A Milano, lo scorso 3 marzo, per la presentazione del rapporto “La criminalità organizzata in Europa: ricerca e politiche” del gruppo di ricerca TransCrime all’Università Cattolica, il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti ha dettato l’agenda per il contrasto alla criminalità organizzata a livello europeo. «L’incidenza dei capitali mafiosi nell’economia legale», ha esordito Roberti parlando al pubblico (tra cui anche il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati), «è crescente e il problema è aggravato dalla piaga della corruzione». Una piaga che non vale 60 miliardi come riportato in questi anni, ma «che sicuramente esiste e rappresenta un problema che causa forti squilibri all’interno della stessa Ue».
Ingresso dei capitali mafiosi nell’economia legale, corruzione e i costi che il crimine organizzato fa gravare sulle tasche dei cittadini. Su questi temi è ruotato l’intervento del procuratore nazionale antimafia, inquadrando il tutto in un’ottica internazionale. Cosa fare dunque per contrastare in modo efficiente la criminalità organizzata in Europa? Per Roberti occorre «concentrarsi sulla cooperazione internazionale tra i reparti investigativi e giudiziari armonizzando gli ordinamenti dei vari Paesi dell’Unione. Senza armonizzazione non si avrà mai un contrasto accettabile alla criminalità organizzata a livello comunitario». In seconda battuta, «sarebbe ora di istituire la figura del procuratore europeo, ancora in fase di costituzione, ma già presente come figura all’interno del Trattato di Lisbona (2007) e, in particolare per quanto riguarda l’Italia avere una giustizia penale più credibile e una civile più efficiente».
A questo punto c’è stato anche spazio per un breve apprezzamento alla lettera di Matteo Renzi dello scorso 2 marzo pubblicata su La Repubblica (prima della lettera erano stati ben pochi i cenni “ufficiali” di Renzi al nodo riguardante il contrasto alla criminalità organizzata), in particolare nel passaggio dedicato alla gestione delle aziende confiscate alla criminalità che andrebbero gestite da manager formati e competenti. «Certo», chiosa Roberti sul punto, «poi occorre passare dalle parole ai fatti, e sui beni confiscati abbiamo l’esempio della direttiva europea che al momento di concretizzare il passaggio da risoluzione a direttiva ha lasciato delusi molti addetti ai lavori. Allo stesso modo andrebbe introdotto a livello europeo un reato come l’intestazione fittizia di beni». Nel resto d’Europa infatti non è prevista nessuna incriminazione per i prestanome. Allo stesso modo, ha osservato Roberti «gli investimenti delle organizzazioni criminali italiane si spostano all’estero dove minore è la pressione investigativa, e dove ordinamenti e sistemi di contrasto sono più deboli. Le strategie criminali cercano di sfruttare il differenziale di normativa tra Stato e Stato». Si pensi per esempio che il riconoscimento del reato di associazione mafiosa e le misure di prevenzione per i sequestri esistono solo in Italia e non in altri Paesi europei.
A questo punto arriva forse la presa di posizione più forte con un chiaro segnale a quello stesso Matteo Renzi elogiato poco prima: «Oltre a un’imprenditoria più sana, sarà utile sfruttare il semestre di presidenza europeo dell’Italia per fare la guerra ai paradisi fiscali e al segreto bancario. Due grandi ostacoli alle indagini che si compiono sotto il profilo economico». Un punto in agenda scritto dal procuratore nazionale antimafia e spedito da Milano a Roma che, nelle mire dello stesso Roberti, dovrà approdare al consiglio europeo dal primo luglio 2014, data di inizio della presidenza italiana al Consiglio europeo. «Occorre dimostrare», ha concluso Roberti a margine dell’intervento, «la capacità di cooperare a livello comunitario nel contrasto alla criminalità organizzata, altrimenti sarà difficile pensare una cooperazione europea su altri temi».