Cosa si nasconde dietro le emozioni?

Cosa si nasconde dietro le emozioni?

«Ricordo che tutto cominciò una domenica pomeriggio d’inizio aprile[…]. Aveva temporaneamente smesso di piovere e, a un certo punto, mentre mi voltavo per vedere se i miei amici stavano arrivando, i miei occhi si posarono su qualcosa che non avrei facilmente dimenticato. Dall’altra parte della strada, con una gamba appoggiata contro il muro e un braccio intorno a una grossa custodia per violoncello, c’era un ragazzo alto e attraente. Sembrava che anche lui stesse aspettando qualcuno. I nostri sguardi si incrociarono e la mia percezione di quello che ci circondava si offuscò. Mi sentii rapidamente assorbito da un’altra realtà: se accanto a me fosse crollato un edificio, non me ne sarei accorto […]. L’amore è, soprattutto, follia. Nei suoi infuocati stadi iniziali entriamo in uno spazio in cui timori, desideri e modo di intendere la vita si modificano. Le priorità cambiano. L’estasi che si impossessa di noi è così forte che, oltre a innamorarci di un individuo particolare, tendiamo a sentirci in armonia con il mondo intero. Diventiamo ottimisti e trascuriamo cose che solitamente ci infastidiscono […]. La domanda è: l’amore può essere studiato in laboratorio e racchiuso in una provetta?». Da Perchè proviamo ciò che Proviamo, Giovanni Frazzetto, Rizzoli, 2013.

Amore e ansia sono le due emozioni a cui Giovanni Frazzetto si sente più legato. La prima perché è una delle emozioni più travolgenti e sconosciute, la seconda perché è quella che ha studiato di più in laboratorio. Giovanni racconta che desiderava mettere piede in un laboratorio da quando aveva 16 anni. Spinto da questa passione vola dalla Sicilia a Londra, e durante il dottorato inizia a lavorare in un laboratorio di neuroscienze. Nonostante studiasse il cervello però, non sempre aveva una risposta per chi gli chiedeva come gestire il proprio carattere o le paure, e per spiegare perché reagiamo in certi modi di fronte a certe situazioni. Forse perché “la scienza non era la strada che portava alla conoscenza di sé” come diceva Socrate. Durante gli anni del dottorato questo dubbio trova conferma in un saggio di Max Weber La scienza come professione, e la domanda su come il sapere scientifico avrebbe potuto aiutarlo a comprendere la vita continua a tormentarlo: Possibile che tutte le informazioni di cui oggi disponiamo sul cervello, grazie ai numerosi studi scientifici e le nuove tecniche di imaging, non siano in grado di spiegarci cosa proviamo?

La risposta a questa domanda Giovanni Frazzetto prova a darla in un libro, Perché proviamo ciò che proviamo, edito da Rizzoli. Rabbia, senso di colpa, ansia, dolore, empatia, gioia e amore, per ognuna di queste emozioni l’autore racconta una e più storie, spiega cosa ci dice la scienza e cosa la letteratura, l’arte, il teatro, la filosofia e la psicoanalisi. «È un libro che riassume gli studi fatti negli ultimi anni di lavoro – racconta Giovanni dal suo studio di Berlino, dove ormai vive a lavora da quattro anni – e il desiderio di dimostrare come sia possibile essere scientifici e anche artistici quando parliamo di noi stessi e delle nostre emozioni».

La stesura del libro è durata un anno e mezzo, durante il quale Giovanni spiega di non aver avuto modo di fare nient’altro. Neanche lavorare in laboratorio, che a dire il vero, aveva già abbandonato da tempo e senza neanche troppa sofferenza. «Ora mi occupo di studi sociali e culturali della scienza, all’Institute for Advanced Study, non lavoro più in laboratorio e non mi pesa per nulla queste distanza. Durante il post doc mi era concesso di lavorare in laboratorio e allo stesso tempo focalizzarmi su un tipo di analisi più ampio. Poi dopo un’esperienza presso il dipartimento di sociologia della scienza, che mi ha davvero aperto la mente, mi sono trasferito a Berlino per scrivere di quello che avevo imparato. Come si capisce anche dal libro, in seguito ai miei studi ho reagito con una visione un po’ critica della biologia e delle neuroscienze. Questo non cancella il mio amore e la passione per la scienza, però credo che le questioni che mi pongo adesso richiedano una visione più ampia».

Ogni capitolo è dedicato a un’emozione. Per raccontarle l’autore intreccia diverse storie personali e coinvolgenti, a esperimenti scientifici, citazioni letterarie, opere d’arte. Il risultato è un insieme armonioso e leggero che scorre veloce e fornisce al lettore una visione a 360° su quanto oggi si sa a proposito di quell’emozione. Con buona probabilità di riconoscersi in molte delle avventure che racconta Giovanni e di chiedersi se magari conoscere noi stessi possa servirci anche a gestire certe situazioni nel quotidiano. «Scrivere questo libro è stato molto utile anche per me, ora capisco meglio sia le mie emozioni sia quelle degli altri – spiega Giovanni – la deformazione professionale è una cosa inevitabile, se tu fai un mestiere vedi il mondo attraverso quel mestiere. Ed è davvero così: quando mi trovo in certe situazioni emerge tutto ciò che so di quell’emozione. Quello che mi sento di dire a proposito è che gestire le emozioni, cambiare il nostro comportamento è possibile, ma è un percorso che richiede tempo».

Quando mi concede l’intervista Giovanni è appena tornato da New York, dove è stato per sponsorizzare la versione americana del libro. Racconta che all’estero, soprattutto in Inghilterra e Germania, è stato accolto molto bene dalla critica e recensito su molti giornali importanti, di taglio anche diverso fra loro. Appena finito il lancio del libro però tornerà ai suoi studi: «Sto già pensando al secondo libro di scienza e sto scrivendo in parallelo, un romanzo che sarà impermeato di quanto ho imparato con questa esperienza»..

«Scrivere questo libro mi è piaciuto tantissimo – conclude Giovanni – una delle cose più belle che mi è rimasta è la delicatezza delle emozioni, il fatto che sono qualcosa di totalmente fisico, ma anche totalmente impercettibile. Questa delicatezza e il fatto che a volte vorremmo cambiare gli schemi emotivi, che si innescano vivendo in base alle nostre esperienze, è un pensiero che mi assilla sempre. Perché so come funziona, so la profondità di questo processo, ed è molto interessante». 

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