Soldi all’estero, funzionerà davvero l’autodenuncia?

I nodi della voluntary disclosure

Dopo la lunga stagione dei condoni e degli scudi fiscali, si è aperta quella della “voluntary disclosure”. Nonostante siano stati spesso accostati, quest’ultima è tutt’altra cosa. Con lo scudo fiscale, la “ripulitura” completa (imposte, sanzioni amministrative, interessi, sanzioni penali) costava il 2,5% nel 2002 e il 5% nel 2009. E si trattava di pulizia totale: oggi, ce ne vogliono come minimo 65 e la copertura penale potrebbe non essere totale.

Ma non è solo una questione di soldi. Lo scudo fiscale era una dichiarazione riservata, che conosceva solo l’interessato e l’intermediario a cui si era rivolto. L’amministrazione ne veniva a conoscenza solo quando l’interessato lo tirava fuori per proteggersi da una verifica fiscale. La voluntary disclosure comincia presentando all’Agenzia delle entrate nome e cognome dell’interessato, la fotografia completa del patrimonio estero, della sua provenienza e della sua movimentazione. E questo per 5 o addirittura 10 anni. Dopodiché, il fascicolo può finire in Procura.

Sono istituti così diversi che metterli a confronto non ha proprio alcun senso.

L’unico gesto di clemenza recato dal decreto-legge sulla voluntary disclosure è la non punibilità per i reati di omessa e infedele dichiarazione per chi spontaneamente vuota il sacco all’Agenzia delle entrate e paga tutte le imposte, tutti gli interessi e tutte le sanzioni.

Verrebbe da dire: e ci mancherebbe altro! Quale altra pena dovremmo infliggere a chi si comporta in questo modo? Questo piccolo gesto di clemenza dovrebbe semmai essere esteso a tutti coloro che hanno evaso le imposte e che spontaneamente riparano in toto all’errore commesso, non solo a quelli che l’hanno fatto portando (o tenendo) i soldi all’estero. Anche perché la legge (articolo 13 del D.lvo 74 del 200) già prevede che chi paga integralmente il proprio debito fiscale prima dell’apertura del dibattimento in primo grado ha diritto alla diminuzione della pena sino ad un terzo. Chi, oltre ad aver pagato fino all’ultimo centesimo, si è addirittura auto-denunciato, ha diritto a qualcosa in più.

Limitare questo modesto regime premiale ai redditi ed ai capitali nascosti all’estero risulta poco comprensibile. Intanto, tra le mille incertezze del provvedimento, ci si interroga su chi avrà convenienza ad aderire. Molti dicono che gli interessati saranno pochissimi, in pratica solo chi ha “piccoli patrimoni” derivanti da evasioni fiscali non più accertabili. Il costo della voluntary disclosure è infatti molto diverso a seconda che l’evasione sia o meno ancora accertabile. Se si tratta di evasione non più accertabile, il costo varia dal 7 al 18% (con larga approssimazione). La dimensione del patrimonio non influenza la percentuale del costo. Altrimenti, si parte da un minimo del 65%, ma si può arrivare al 100%.

Chi si trova in questa seconda situazione – si dice – non avrebbe alcuna “convenienza”. La prospettiva di autodenunciarsi, di separarsi da una fetta molto consistente dei propri averi, rischiando magari una denuncia per frode fiscale (non coperto dal nuovo regime) non è allettante. E’ probabile che si attenda la conversione parlamentare, sperando in un qualche emendamento, prima di farsi avanti. Alcuni (molti, forse) saranno comunque tentati di lasciare tutto com’è, nella speranza di continuare a farla franca o dell’arrivo di un “vero” condono.

D’altronde, esistono alcune figure professionali che campano sull’infedeltà fiscale altrui e che saranno ancora una volta prodighi di consigli improntati alla cautela. Cero è che la vita dell’evasore fiscale internazionale sta diventando davvero complicata. Le banche svizzere non li vogliono più, quelle americane hanno il FATCA (foreign account tax compliance act, ndr) in casa, le banche europee scambiano informazioni in via automatica. Le norme antiriciclaggio cominciano a “mordere” un po’ ovunque. Tra qualche mese anche l’Italia avrà il suo nuovo reato dell’autoriclaggio e spostare i soldi da una banca all’altra sarà automaticamente riciclaggio, anche se ci si affida ad un prestanome. Insomma, sarà dura continuare a nascondersi. E molti stanno considerando seriamente di trasferirsi all’estero.

Il negoziato tra Italia e Svizzera alimentava qualche speranza di qualche anno di anonimato ancora. Ma il ministro Saccomanni, dopo l’incontro di giovedì scorso con il consigliere federale svizzero Eveline Widmer-Schlumpf, ha escluso che l’Italia possa concordare con chiunque regimi di regolarizzazione meno rigidi di quelli previsti dal decreto legge sulla voluntary disclosure. Sarebbe davvero un controsenso. Insomma, l’opzione Rubik è definitivamente scomparsa.

Piuttosto che fare confronti con scudi fiscali e condoni, un serio calcolo sulla “convenienza” della voluntary disclosure dovrebbe farsi su queste nuove basi.

*avvocato dello studio Bonelli Erede Pappalardo

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