Altrimenti ci arrabbiamo, Dune Buggy e scazzottate

40 anni fa

È la mattina del 22 novembre del 2013, Matteo Renzi è ospite di Agorà, su Raitre. Mancano pochi giorni alle primarie del PD che consegneranno il partito, con numeri da plebiscito, proprio al Sindaco. Per lui è la penultima tappa prima di arrivare a Palazzo Chigi, il 22 febbraio del 2014, appena tre mesi dopo.

Incalzato dagli ospiti in sala Renzi si scalda. «Il tempo del rinvio è finito, dice, dal 9 dicembre si fanno le cose sul serio». E continua: «il governo farà le cose che dice il Pd». Renzi è deciso, perentorio. Gli ospiti in sala continuano a incalzarlo, «altrimenti?» gli chiedono. Non ci pensa molto Renzi, e risponde «Altrimenti ci arrabbiamo». 

Ecco che, nel bel mezzo di un discorso — oseremmo dire caldo, sbagliando forse per eccesso di eufemismo — sulla politica italiana, sul futuro del governo e sulle volontà future del fiorentino, spuntano loro, Bud Spencer e Terence Hill, al secolo Carlo Pedersoli e Mario Girotti, e uno dei loro film più famosi dal perentorio titolo di Altrimenti ci arrabbiamo.

Sono passati 40 anni da quel 29 marzo del 1974, giorno in cui Terence Hill compie 35 anni ed esce nelle sale italiane Altrimenti ci arrabbiamo, uno dei film che traghetta il duo comico Bud Spencer e Terence Hill oltre il periodo “spaghetti western” — film come Lo chiamavano Trinità o Continuavano a chiamarlo Trinità avevano consacrato la coppia a livello internazionale — dando il via alla stagione che potremmo definire delle scazzottate.

Capita spesso, a riveder film d’altri tempi, soprattutto di quelli legati all’infanzia e all’adolescenza, di provare una certa compassione, una sorta di pena a doppio viso: da una parte per il film, colpevole di rivelare, a distanza di anni, una mediocrità prima non sospettata, o, forse, più banalmente, rivela gli effetti di quel tragico e ineluttabile effetto del tempo che, come trasforma la giovinezza in grinzosa vecchiaia, così disinnesca il meccanismo comico, trasformandone gli effetti in noia, o ancor peggio tristezza.

Personalmente non vedevo Altrimenti ci arrabbiamo dall’inizio degli anni Novanta. All’epoca non avevo ancora dieci anni, e le scazzottate di Bud Spencer e Terence Hill avevano per me il gusto sapido della trasgressione, della parentesi ribelle alla normalità. Mi spiego: per me, da piccolo, la televisione era ammantata da un’aura di malvagità, inculcatami dai miei genitori grazie a un semplice divieto che non mi permetteva di vedere altro che i cartoni politically correct che davano sulla Rai.

Mediaset, che all’epoca si chiamava Fininvest, mi era preclusa (mi semrba di ricordare che le cose rimasero così fino a quando approdai alle medie, diventando in qualche modo Grande). E allora succedeva che, ogni tanto, nei weekend, passavo il venerdì o il sabato sera a casa dei miei nonni e lì, dopo una cena quasi sempre basata su cotolette impanate alla milanese, in un salotto che chiaramente non potrò mai dimenticare, io e mio nonno ci mettevamo davanti alla televisione (mi pare di ricordare che la rete fosse Rete4) e ci guardavamo un film.

In quel salotto di film ne ho visti parecchi, e molti non me li posso ricordare. Sono sicuro però che tutti — essendo irrimediabilmente film che non potevo vedere se non lì, godevano del riflesso del piacere che sempre si accompagna alla trasgressione. I pochi che mi ricordo perfettamente, invece, sono quelli di Bud Spencer e Terence Hill, in coppia, o anche da soli.

Titoli come Anche gli angeli mangiano i fagioli, Due superpiedi quasi piatti, i vari episodi della saga di Piedone, i già citati western spaghettosi di Trinità, o ancora, Pari e dispari, Banana Joe, Bomber, Io sto con gli ippopotami e anche, chiaramente, Altrimenti ci arrabbiamo. Un film che ho sempre amato più di tutti gli altri, forse un po’ per quella meravigliosa Dune Buggy (l’unica macchina che, all’alba dei trent’anni mi potrebbe far venir voglia di prendere la patente) e un po’ per quella canzone degli Oliver Onions.

Sono passati più di vent’anni da allora, i miei nonni ormai sono morti e in quel salotto chissà chi ci vive. Io però, ieri sera, per un’ora e mezza in quel salotto è come se ci fossi tornato: ero in una piccola stanza di una foresteria di Città di Castello e, prima di preparare un evento a cui parteciperò qualche ora dopo la scrittura di questo articolo, mi sono rivisto Altrimenti ci arrabbiamo.

