La Fed alla ricerca della nuova normalità monetaria

L'exit strategy dalla grande liquidità

La politica monetaria detta “non ortodossa” è composta da quella “ortodossa” – i tassi di interesse che la banca centrale pratica alle banche di credito ordinario – e da quella “non ortodossa” – gli acquisti di obbligazioni pubbliche e private. In modi e in misura diversa è quel che fanno da tempo le banche centrali degli Stati Uniti, dell’Euro area, della Gran Bretagna e del Giappone. Per ora discutiamo solo la parte statunitense, ma le vicende britanniche e giapponesi non sono, a differenza di quelle dell’Euro area, diverse. Le politiche “non ortodosse” non possono però durare all’infinito, e perciò, prima o poi, termineranno. Se, infatti, durassero all’infinito, avremmo i prezzi delle obbligazioni sia pubbliche sia private, nonché, come vedremo, delle azioni, che si formano sotto l’influenza della mano pubblica. Una sorta di “socialismo dei mercati finanziari”… Ci chiediamo che cosa possa accadere con la loro fine. Prima però è necessario riprendere (1) un lungo ragionamento che inquadra la vicenda.

Premessa

Da tempo la banca centrale statunitense – la Federal Reserve – comprava ogni mese circa 45 miliardi di dollari di obbligazioni private e circa 40 miliardi di dollari di obbligazioni del Tesoro. Il nome di questa politica è “Quantitative Easing”. Il nome della stessa politica che, sebbene continui ad acquistare copiosamente le obbligazioni, lo fa a un passo minore, ha il nome di “Tapering”. La Federal Reserve da dicembre ha deciso di ridurre gli acquisti mensili di obbligazioni per circa 10 miliardi. Qual è la logica di questa politica e quali possono essere gli effetti?

La logica

Le banche di credito ordinario accendono i mutui ipotecari per finanziare l’acquisto di abitazioni e poi li vendono a chi li impacchetta in forma di obbligazioni. Queste obbligazioni con in pancia i mutui sono poi vendute agli investitori finali. Perciò le banche si liberano di una parte del proprio attivo – i mutui – e quindi possono erogare un maggior credito alle imprese. Per questa ragione l’acquisto di obbligazioni con in pancia i mutui ipotecari da parte della banca centrale è un’attività importante. La banca centrale, comprando queste obbligazioni ne alza il prezzo (scendono i rendimenti e quindi retroattivamente il costo dei nuovi mutui e di quelli che vanno rinnovati), e, in ogni modo, rende il loro mercato liquido (ossia aiuta la discesa dei rendimenti, perché scende il premio per il rischio che si chiederebbe per un’attività che può diventare meno liquida). L’acquisto di obbligazioni con in pancia i mutui è un canale di trasmissione della politica monetaria nella direzione dell’economia reale, perché la banca centrale, tenendo bassi i rendimenti schiaccia il costo dei mutui (e perciò aiuta le famiglie), mentre libera una parte non modesta del bilancio delle banche (e perciò aiuta le imprese).

Con la crisi economica il bilancio pubblico incassa meno imposte, mentre le sue spese salgono in modo automatico per effetto dei sussidi di disoccupazione. Le maggiori spese e le minori entrate generano un maggior deficit, che è finanziato con l’emissione di nuove obbligazioni. Per far spazio nei portafogli dei privati al maggior debito, il prezzo delle obbligazioni deve scendere (i rendimenti devono salire). Ecco allora che la banca centrale interviene comprando il debito. Non può agire sul deficit che genera debito, mentre può comprimere il costo del debito. Tenendo i rendimenti del debito pubblico più bassi di quanto altrimenti sarebbero, la banca centrale rende la politica fiscale meno onerosa nel periodo della crisi. Ossia, ne nasconde “il costo politico”.

