Criminalità 2.0, ora la droga si compra su Facebook

La criminalità fa affari su Internet

Gli schermi di computer e smartphone sono come scudi. Offrono protezione e danno libertà di muoversi senza freni, senza timori. Tutelano i più timidi, ma anche i più forti. Tanto da aver avvantaggiato le organizzazioni criminali di tutto il mondo. Grazie ai bit, alle chat, ai social, le mafie hanno guadagnato terreno. Internet non solo ha fatto crescere il mercato del narcotraffico, regalando discrezione agli utilizzatori che comprano la droga in Rete e non per strada, ma ha anche migliorato le comunicazioni tra i clan. È così che la criminalità si è trasformata in Enne, simbolo dell’azoto, come il titolo dell’ultimo romanzo inchiesta del giornalista calabrese Biagio Simonetta (Rizzoli). La malavità è diventata come un gas incolore, insapore, diffusa in ogni angolo, eppure invisibile.

Dimenticate quindi gli spacciatori sul ciglio delle strade. Il pusher 2.0 non lo riconosci più. Usa la messaggistica di Facebook, oppure quella di WhatsApp. Ha un contatto diretto con il compratore, col quale stabilisce ora, luogo e quantità digitando poche parole su uno schermo. Spesso la droga è addirittura consegnata a domicilio. E anche il consumatore non è più lo stesso, non è più l’eroinomane che si bucava lungo una strada sperduta della provincia italiana.

Oggi servono discrezione e normalità, scrive Simonetta. Ai cocainomani non piace esporsi, riversarsi per strada in cerca di roba. Davanti allo schermo di un computer, o nello sfiorare uno smartphone, l’esposizione non esiste. Un cocainomane non lo individui facilmente. Magari fa l’infermiere, l’autotrasportatore, il barista, conduce una vita normalissima. Una piazza di spaccio uguale a quella di vent’anni fa, in effetti, non avrebbe mai potuto soddisfare la domanda di clienti con abitudini così diverse. L’infermiere o il barista non andrebbero mai a comprare una striscia di coca dal pusher ai giardinetti pubblici.

Oggi, invece, una riga di coca puoi pagarla con una ricarica su Postepay o con un accredito di Bitcoin. È come acquistare un libro su Amazon o su Ebay. Puoi ordinare cristalli di metanfetamina che si trovano in Texas e riceverli a Pavia senza troppi problemi. Il sito più famoso per comprare droghe di ogni tipo si chiama Silk Road. Nell’ottobre 2013, il numero uno Dread Pirate Roberts è stato arrestato e il sito è stato chiuso, per poi ricomparire online qualche settimana dopo, in barba a ogni esperto di cybercrime dell’FBI. Sembra un normale sito di ecommerce, ma commercia droga, arriva a fatturati mensili a sei zeri, e si può usare soltanto passando da una piattaforma software che garantisce l’anonimato, Tor (The Onion Router). Tor ti rende invisibile, ti rende Enne appunto. Anche in Italia sono comparsi portali simili, come Cipolla 2.0. “Il tuo rifugio anonimo preferito”, dice lo slogan.

Ma il canale virtuale preferenziale per i tossici resta Facebook, lo strumento più usato per lo spaccio della droga. La messaggistica privata è luogo ideale di incontro tra spacciatore e utilizzatore. È qui che si concordano prezzo e luogo di scambio. È quello che fanno i babyboss delle bande di ragazzi di tutta Italia, da Milano a Reggio Calabria. 

Il cyberspaccio ha così aperto le braccia a nuovi potenziali fruitori. Ma anche a nuovi potenziali spacciatori. L’interesse di ’ndrangheta, camorra e cosa nostra si ferma al livello della grande distribuzione, mentre lo spaccio spicciolo si affida ai cosiddetti “cani sciolti”. Trasformando i pusher in persone normali, anche il compratore si sentirà a suo agio. «Oggi chiunque è un potenziale spacciatore di cocaina. Spaccia cocaina chi ne è dipendente, e vendendone qualche dose riesce a permettersi due piste. Spaccia l’ambulante che deve arrotondare, lo studente fuori corso che deve pagarsi l’università, l’operaio ossessionato dal mutuo». Personaggi al di fuori delle organizzazioni criminali, ma che con la loro attività contribuiscono ogni giorno ad alimentare il fatturato delle mafie.

In Calabria, ad Africo, Platì e Limbadi, si monetizza senza sosta grazie alla cocaina. Eppure lo studente milanese che tira di coca neanche lo sa dov’è Limbadi. Scrive Simonetta: «I bulletti di Gratosoglio, a Milano, che a sedici anni credono di comandare il mondo perché sanno vendere una dose di cocaina neanche immaginano la struttura pachidermica grazie alla quale la coca arriva nel loro quartiere. I liceali di Roma che fumano marijuana e in camera hanno il poster di Falcone probabilmente non sanno che anche un grammo di hashish è profitto per le mafie».

Ma la criminalità 2.0 non è fatta solo di droga. È fatta anche di hacker, che si chiamano cracker (dal verbo inglese to crack, scassinare), che si intrufolano nei computer, negli IPhone, negli IPad, «pronti a fregarti la vita, a succhiarti fino all’ultimo goccio di sangue». Sono i Vallanzasca dei nostri giorni che si muovono nelle stanze buie del cosiddetto Deep Web. Su Internet si può rubare di tutto. Denaro, soprattutto, ma anche l’identità. Può succedere mentre inviamo una semplice mail, o scarichiamo un documento, o guardiamo un film in streaming, o compriamo qualcosa online. La ’ndrangheta compra pacchetti di identità rubate per portare avanti i suoi traffici illeciti, e lo stesso fanno le altre organizzazioni. Si fa per ottenere prestiti, compiere reati, o costruirsi proprio una nuova identità appropriandosi dei dati di una persona defunta. Cose che fanno gola ai mafiosi di tutto il mondo, da sempre intenti a passare inosservati. Ora, grazie alla Rete, possono diventare invisibili, proprio come l’azoto.

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