Vecchia e poco qualificata, la foto della Pa italiana

Riforma del settore pubblico

Una delle principali novità della riforma della pubblica amministrazione sarà, pare, l’“uscita” dagli uffici pubblici di un certo numero di lavoratori. La ministra Marianna Madia non ha voluto parlare né di cifre – nel piano Cottarelli si parla di 85mila persone da tagliare – né di «esuberi». Sono, ha detto, «un numero e una terminologia assolutamente sbagliati e distorti anche rispetto al piano Cottarelli»«L’idea sarà quella di provare ad avere delle uscite anche con dei prepensionamenti, ma tutto questo per reimmettere energie nella pubblica amministrazione, quindi per aiutare i giovani a entrarvi».

Dal momento che anche la riforma del settore pubblico sembra ora imperniata sulla questione dell’età, siamo andati a vedere quanti anni hanno i nostri dipendenti pubblici e se il ricorso alla pensione anticipata possa effettivamente essere uno strumento utile per far spazio ai più giovani e migliorare servizi ed efficienza. 

Quello che viene fuori dai dati Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni) è che i nostri impiegati sono i più vecchi dei Paesi Ocse. In Italia poco meno della metà dei dipendenti pubblici dell’amministrazione centrale ha un’età pari o superiore a 50 anni, mentre in Francia e Gran Bretagna, ad esempio, la stessa quota si ferma al 30 per cento. Ma gli impiegati del settore pubblico non sono anche i più numerosi, come spesso si dice. Nel nostro Paese ci sono 58 impiegati ogni mille abitanti, circa 3,4 milioni di lavoratori, cioè il 14,8% sul totale degli occupati. In Spagna ce sono 65 ogni mille abitanti, in Francia 94, nel Regno Unito 92, in Svezia 135. Solo la Germania conta meno funzionari pubblici di noi, con 54 lavoratori pubblici ogni mille abitanti

I lavoratori della pubblica amministrazione non sono né troppi né costano troppo rispetto ad altri Paesi (la spesa per il pubblico impiego in Italia equivale all’11% del Pil, meno del 13,4% francese). Sono solo troppo avanti con l’età, mal distribuiti e non molto qualificati. E in questo hanno influito le politiche di blocco del turn over degli ultimi anni, che certo non hanno fatto largo ai giovani. Secondo quanto riporta la ricerca svolta da “Forum PA” (I dipendenti pubblici in Italia sono troppi?) sul pubblico impiego, mentre in Francia gli impiegati pubblici sotto i 35 anni sono il 28%, e nel Regno Unito il 25%, nel nostro Paese sono solo il 10 per cento. La percentuale di assunti sotto i 25 anni si ferma all’1,3% ed è limitato alla carriera militare, mentre in Francia, ad esempio, sale al 6 per cento e in Gran Bretagna al 5 per cento. Cosa che ha ricadute anche sulle qualifiche: in Italia ha la laurea solo il 34% dei dipendenti pubblici, contro il 54% dei colleghi del Regno Unito. 

Con il blocco del turn over, chiaramente, l’età media dei lavoratori pubblici non ha fatto altro che aumentare, passando dai 43,6 anni del 2001 ai 47,8 del 2011. Età che sale fino a 50 anni se dal calcolo vengono esclusi i settori dei corpi di polizia e delle forze armate, notoriamente più giovani degli altri comparti se non altro per le caratteristiche di prestanza fisica richieste. Al contrario, ministeri, scuola, università, magistratura, prefetture, comuni, province, regioni ed enti di ricerca hanno dipendenti con un’età media vicina o superiore ai 50 anni. Le classi d’età con maggiore densità sono, non a caso, quelle tra 50 e 54 anni e tra 55 e 59 anni.

I più vecchi i ministeri. Nei palazzi del governo, circa il 10% dei dipendenti pubblici ha più di 60 anni. Una situazione simile si trova anche nelle scuole e negli enti locali, dove l’8 e il 6,7% dei dipendenti è over 60. Ed è su questi lavoratori che potrebbe quindi agire lo strumento del prepensionamento, visto che nel settore pubblico per accedere alla pensione anticipata sono necessari un minimo di 63 anni d’età e 41 anni di anzianità lavorativa (qui tutti i requisiti).

La spending review annunciata dalla ministra Madia, come si sa, è solo l’ultima delle mannaie scagliate sul settore del lavoro pubblico, che dai “fannulloni” di Brunetta in poi ha fatto un po’ da capro espiatorio per giustificare i malfunzionamenti italiani. Con il blocco della contrattazione e degli aumenti, se prima gli stipendi pubblici crescevano più del privato, a partire dal 2010 sono diminuiti: meno 1,3% di media in due anni. E anche il numero degli occupati è in discesa: meno 2% nel 2012, che si aggiunge al -1,6% registrato nell’anno precedente. Il risultato è una riduzione della spesa complessiva destinata alle retribuzioni pubbliche di quasi il 5 per cento tra il 2011 e il 2012, che però non sembra aver migliorato né la condizione delle casse dello Stato né quella dei lavoratori italiani. Una dimostrazione che tagliare linearmente senza riorganizzare non serve a niente se non a raccogliere un po’ di consenso elettorale. Vedremo se le pensioni anticipate (ammesso che si possa affrontare questa spesa), seguite dall’assunzione di giovani potranno finalmente essere una soluzione.

X