Gli acquisti di obbligazioni private e del Tesoro non può però durare all’infinito, perché, in tal caso, avremmo una banca centrale che diventa, alla lunga, la proprietaria di tutto il reddito fisso. Il compito normale della banca centrale è, infatti, quello di modulare i tassi di interesse per aiutare la crescita senza avere un’inflazione elevata, non quello di agire come un fondo pensione per di più senza “vincoli di bilancio”. La banca centrale non ha, infatti, vincoli di bilancio, perché può creare moneta “a volontà” – il famigerato “signoraggio”. Perciò la politica di acquisti di obbligazioni prima o poi deve terminare, altrimenti si finirebbe per vivere in un mondo artificiale in cui i prezzi dell’attività finanziaria principale – le obbligazioni – non sono determinati dal mercato, ma da un’autorità centrale onnipotente e indipendente. Le obbligazioni sono l’attività finanziaria più importante, perché definiscono contemporaneamente sia un reddito sostanzialmente “sicuro” sia il “fattore di sconto” degli altri redditi. Per esempio, il prezzo di un’azione è determinato dal flusso di profitti scontato per il rendimento dei titoli del Tesoro.

Gli effetti sugli Emergenti e sulla Borsa

La politica del Quantitative Easing ha una sua logica – perché aiuta a uscire dalla crisi – ed ha un suo limite – la sua “barriera assorbente” -, perché non può durare all’infinito. Riducendosi – grazie al Quantitative Easing – i rendimenti sulle obbligazioni statunitensi, ecco che i capitali vanno alla ricerca di attività più redditizie.

Si hanno allora gli acquisti di titoli dei Paesi emergenti. Sono venduti i dollari per comprare le valute emergenti e sono comprate le obbligazioni emergenti. Si ha che salgono le valute così come si ha che salgono i prezzi delle obbligazioni. Vale il contrario, quando i rendimenti delle obbligazioni statunitensi salgono. Per questa ragione, lo scorso anno, ai tempi del primo annuncio del tapering, le valute e le obbligazioni dei Paesi emergenti sono cadute. Lo stesso ragionamento, salvo l’effetto valutario, vale per le obbligazioni private statunitensi di minor qualità, come i “Junk Bond”. Man mano che i rendimenti dei titoli del Tesoro si avvicinano ai rendimenti delle attività rischiose, queste devono offrire dei rendimenti maggiori per essere comprate. Più precisamente, i titoli del Tesoro statunitense hanno un rischio tasso – i prezzi possono salire oppure scendere a seconda della dinamica dei tassi – ma non hanno un rischio emittente – il Tesoro è, infatti, solvente. Gli altri titoli – quelli dei Paesi emergenti e quelli delle imprese – hanno un rischio tasso, ma hanno un rischio emittente – possono, infatti, non poter ripagare il debito.

L’altro effetto è sulla Borsa. Con rendimenti obbligazionari bassi e liquidità abbondante – la liquidità dei privati che non viene impiegata per acquistare tutte le obbligazioni private e sovrane offerte, perché la banca centrale in parte le compra -, ecco che si ha una crescita degli investimenti azionari. La borsa degli Stati Uniti è cresciuta – da quando c’è il Quantitative Easing – molto più di quanto siano cresciuti gli utili – ossia è cresciuto il rapporto prezzo utili, o la capitalizzazione rispetto al flusso di utili. Per essere più precisi – volendo spiegare l’ascesa dei corsi azionari maggiore della crescita degli utili – dobbiamo introdurre tre attori. La liquidità che si sposta in Borsa (3), gli acquisti di azioni da parte delle imprese (4), gli acquisti fatti a credito (5).

Se la banca centrale compra i titoli che altrimenti sarebbero offerti ai privati, ecco che si “libera” della liquidità. In modo più articolato: i privati possono comprare ancora obbligazioni a dei prezzi maggiori, ma questo comportamento schiaccia i rendimenti fino al punto che in futuro non potranno che risalire. Dovrebbe quindi scattare la famigerata “preferenza per la liquidità”, ossia il timore di perdite future in conto capitale (se i rendimenti salgono, allora il prezzo delle obbligazioni emesse scende, perché la cedola è fissa) che fa preferire il contante ai titoli. Se la “trappola” non scatta ancora, allora vuol dire che i privati pensano che l’economia crescerà poco con poca inflazione, e dunque che i rendimenti sono tutto sommato accettabili, e comprano obbligazioni, ma anche azioni. Quel che è accaduto è che c’è stato uno spostamento della liquidità verso le azioni. Ma non stato così marcato.

