Una delle prime cose che impari quando ti trasferisci a Milano è che nell’agenda degli argomenti condivisi e condivisibili è quasi sempre sconsigliato includere la politica. Di fatto, quando una è cresciuta nella gaudente Puglia di Nichi Vendola e ha studiato a Bologna, come la sottoscritta, a tutto è abituata fuorché a persone che si dichiarano fieramente di destra. O meglio, che si dichiarano fieramente berlusconiane o leghiste.
Poco tempo e capisci che parlare di politica complica notevolmente le tue possibilità di integrazione, giacché il minimo che ti possa capitare è scoprire che l’interlocutore ha sul comodino un santino di Maroni in costume adamitico, oppure che nutre un’insana attrazione erotica per Casini, oppure che passa il tempo libero al Partito, laddove il partito è (era) Alleanza nazionale. Poi si sale di grado, e ti ritrovi a sentire cose che voi umani non potete immaginare, che passano da «Berlusconi è un grande uomo» a «Belpietro è il mio giornalista preferito», tutte dichiarate con una sconcertante naturalezza, come se dire queste frasi fosse normale. Che, piuttosto che farsi attribuire dichiarazioni del genere, i miei amici si farebbero tatuare la faccia del Mago Otelma sul petto, voglio dire. Mentre qui, a Milano, tutto pare regolare.
Un paio di giorni fa, per esempio, mi è capitato che si parlasse della vicenda Dell’Utri. Dunque, abbiamo tutti presente chi sia Dell’Utri: braccio destro di Silvio, collezionista di libri, co-fondatore di Forza Italia, condottiero di Publitalia 80, un loculo deluxe nel mausoleo di Berlusconi ad Arcore e, ciliegina sulla torta, latitante in Libano.
Ora, io non ne faccio una questione ideologica, ma quando vai a fare un aperitivo dopo il lavoro e ti presentano una specie di rappresentante Kirby convinto d’essere Keynes, che si lancia in un’arringa in difesa di Dell’Utri, infarcendola di invettive contro la magistratura, come minimo il tuo miserrimo negroni finisce che ti va di traverso.
Cosa fare? Come relazionarsi con l’esemplare di homo ignorans che ti si para innanzi? