Per anni lo screening eseguito con Pap test è stato il cavallo di battaglia contro il tumore al collo dell’utero, che ha permesso di ridure di tantissimo i casi di questo tumore nei paesi più sviluppati. Oggi però numerose ricerche affermano che il test del papilloma virus (Hpv) sia ancora più efficace del test citologico (Pap test) nel prevenire l’incidenza di questo tumore, soprattutto nelle donne sopra i 30 anni. Lo afferma in particolare una ricerca pubblicata su The Lancet e condotta da un gruppo internazionale di ricercatori, coordinato da Guglielmo Ronco, epidemiologo del Centro di Riferimento per l’Epidemiologia e la Prevenzione Oncologica in Piemonte (CPO Piemonte dell’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino). Lo studio ha esaminato 175mila donne tra i 24 e 60 anni, reclutate in quattro studi di grandi dimensioni, condotti in Italia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia. Le donne sono state seguite per 6 anni e mezzo e sottoposte, in maniera randomizzata a Pap test (gruppo di controllo) o test con Hpv (gruppo sperimentale). I risultati hanno mostrato una riduzione dell’incidenza (nuovi casi di tumore) del 60-70% nelle donne tra i 30 e i 35 anni sottoposte a screening con test Hpv. Ne abbiamo parlato con Guglielmo Ronco per capire meglio di cosa si tratta.
Dottor Ronco, per prima cosa può spiegarci qual è la differenza tra i due test?
Il Pap test o esame citologico, è usato da circa 40-50 anni per la prevenzione del tumore al collo dell’utero e consiste nel prelevare alcune cellule di questo tessuto, per poi esaminarle al microscopio. Se durante questo primo esame si osservano alterazioni morfologiche, che suggeriscono la presenza di una lesioni pre-cancerogena, la donna viene sottoposta a un ulteriore test di approfondimento, la colposcopia. Un esame del collo dell’utero a basso ingrandimento, che serve come guida per prelevare un piccolo pezzo di tessuto delle aree sospette e confermare la presenza di lesione. Identificare queste lesioni al principio, previene l’insorgenza di un tumore invasivo alla cervice. Il test Hpv invece viene eseguito allo stesso modo, sempre prelevando un campione di cellule del collo dell’utero, ma invece che cercare eventuali lesioni, si verifica la presenza del Dna del virus.
Il papilloma virus (Hpv) è sempre indice di tumore?
Assolutamente no, il virus è un agente necessario ma non sufficiente per la presenza del tumore. Non è detto quindi che essere positive al virus significhi sviluppare il tumore: se il test è positivo si prosegue con un’analisi citologica, e se anche questa risulta postiva vengono sottoposte a colposcopia (come sarebbero successo anche con il Pap test). Se invece l’esame citologico è negativo dopo circa un anno viene eseguito un altro test per verificare se l’Hpv è ancora presente. Se l’infezione persiste la donna viene invitata a fare una colposcopia altrimenti ci si ferma qui e si ripete lo screening dopo cinque anni. La maggior parte delle infezioni da Hpv regredisce da sola. La persistenza, inoltre, è necessaria perché compaiano le lesioni e diano origine a tumore. Il test Hpv ha permesso di individuare lesioni pre-cancerogene in anticipo rispetto all’esame citologico e probabilmente di individuare alcune lesioni che con il Pap test non si sarebbero viste. Lo dimostrano anche i dati dello studio: nelle donne che hanno eseguito il test Hpv si sono sviluppati meno tumori invasivi.
Non sempre però è opportuno eseguire il test Hpv, in alcune fasce di età è ancora consigliato il Pap test, è corretto?
Esatto, i dati dello studio dimostrano chiaramente che l’effetto maggiore di prevenzione si ha nelle donne tra i 30 e 35 anni. Per questo motivo è consigliato iniziare lo screening a questa età. Nelle donne più giovani il numero di tumore invasivi è molto basso e i dati degli studi clinici sono in contrasto sull’efficacia del test Hpv in questa fascia di età. Nella maggior parte dei casi, infatti, sotto i 30 anni si tratta di lesioni che si risolvono da sole nel giro di poco tempo, e si rischia di eseguire esami inutili. In Italia lo screening per il tumore la collo dell’utero inizia prima dei 30 anni, è in questo caso è consigliato il classico Pap test.
In Italia è già possibile eseguire il test Hpv?
È stata fatta una proposta in cui si sono valutano costi e benefici del test, e in seguito il ministero ha inviato alla regioni una raccomandazione con cui si chiede di passare al test Hpv in maniera progressiva. Dopo che abbiamo concluso lo studio clinico di cui parlavamo prima, sono iniziati degli studi pilota di fattibilità in varie regioni: a partire dallo scorso anno circa 150mila donne sono state invitate a eseguire il test Hpv, all’interno dei programmi regionali organizzati di screening. Sono numerose le regioni che hanno già scelto di adottare il test Hpv come test primario: Piemonte, Umbria, Toscana, Liguria, Basilicata per dirne alcune. Mentre in altre stanno partendo programmi pilota. Chiaramente ci vuole del tempo perché il test Hpv sostituisca il Pap test. In Piemonte contiamo che le donne verranno invitate ancora una volta a fare l’esame citologico, e la volta successiva al test Hpv.
I programmi di prevenzione organizzati per il tumore alla cervice sono attivi in tutte le regioni italiane?
Praticamente sì, tranne che in alcune zone della Lombardia, Liguria e qualche area del sud come in Sardegna. Inoltre le donne vengono invitate a sottoporsi al test a scaglioni, progressivamente, in modo che non ci sia un sovraffollamento. Anche perché il richiamo viene fatto ogni 5 anni: per questo è meglio distribuirle nel tempo. È consigliabile poi che i test siano eseguiti solo in pochi centri per motivi di qualità, soprattutto per quanto riguarda la citologia che richiede una certa esperienza e training perché è molto diversa dalla citologia. Poi c’è la cosiddetta attività spontanea, in cui le donne si sottopongono a screening di propria volontà e fuori da questi programmi, ma è molto importante che vengano seguite le raccomandazioni. Gli intervalli con cui sottoporsi al test devono essere abbastanza prolungati, tra uno screening e l’altro devono passare almeno cinque anni se tutto è a posto e non tre come ora. E l’attività di prevenzione deve iniziare dopo i 30 anni, come abbiamo già ricordato, altrimenti si rischia di incappare in esami eccessivi ed effetti collaterali.
Attualmente com’è la copertura dello screening in Italia?
Circa il 79-78% delle donne italiane vivono in aree coperte da programmi organizzati e vengono invitate a sottoporsi al test. La copertura reale però è un po’ più bassa perché c’è una differenza molto forte tra Nord e Sud: al Nord, nelle zone in cui i programmi sono attivi, vengono invitate praticamente tutte le donne; al Sud invece non riescono a chiamare tutte negli intervalli prestabiliti e sono un po’ indietro. Le donne che accettano l’invito poi sono il 50% forse anche un po’ meno, percentuale che è più alta al Settentrione. C’è da dire infine che dove ci sono i programmi organizzati c’è anche una quota importante di donne che fa il test spontaneamente, con la conseguenza che in queste regioni la copertura è molto più alta. Il tumore alla cervice si è ridotto di moltissimo nei paesi più sviluppati grazie allo screening. Mettendo insieme screening e vaccinazione Hpv (raccomandata nelle ragazze sotto i 26 anni) e raggiungendo una buona copertura di entrambi, si potrebbe arrivare alla quasi eliminazione del tumore alla cervice.