Uno dei saluti più usati, e non solo a causa del predominio dell’inglese, è “Hello”, che deriva (forse) da un antico germanico “Holla!”, che significa “ferma, stop”, e veniva usato per rivolgersi a uno straniero. La formula si sarebbe cristallizzata e sarebbe diventata un comunissimo saluto, molto diffuso in varie lingue in forme più o meno simili.
“Ciao”, invece, come si vede più sotto, deriva dal veneziano “s.ciao”, cioè “schiavo”, ed era una formula di disponibilità nei confronti dei padroni. Lo stesso si può ritrovare, del resto, nell’austriaco “servus”.
Invece, in Croazia, per salutare si dice “Bog”, o “Bok”. E per la sua origine ci sono diverse teorie. “Bog” significa “Dio”, ed è probabile che derivi da una formula di saluto come “Bog te podzravi”, cioè “Dio ti protegga”. Oppure si usa Bok, e forse l’origine è più prosaica e straniera: deriverebbe dal tedesco austriaco antico “Mein Bueken”, cioè “Il mio inchino”, che sarebbe col tempo diventato “Majn Bokn”, fino a consumarsi e restare “Bok”.
Per tutte le altre lingue, basta guardare questa semplice ma simpatica infografica.
Per approfondire la storia letteraria dell’italiano “ciao”, ecco una pagina interessante.
«Ciao! Alberto le fissò addosso un lungo sguardo, che valeva per lo meno quanto il ciao». Chissà se Giovanni Verga, quando, nel 1874, scrisse questa battuta nel romanzo Eros (pubblicato poi nel 1875), si sarà reso conto che stava segnando una tappa fondamentale nella storia unitaria di una parola che sarebbe diventata uno dei simboli dell’italianità nel mondo. Non che quella di Verga fosse la prima attestazione in italiano di ciao. Già alla metà dell’Ottocento aveva sfruttato questo saluto il futuro primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, nelle lettere, in francese, alla moglie (1849) e in quelle, in italiano, ai suoi collaboratori, ai quali pure dava del Lei (così, per esempio, a Massimo d’Azeglio); l’uso verghiano rappresenta però la consacrazione letteraria, da parte di un autore siciliano, di una voce informale di origine settentrionale.
L’etimologia di ciao non è problematica. La base lessicale è il veneziano s-cia(v)o, “schiavo” (reso, nello scritto, con l’apparente italianismo schiavo), saluto servile, secondo un modello che si ritrova anche nel servus in uso alla corte imperiale austriaca; già nell’Ottocento se ne era però definitivamente perso il valore reverenziale, se Giuseppe Boerio, nella prima edizione del suo Dizionario del dialetto veneziano (Andrea Santini e Figlio, Venezia 1829), lo qualificava come «[m]odo di salutare altrui con molta confidenza». Sia nella forma con s- iniziale che in quella attuale è ampiamente diffuso nei vocabolari dialettali settentrionali della prima metà dell’Ottocento; circolava però fuori dal Veneto almeno nel primo Settecento, come ha dimostrato De Blasi (2009, p. 18), che ha rintracciato la forma sciavo in un’opera buffa in napoletano di Niccolò Corvo (Patro’ Calienno de la Costa, 1709): «Sciavo, sio caporale, va’ connìo, / e Ciommo restarrà / con nno parmo de naso!».
Ciao, dopo la prima attestazione verghiana, verrà utilizzato nello scorcio dell’Ottocento ancora da Verga nella novella Vagabondaggio, da Pirandello nel romanzo L’esclusa, da Carducci in una lettera a un corrispondente veneziano (oltre che da scrittori settentrionali come Fogazzaro, Faldella, De Marchi, Cagna, Oriani). La presenza in letteratura non è, però, che un anticipo della diffusione panitaliana della forma come saluto confidenziale, sia d’incontro sia di commiato, implicante un rapporto caratterizzato dall’allocutivo tu: sono numerose le testimonianze che indicano nel primo dopoguerra il periodo di diffusione della voce nell’uso comune dell’Italia centrale e, poi, meridionale.
Del secondo dopoguerra è l’ulteriore balzo nella diffusione di ciao, che conosce oggi una amplissima diffusione internazionale, dimostrata anche da milioni di pagine che in internet contengono la vecchia voce veneziana: contro i circa otto milioni provenienti dall’Italia ve ne sono circa trentadue negli Stati Uniti, due in Germania, poco meno nella Federazione russa e via dicendo (un buon contributo a questa grande presenza nel mondo lo danno le citazioni della canzone popolare, poi canzone partigiana, Bella ciao).
La storia della diffusione di ciao è, dunque, un bell’esempio delle forze vitali che animano la cultura linguistica, ma non solo, italiana: dalla base regionale, importante linfa per l’arricchimento della nostra lingua, all’imprescindibile estensione nazionale, all’espansione internazionale, che arride ancora alle parole italiane più espressive. Oggi la fortuna di questa parola è solo debolmente insidiata, soprattutto nella scrittura digitata, dal riemergere dell’antico salve, saluto esclusivamente d’incontro che può essere utilizzato sia nei rapporti reverenziali (in connessione con il Lei) sia in quelli confidenziali (in unione al tu).
Da:
– De Blasi, Nicola, Indizi per la storia di “ciao”, in: Id., Parole nella storia quotidiana. Studi e note lessicali, Liguori, Napoli, pp. 13-23.