche alle precedenti. La caffeina quindi secondo quanto affermano i ricercatori, è in grado di migliorare quello che gli scienziati chiamano il pattern separation, cioè la capacità del cervello di riconoscere la differenza fra due oggetti simili ma non identici. Un livello ancora più profondo della conservazione della memoria.
«Il prossimo passo – spiega Yassa a Latarsha Gatlin di Hub – è individuare i meccanismi cerebrali alla base di questo miglioramento. Sappiamo anche che la caffeina è associata alla longevità in buona salute e può avere alcuni effetti protettivi sul declino cognitivo, come il morbo di Alzheimer». A confermare l’effetto protettivo del caffè sul declino cognitivo è anche Alessandra Tavani, epidemiologa presso l’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, che sulla bevanda più bevuta nel mondo occidentale ha scritto un ebook. «Che il caffè sia protettivo sul declino cognitivo potrebbe essere vero, ci sono già alcuni dati, anche se non sono definitivi, su Parkinson e Alzheimer. Da confermare è anche l’effetto favorevole sulla mortalità totale, ci sono dati indicativi ma è ancora da dimostrare. Per il resto si sa di certo che il caffè riduce l’incidenza di tumore del cavo orale (bocca-gola); l’incidenza del tumore dell’endometrio; incidenza del tumore del fegato; l’incidenza della cirrosi epatica; l’incidenza della mortalità per diabete di tipo2; l’incidenza di ictus». Per contro si sa che un consumo eccessivo di caffè può causare un aumento della pressioen arteriosa per breve tempo, e potrebbe aumentare leggermente – ma è ancora da dimostrare –il rischio di tumore della vescica. Mentre in chi lo beve raramente o occasionalmente potrebbe scatenare il rischio di infarto del miocardio.
Non tutti questi effetti però – positivi o meno – però sono da attribuire alla solo caffeina, che rappresenta appena il 2% di tutti i componenti del caffè. «Per il resto è composto da circa 2000 sostanze bioattive, come minerali, carboidrati, proteine, amminoacidi, acidi grassi, terpeni, melanoidine, numerosi composti fenolici, e tante altre che non conosciamo» continua Tavani. «Molto probabilmente molti degli effetti positivi di questa bevanda derivano da diverse di queste sostanze, come gli antiossidanti. Nella dieta italiana, infatti, il caffè è uno dei principali fornitori di antiossidanti, e potrebbero essere proprio questi i responsabili di molti dei effetti, anche se non lo sappiamo con certezza».
Questo in parte spiega perché il caffè abbia effetti così diversi. Il fatto che protegga da alcuni tumori e possa aumentare il rischio di altri, inoltre, deriva dal fatto che il tumore non è un’unica malattia, ma tante, e molto diverse fra loro. Per questo gli effetti sono così vari, e sono ancora tante le ricerche in corso che stanno chiarendo il ruolo del caffè in ognuna di esse.
Il caffè inoltre ha effetti diversi da individuo a individuo, soprattutto per quanto riguarda quelli sul sistema nervoso centrale (innalzamento dell’attenzione, dell’energia, dei riflessi, e riduzione della sonnolenza) derivati dalla caffeina. Differenze genetiche infatti possono portare a differenti enzimi deputati al metabolismo della caffeina. Persone che sono in grado di metabolizzarla velocemente, smaltiscono gli effetti dopo poco tempo; in quelle che invece hanno un metabolismo lento resta in circolo più a lungo, prolungando i suoi effetti. Per questo alcuni individui bevono il caffè prima di dormire senza problemi, mentre altri non riescono a prendere sonno. Stesso discorso per la quantità: chi elimina velocemente la caffeina può bere anche diverse tazze di caffè al giorno, perché in sei ore la caffeina viene eliminata, ma lo stesso non vale per chi la elimina lentamente, perché si accumula nell’organismo, amplificando i suoi effetti.
Per lo stesso motivo non deve essere assunta dai bambini, nelle donne in gravidanza e in chi soffre di cirrosi epatica. «Tutte queste persone hanno il metabolismo della caffeina rallentato – spiega Tavani – e rischiano che la sostanza si accumula dando effetti negativi. In gravidanza il metabolismo della caffeina è rallentato di 15 volte, e non è stato ancora dimostrato che non abbia effetti sul bambino. Va poi evitato in pazienti che soffrono di gastrite e ulcera perché aumenta la secrezione di acido cloridrico che irrita la mucosa gastrica. E infine nelle persone con aritmie cardiache e fibrillazione atriale. Se però una persona è adulta, sana e non incinta, tre tazza di caffè al giorno non solo non fanno male ma potrebbero avere anche un effetto positivo».
Il caffè inoltre può aumentare l’emicrania in alcuni soggetti, ma solo se se ne beve tanto, ma non fa venire il mal di testa. «Anzi in generale fa passare le crisi emicraniche perchè aumenta la vasocostrizione delle arterie cerebrali, e in più aumenta la biodisponibilità di alcuni farmaci analgesici come i farmaci antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti Fans. Se somministrati in associazione con la caffeina, occorre una dose più bassa del farmaco per avere lo stesso effetto».