Sono aumentati, invece, e anche molto, gli acquisti da parte delle imprese delle azioni proprie. In questo modo – comprando prima ed eliminando poi le azioni – si riduce il loro numero. A quel punto, a parità di utili totali, sale l’utile per azione. Anche se il moltiplicatore degli utili – il famigerato Price to Earning Ratio – è lo stesso (figurarsi se sale), sale il prezzo delle azioni. Gli azionisti sono contenti e i dirigenti – attraverso i bonus e le opzioni – pure. Questo meccanismo piace al punto che si riducono gli investimenti fissi rispetto al cash flow (ammortamenti più utili) e si comprano più azioni rispetto al cash flow. In breve, sta salendo la propensione all’investimento “finanziario” rispetto a quello “reale”.

Il mercato azionario statunitense – sulla scia delle liquidità e degli acquisti di azioni proprie che hanno spinto in alto i prezzi – è salito anche grazie agli acquisti di azioni fatti a credito (il cosiddetto “margin debt”). Siamo ai livelli massimi del margin debt sia in rapporto al 2000 sia in rapporto al 2007. Questo significa che, nel caso in cui le azioni iniziassero a scendere, avremmo una forte corrente di vendite da parte di chi non vuole ripristinare i “margini di copertura” del credito. Ciò che porterebbe ad un ulteriore caduta dei corsi. In questo caso, scatterebbero le famigerate “vendite allo scoperto” (ossia, si prendono a prestito i titoli, li si vende e si conta di ricomprarli a un prezzo minore, così li si rende lucrando la differenza fra il prezzo del prestito e quello dell’acquisto), che forzerebbero ulteriormente la caduta.

Conclusioni

Il Quantitative Easing ha finora aiutato l’economia statunitense finita in crisi, ciò che è avvenuto 1) comprando e quindi schiacciando i rendimenti delle obbligazioni private (un comportamento che ha aiutato le famiglie e le banche e quindi le imprese); 2) comprando e schiacciando i rendimenti delle obbligazioni pubbliche (un comportamento che ha aiutato a schiacciare i costi delle politiche fiscali espansive); 3) ha spinto la liquidità dei privati (che non era più necessaria per comprare tutta l’offerta) dalle obbligazioni verso il mercato azionario (e qui ha contribuito anche il comportamento delle imprese che hanno comprato le proprie azioni e quello degli acquisti a credito).

Insomma, l’economia si è salvata, con i mercati finanziari che sono saliti. Ma sono saliti perché l’economia è stata salvata, oppure perché sono stati “storditi” dalla liquidità della banca centrale?

Immaginiamo ora la fine del Quantitative Easing. Dovremmo girare la su esposta sequenza al contrario? 1) i prezzi delle obbligazioni emesse – sia private sia pubbliche – che scendono, ossia i loro rendimenti che salgono, perché altrimenti i privati non le comprano; 2) i prezzi delle azioni, che non ricevono più l’abbondante liquidità dai privati, perché questi ultimi debbono comprare tutta l’offerta di obbligazioni, che scendono, considerando anche quanto sono care e la presenza degli acquisti a credito e dei venditori allo scoperto.

E’ questo il film? Se questo fosse la sequenza del film, allora le politiche monetarie “non ortodosse” non finiranno presto. Nell’attesa, si consenta una nota provinciale: poiché i mercati dei Paesi emergenti sono poco attraenti, e il mercato delle obbligazioni statunitensi anche, allora gli investitori nel campo del reddito fisso possono persino scegliere l’Europa per la ricerca di rendimenti maggiori. In particolare, possono preferire le obbligazioni dei Paesi del Mediterraneo, e persino i cattivi crediti cumulati dalle banche europee, una volta che essi siano “cartolarizzati” (6).

(1) http://www.linkiesta.it/fed-tapering-logica-effetti

(2) http://stawealth.com/images/stories/1dailyxchange/S&P-500-PE-Reversions-101413-2.PNG

(3) http://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/3721-grandi-mutamenti-che-non-si-palesano.html

(4) http://blogs.ft.com/andrew-smithers/2014/02/us-equities-more-buyers-than-sellers/

(5) http://advisorperspectives.com/dshort/updates/NYSE-Margin-Debt-and-the-SPX.php

(6) http://www.scmsim.it/sito/2014/03/se-vera-e-una-buona-notizia/#more-10091