E, lo confesso, con un poco di incredulità mi sono ritrovato a ridere di nuovo. Intendiamoci, non a sganasciarmi come forse mi capitava a dieci anni quando vedevo quei due scanzonati eroi prendere a cazzotti chiunque gli si parasse davanti. Ma ho riso, e mi son chiesto perché, come sia possibile che, passati così tanti anni, soltanto a sentire quella scazzottante onomatopeica colonna sonora di «tsch, tsch, tsch» a sottolineare ogni colpo, mi sia di nuovo e inevitabilmente ritrovato a ridere.

Un ripasso, per chi non si ricordasse di cosa parliamo.

Altrimenti ci arrabbiamo, come tutti i film targati Bud Spencer e Terence Hill, si basa su una trama-canovaccio che è un po’ sempre la stessa. Da una parte ci sono loro, che sono quasi sempre amici, ma che hanno invariabilmente qualche attrito. O meglio, Bud, che fa sempre il musone solitario, non sopporta Terence, che invece è sempre sorridente, ama stare al centro dell’attenzione e si perde sempre dietro a qualche ragazza.

Dall’altra ci sono i nemici, quasi sempre definibili come i Cattivoni, una variante dei cattivi ipermacchiettata e gerarchicamente composta da un Cattivone — quasi sempre tanto arrogante quanto stupido — e da i suoi Scagnozzi, ugualmente, se non ancor più stupidi del loro capo. Sono loro, di solito, la carne da macello che passa sotto le manate di Bud e Terence.

In questo il procedimento narrativo è riassumibile così: Kid e Ben, rispettivamente Terence e Bud, sono due appassionati di macchine e di gare da cross. All’inizio del film vincono a pari merito una gara e si aggiudicano una bellissima Dune Buggy rossa, col tettuccio giallo, che loro chiamano affettuosamente la Carriola. Ben non sopporta Kid, e vuole stabilire una volta per tutte di chi sia la Carriola, ed è proprio in quel momento che arrivano i cattivoni, distruggono la macchina e impongono la loro tracotanza esasperata e quasi ingiustificata, tipica dei cattivoni, a Kid, Ben e agli avventori del Luna Park dove si trovano.

Così comincia l’avventura. Kid e Ben rivogliono la loro Dune Buggy e le danno di santa ragione a tutti i cattivoni fino a quando il Boss dei cattivoni capisce che forse, se non vuole ospedalizzare tutta la sua gang, è meglio accontentarli.

In tutti i film di Bud e Terence le scene madri sono quelle in cui loro due, da soli, fanno a botte con le brulicanti e popolose gang degli scagnozzi del cattivone. E tra un «tsch» e un altro, li lasciano sempre e irrimediabilmente per terra, languenti in locali semidistrutti.

Di scene come queste sono puntellati tutti i loro film, anche questo. In questo caso, però. la scena migliore non è, almeno per quanto mi riguarda, una rissa, come può essere l’ultima, nel locale del boss tra mille palloncini che esplodono, o quell’altra, mitica, della palestra. No, la scena migliore, per me è un’altra: quella che è passata alla storia con l’etichetta di «Birra e salsicce», in cui, per una volta, i due non fanno a botte con nessuno.

Quando devono decidere come giocarsi la Carriola per decidere chi se la tiene, Terence, che invariabilmente è quello svelto, agile e furbo, propone di giocarsela a carte. Bud, che è sempre quello forzuto, lento e poco intellettuale, propone di decidere con un match di braccio di ferro. Entrambi, consci delle proprie debolezze non accettano la sfida dell’altro e convengono su un territorio che li vede primeggiare entrambi: il cibo. E così finiscono per giocarsela «a birra e salsicce», ovvero: si siedono al bancone di una birreria e iniziano a mangiare una salsiccia dopo l’altra, bevendo una pinta dopo l’altra.

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È proprio in mezzo alla sfida che fanno capolino gli scagnozzi del cattivone, che spaccano tutto il locale, con metodo e perizia, spaccando ogni singola cosa che trovano sulla loro strada. Ma qualcosa c’è di comune tra le scene di scazzottate furiose e questa della sfida a birre e salsicce: è il contrasto tra la foga degli assalitori e la calma dei due, una calma come al solito biforcuta, ovvero, una calma divertita e cazzona — quella di Terence — e una più seria e scocciata — quella di Bud — una doppia reazione che replicano anche durante le risse.

Terence infatti è quello agile, che schiva i colpi dei nemici e li prende in giro, sempre con il sorriso sornione stampato in faccia. Bud, invece, che è decisamente quello lento, i colpi dei nemici se li prende anche (l’esempio classico è quello della sedia spaccata sulla schiena, o del piccoletto che si mette a tempestarlo di pugni da dietro) e la sua reazione è sempre la stessa: si ferma, alza lo sguardo al cielo, sbuffa e poi, dopo essersi voltato, assesta un gran cartone in testa al malcapitato, che sviene sul colpo.

In questa riproposizione sempre simile di uno stesso canovaccio, probabilmente, c’è anche la risposta alla mia domanda iniziale, ovvero, perché i film di Bid Spencer e Terence hill mi fanno ancora ridere? E la risposta è proprio nel sorriso di Terence e nei brontolii di Bud, che annichiliscono i cattivoni in una sinfonia di «tsch», «tsch», «tsch»

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