«Uno schifo quello che ho visto». Con queste parole laconiche Barbara Palombelli, da quest’anno alla guida di Forum – storico programma di Mediaset – commenta la rissa che ha recentemente visto coinvolti due dei suoi ospiti. Uno sfogo in diretta dopo che i due, noncuranti delle telecamere, si sono insultati e “menati” sotto lo sguardo incredulo dei presenti in studio. Secondo i più maligni, il caso potrebbe persino costare caro alla (neo)conduttrice; e già si vocifera di un ritorno della ex padrona di casa, Rita Dalla Chiesa. Non è però la prima volta che assistiamo a simili teatrini in televisione: chi segue programmi come Uomini e Donne, Amici, l’Italia sul 2 (e molti altri), sa bene quanto l’interazione col pubblico sia parte integrante dello “show”. Commenti piccanti, sfuriate e, talvolta, veri (?) e propri litigi. Ma cosa spinge giovani e meno giovani ad accantonare il proprio naturale imbarazzo per apparire, seppur di poco, nel magico mondo del piccolo schermo? Certo la passione, la curiosità e, perché no, una sana vanità. Ma per alcuni fare parte del pubblico televisivo è un vero e proprio lavoro.
Vi sarete chiesti come sia possibile che in studio si vedano sempre le stesse persone. Non hanno nient’altro da fare? Come vivono? Probabilmente vi sarete anche già risposti (le pagano!) e, nella maggior parte dei casi, potreste avere ragione. La verità è che nelle produzioni televisive sembra aleggiare un velo di mistero: un mondo di sentito dire e di poca trasparenza. Le redazioni sono restie a rispondere: «Il telespettatore deve pensare che sia tutto vero. Che il programma tv sia genuino e spontaneo, soprattutto gli interventi del pubblico», spiega Andrea Amato, direttore di TvZoom.it. In realtà niente è lasciato al caso e le trasmissioni hanno spesso bisogno di selezionare i volti delle prime file, perché, continua, «una platea di soli pensionati non piace a nessuno».
Non è sempre così, e non per tutti i programmi. Lo racconta Luca, attore con alle spalle un passato ricco di apparizioni televisive retribuite. «Ci sono distinzioni da fare. Le regole cambiano da programma a programma, da produzione a produzione, Rai o Mediaset, da città a città, Roma o Milano. Io, fortunatamente, ero fisso in Rai e venivo pagato a presenza firmando dei contratti giornalieri di collaborazione». Mentre, dalle testimonianze raccolte, gli studi Mediaset di Milano sembrano riempirsi di volontari, in Rai e negli studi romani (dove si registra Forum, ad esempio) la maggior parte delle produzioni sono disposte a pagare. «Prendevamo dai 25 euro per la sola presenza ai 50 euro per intervenire al microfono. Il tutto programmato con almeno un giorno di anticipo, anche le cose da dire».
Chi ha diritto di parola è chiamato “pubblico parlante” e in genere ha un cartellino con il proprio nome e cognome sulla camicia; chi, invece, si limita a stare seduto e alzarsi quando richiesto, è detto “figurante”.
È curioso come, nonostante la più alta retribuzione, fare parte del pubblico parlante non è sempre la soluzione migliore. Luca spiega quali siano le strategie per guadagnare di più: «Come pubblico parlante potevo registrare solo una trasmissione alla volta e mi vietavano (per contratto) di partecipare ad altri programmi a premi della rete, mentre come figurante potevo registrare anche più di un programma al giorno, guadagnando meglio. Certo mi occupava più tempo ed è era più noioso».
«Il pubblico televisivo si divide in più parti e ognuno ha il proprio compito». Andrea Amato spiega da chi è composta la platea: «I clapper, come i figuranti, si limitano a battere le mani per introdurre ospiti, per annunciare la pubblicità o per sottolineare passaggi importanti; gli opinionisti prendono parte al dibattito; i “tappabuchi” sono ragazzi e ragazze di bell’aspetto e vestiti bene che hanno il compito di sedersi nelle prime file quando un ospite famoso lascia libero un posto per raggiungere il palco (è il caso di Sanremo o dei Telegatti)». Chi dimostra di avere particolari familiarità con gli studi può chiedere di diventare “capo-cordata”, ovvero il coordinatore che guida il resto del pubblico da uno studio all’altro ricordando le regole alle quali attenersi.
Si decide di fare parte del pubblico televisivo per diversi motivi. Chi per arrotondare lo stipendio e chi come unico lavoro; chi vuole allargare la propria rete di contatti e chi spera di essere notato da qualche agenzia. E c’è chi, su questo, ha costruito una vera carriera: è il caso noto, ad esempio, di Fabiana Pristerà, ex pubblico parlante di Amici, poi divenuta agente di alcuni ragazzi conosciuti in trasmissione e infine parte stabile della redazione di Spetteguless, rubrica di Striscia la Notizia. Infine, c’è anche chi ne fa una ragione di vita e, pagato o no, ama frequentare gli studi. Come Francesco Cocco: con oltre 28mila presenze, Francesco è entrato nel Guinness dei primati come recordman di ospitate in tv.
“Fare il pubblico” non è sempre semplice. A volte le riprese durano ore senza la possibilità di alzarsi, di andare in bagno o mangiare, in studi dalle temperature equatoriali per colpa delle calde luci di scena. Ovviamente nessuna cicca in bocca e un linguaggio consono. Se alcuni studi romani permettono una certa libertà ed esaltano un certo stile di linguaggio, altrove il pubblico viene addirittura rimproverato se usa inflessioni dialettali o un gergo ritenuto improprio. «Ci correggevano anche la pronuncia».
Riccardo Esposito, appassionato di storia della televisione, racconta come la partecipazione del pubblico sia nata durante il periodo delle emittenti private degli anni Settanta, come Antenna3, e dalla mente di pionieri come Enzo Tortora che, non avendo molti soldi per una regia e una scenografia complessa, conduceva intere trasmissioni dalla platea e non dal palco. «Un’idea rivoluzionaria, che ha portato alla costruzione di studi anche molto grandi per contenere e coinvolgere più gente possibile. Umberto Eco la definiva la “televisione della signora di Piacenza”, una televisione delle persone per le persone». Andare in televisione (non pagato), inoltre, era utile per ottenere crediti formativi per l’università: un altro modo per le redazioni di attirare ragazzi giovani.
Per partecipare alle trasmissioni tv in genere è necessario superare delle selezioni che consistono in un semplice colloquio. Il numero delle persone (pagate e non) che partecipano al programma è differente a seconda dello studio e può essere scelto da agenzie esterne (di solito per i volontari) o dalle redazioni interne (volontari e pubblico pagato). Caratteristiche importanti sono l’aspetto e l’età.
Come è noto, esistono programmi dove le persone pagano per assistere allo spettacolo – Crozza Italia, Zelig, X Factor ecc. -, e altri che sono composti da un pubblico di soli appassionati e curiosi. Oggi, però, anche fare parte del pubblico può diventare, in molti casi, una forma di sostentamento. In tempi di crisi perfino questo può essere un vero e proprio lavoro.