La guerra delle sanzioni continua. Usa e Ue hanno aggiunto nuovi nomi all’elenco di personalità russe cui sarà vietato il rilascio di un visto e i cui beni su territorio Usa e Ue saranno congelati. E anche questa volta, mentre gli Usa osano toccare i vertici di aziende come il colosso energetico Rosnef (l’ad Igor Sechin è uno dei sette nuovi nomi) o la Rostec Corporation produttrice di high-tech di uso civile e militare (colpito il Ceo Sergey Viktorovich Chemezov), l’Europa è più cauta e preferisce piuttosto toccare personalità politiche e militari, come il vice premier Dmitry Nikolayevich Kozak e il vice presidente della Duma – la camera bassa del Parlamento russo – Ludmila Ivanovna Shvetsova, o Valery Vasilevich Gerasimov, capo di stato maggiore delle forze armate russe e punto di riferimento dei separatisti ucraini.
Una differenza non da poco, già emersa al tempo delle sanzioni di metà marzo, le cui ragioni sono tutte di tipo economico, come spiega questa analisi apparsa sul sito della Cnn mettendo in luce la diversità dei legami economici e commerciali tra Stati uniti e Russia da un lato, e Unione europea e Russia dall’altro. Estrapoliamo pochi dati su tutti, per capire come l’Europa è decisamente più interconnessa a Mosca e ragionevolmente più cauta nel colpire i vertici delle aziende russe (per capirci: Igor Sechin, uno dei sanzionati Usa, è Ad della compagnia petrolifera Rosneft, società che ha da poco acquisito circa il 13% di Pirelli). La Russia è il ventesimo partner commerciale degli Usa, e il valore dell’import russo da Washington è di 11 miliardi di dollari. Per l’Ue, invece, la Russia è il terzo partner commerciale e Mosca importa merci europee per un valore di 169 miliardi di dollari.
La mappa della Cnn
Tuttavia, sia Stati Uniti che Unione europea hanno finora evitato di introdurre sanzioni di tipo economico che colpiscano interi settori dell’economia russa (quello energetico, ad esempio) o le principali istituzioni finanziarie (così prevede la cosiddetta “terza fase di sanzioni Ue”, da attuare, dice Bruxelles, solo in caso di invasione territoriale della Russia in Ucraina).
Per questo, quel che occorre capire è se le sanzioni finora introdotte stanno davvero avendo effetti negativi sull’economia russa e se davvero hanno la capacità, come ha ripetuto ieri Obama, di «cambiare i piani di Putin» nell’Est ucraino. Dai dati pubblicati nelle ultime settimane esce l’immagine di una Russia che si sta indebolendo, dove molti indicatori del primo trimestre 2014 raggiungono i livelli di fine 2008. Ma è un indebolimento economico iniziato già da qualche anno, che la crisi ucraina pare solo aver accelerato.
La fuga dei capitali
Come riportal’agenzia russa Itar-tass in questo articolo del 21 aprile, Maxim Oreshkin, direttore del Dipartimento di previsioni strategiche del ministero delle Finanze russe, ha affermato che la fuga di capitali dalla Russia raggiungerà nell’intero 2014 gli 80 miliardi di dollari. Secondo Alexey Ulyukayev, ministro dello Sviluppo economico, la fuga toccherà invece quota 100 miliardi di dollari entro fine anno. Ancora più drastiche le previsioni della Banca mondiale, che ha parlato di 150 miliardi di dollari.
Oreshkin ha paragonato quel che accadrà nel 2014 alla situazione verificatasi nel 2008, primo anno della crisi finanziaria internazionale: «La struttura della fuga di capitali nel primo trimestre 2014 assomiglia in molti aspetti alla situazione dell’ultimo trimestre del 2008», ha dichiarato. Situazione provocata – ha detto Oreshkin – «dalla crescente insicurezza della popolazione e delle aziende».
Solo nel primo trimestre 2014 sono 63 i miliardi di dollari usciti dal Paese, secondo le statistiche del ministero dello Sviluppo economico. Una cifra pari ai capitali fuggiti dal Paese di Putin nell’intero 2013, quando l’outflow è stato, appunto, di circa 63 miliardi di dollari (secondo la Banca centrale).
«Certamente il conflitto in Ucraina e l’incertezza su una eventuale invasione militare di Mosca nell’Est del Paese hanno innescato queste forti fuoriuscite di denaro», commenta alla Reuters Alexei Devyatov, economista di Uralsib. Non è della stessa idea Natalia Orlova, economista della Alfa Bank, che nello stesso articolo spiega che la crisi ucraina è solo uno dei fattori, dal momento che la fuga dei capitali era già forte prima della minaccia russa di intervento militare in Ucraina.
