GLI ARRESTI – Sono 40 gli arresti (21 in carcere e 19 ai domiciliari) eseguiti dalla Polizia di Stato in mattinata su mandato dei pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano Paolo d’Amico e Ilda Boccassini. Le accuse per gli arrestati, tra di loro anche alcuni imprenditori che operano in Lombardia e in particolare nelle zone del milanese, sono di riciclaggio, concorso esterno in associazione mafiosa, abusivo del credito, usura, estorsioni, contrabbando e interposizione fittizia di società e di beni immobili.
La Squadra Mobile di Milano, guidata da Alessandro Giuliano, è arrivata sulle tracce di quella che viene definita una “banca autonoma” gestita dagli uomini della ‘ndrangheta in grado di riciclare facilmente denaro che alcuni imprenditori intendevano sottrarre al fisco, prestare soldi a imprese in difficoltà e reinvestire nell’economia legale. Tra gli indagati figurano infatti anche una decina di imprenditori e alcuni dirigenti degli uffici postali della Brianza.
IL FULCRO DELL’INCHIESTA – Uomo centrale dell’inchiesta coordinata dalla dda di Milano è Giuseppe Pensabene. Già coinvolto in passato nelle indagini sulla ‘ndrangheta lombarda, in particolare Pensabene avrebbe sempre fatto riferimento alla locale di Desio, prendendone addirittura il controllo dopo gli arresti della maxi-operazione “Crimine-Infinito” del 2010. Una posizione di “facilitatore” la sua e protagonista anche di una sentenza storica della Cassazione: sono gli omessi controlli da parte del gruppo bancario Intesa-Sanpaolo su una società riconducibile allo stesso Pensabene (fallita nel crack di una nota concessionaria milanese, la Vecam, nel 2006) che fanno scattare nel marzo 2013 la condanna per “difetto di buona fede” nei confronti del gruppo bancario. È la prima volta di una condanna definitiva per quel reato.
La Cassazione condannò la banca per aver finanziato Pensabene già condannato per detenzione illegale di armi e in contatti con i clan della ’ndrangheta a Seregno. L’istituto di credito in applicazione del dispositivo della Suprema Corte, che ha reso definitiva la sentenza del tribunale di Milano, sezione misure di prevenzione di stampo mafioso, ha visto la cancellazione dell’ipoteca iscritta sull’immobile a fronte del prestito da 450mila euro concesso dall’istituto alla moglie di Giuseppe Pensabene. Intesa ha infatti dovuto dire addio a un capannone di 600mila euro. Secondo i giudici, infatti, la banca non ha controllato adeguatamente la «scarsa capacità reddituale» della donna, «nonostante i dati allarmanti dei quali disponeva nella propria istruttoria». Al momento dell’accensione del mutuo, a rincarare la dose, la donna aveva ancora alcune ipoteche accese a favore di Equitalia, oltre ad aver da poco risarcito la stessa Intesa Sanpaolo per un decreto ingiuntivo «con l’imputazione a perdere per 33.565mila euro, circostanza che avrebbe dovuto invitare la banca a una maggiore prudenza». Con la sentenza divenne definitivo anche il sequestro di due Ferrari, una California e una F430, appartenenti alla Figestim, una società di leasing che per la prima volta non ha più potuto rivalersi delle auto date in prestito. Allo stesso modo finirono definitivamente sotto sequesto un bar in piazza Cordusio, a Milano, una barca da 5 milioni di euro e una ventina di appartamenti nell’hinterland meneghino.
Tramite usura e il riciclaggio di flussi di denaro di provenienza delittuosa, l’organizzazione, oltre a esportare capitali in Svizzera e a San Marino, li ha reimpiegati acquisendo il controllo di attività economiche, in particolare nel settore edilizio, dei trasporti, della nautica, delle energie rinnovabili, del commercio, della ristorazione, e degli appalti e lavori pubblici.
IL SISTEMA – In piccolo, come ricorda Pietro Colaprico su La Repubblica, è stato utilizzato il sistema della frode sulla compravendita dei diritti televisivi che ha portate alla condanna di Silvio Berlusconi: gli imprenditori coinvolti emettevano assegni alle società di Pensabene, titolare di questa presunta “banca clandestina”, in cambio di una percentuale del 5 per cento, avendo indietro denaro contante. Il tutto figurava come una spesa, creata di fatto ad hoc per frodare il fisco.
Il Giudice per le Indagini preliminari Simone Luerti, che ha vagliato le indagini degli inquirenti ha parlato di “nuova mafia”. Una nuova mafia in cui l’intimidazione e l’omicidio sono soluzioni estreme, ultime e considerate dannose. E Pensabene infatti, nella sua veste di “facilitatore” del credito è anche paciere tra le tensioni dei clan attivi in Brianza.
LE POSTE, GLI INCONTRI E LA SPAL – Sotto la lente degli investigatori stanno finendo anche alcuni dirigenti degli uffici postali brianzole, che, secondo le carte dell’inchiesta, avrebbero consegnato, in deroga a qualunque regolamento e normativa, denaro contante fino a centomila euro per volta agli imprenditori, agli usurai e ai “banchieri clandestini”. Soldi freschi, denunce zero. Gli imprenditori infatti, una volta entrati nel giro di Pensabene, non solo usufruivano dei servizi illegali, ma alcuni di essi si sarebbero messi a pieno servizio del clan, permettendo a loro volta i contatti tra la “banca autonoma” (localizzata a Seveso) del Pensabene e altri imprenditori in difficoltà. Al momento due dirigenti delle poste si trovano ai domicilliari.
Gli incontri tra imprenditori e usurai avvenivano in bar di Bovisio Masciago, oppure in un ufficio a Seveso. Un locale, quello di Seveso, che gli intercettati nel corso dell’indagine definivano “Il Tugurio”. Ed è proprio “al tugurio” che un giorno si presenta anche Giambortolo Pozzi, ex direttore generale della storica squadra calcistica della Spal. Chiederà soldi e le microspie intercettano un dialogo in cui discute di 100mila euro già concessi. Correva l’anno 2011, dopo qualche mese la Spal verrà ceduta e a contendersela per un periodo c’era anche una “cordata milanese” con interessi nel fotovoltaico e nell’immobiliare. Alla fine la società emiliana finirà alla famiglia Colombarini, signori della Vetroresina.