Il rublo debole e la “dollarization”
«Il principale fattore dietro questa fuga di capitali è la “dollarizzazione” dei risparmi», spiega Vladimir Kolychev della Vtb Capital alla Reuters, un fenomeno innescato dalla debolezza del rublo. La domanda di valuta estera è stata nel primo trimestre di 19,6 miliardi di dollari, la quota più alta dalla fine del 2008. Così anche per i foreign assets delle banche russe, che hanno raggiunto nel primo trimestre 2014 i 35 miliardi di dollari, cifre simili a quelle viste a fine 2008.
La Banca Russa, riferisce a inizio aprile il Wall Street Journal, ha speso 22,3 miliardi di dollari e ulteriori 2,3 miliardi di euro solo nel mese di marzo per sostenere il rublo. È il più ampio intervento della Banca dal 2009.
Il grafico del Wsj che mostra il crollo del rublo, costante dal 2011 a oggi, con una forte accelerata nel primo trimestre 2014:
Gli indicatori del Wall Street Journal aggiornati dallo scoppio della crisi ucraina a oggi
Gli effetti sul Pil
La crescente fuga di capitali è tra i fattori che hanno convinto il ministro dell’Economia russo a tagliare le previsioni di crescita economica per il 2014. Il vice ministro economico Andrei Klepach ha annunciato per il 2014 una crescita nel 2014 tra 0,5% e 1,1%, dove la cifra più alta è legata all’introduzione di eventuali stimoli fiscali. Cifre più basse della crescita del 2013 (1,3%) e delle precedenti previsioni ufficiali di crescita 2014 (2,5%).
L’economia russa è tuttavia in calo già da qualche anno. Se nello scorso decennio è cresciuta del 5% in media, nel 2012 ha segnato più 3,4% per crollare all’1,3% nel 2013.
Il rating dei titoli sovrani
L’agenzia statunitense Standard & Poor’s ha annunciato lo scorso 25 aprile di aver abbassato il rating sovrano sull’affidabilità creditizia della Russia dal livello BBB a BBB-. E ha abbassato anche il giudizio di lungo termine in valuta locale, da BBB+ a BBB.
A motivare l’agenzia è stata proprio la forte fuga di capitali del primo trimestre 2014 (63 miliardi di dollari). Questa la motivazione dell’agenzia: «aumenta il rischio di un marcato deterioramento sul fronte dei finanziamenti esteri, sia per quanto riguarda gli investimenti diretti che quelli azionari. Lo consideriamo un rischio per le prospettive di crescita dell’economia russa». Per questo Standard & Poor’s non ha escluso la possibilità di ulteriori riduzioni del rating sovrano russo, tenendo conto anche dell’impatto di nuove sanzioni.
A inizio aprile sia Standard & Poor’s che Fitch avevano spostato da «stabili» a «negative» le prospettive di lungo termine della Russia, a causa delle sanzioni imposte da Usa e Ue dopo l’annessione della Crimea. Moody’s, invece, ha messo la Russia sotto esame per un eventuale downgrade già a fine marzo.
Tentazioni autarchiche
Il Presidente Putin spinge per una maggiore indipendenza economica della Russia, spiega il Wall Street Journal, ordinando la creazione di un sistema di pagamento elettronico nazionale dopo che le sanzioni Usa contro la Rossyia Bank aveva portato le americane Visa e Mastercard a bloccare diverse transazioni che coinvolgessero la banca. Ma la Russia si sta preparando anche per avere la sua agenzia di rating.
Un’idea, quella dell’autarchia, ripresa lo scorso 22 aprile dal premier Dmitry Medvedev. Rivolgendosi ai parlamentari ha affermato che la minaccia di nuove sanzioni porta la Russia a ridurre la dipendenza dalle importazioni e a rafforzare l’economia interna. Lo ha raccontato il Financial Times, che ha sottolineato la difficoltà per un’economia stagnante come quella moscovita di riprendersi riducendo l’integrazione internazionale.
Putin abile stratega?
Danilo Taino, sul Corriere della Sera del 26 aprile ha ricordato come i principali centri di analisi russi segnalano da tempo la necessità per il Paese di diversificare l’economia, ancora eccessivamente dipendente dalle materie prime. Per farlo, tuttavia, sono fondamentali grandi investimenti in industria e infrastrutture. Occorre quindi che i capitali russi cessino di fuggire ma anche che non rallentino gli investimenti esteri nel Paese. Cosa di cui è consapevole il presidente Putin, che sostiene Taino, si starebbe solo comportando da abile stratega, «con un alleato neanche troppo nascosto nel big business occidentale». Per questo, spiega Taino, Putin cercherà nei prossimi mesi di migliorare il clima pro-affari del suo Paese, «di snellire le regole e ridurre la burocrazia» per attirare nuovi investimenti. Sapendo due cose: «che un po’ di tempo a disposizione per ammansire americani ed europei lo ha (il debito pubblico russo è solo del 9,4% del Pil, ricorda il giornalista). E che in Occidente tante imprese sanno che la Russia resta un grande mercato e una terra di grandi opportunità: per la quale saranno disposte a fare lobbying a favore di Zar Vladimir».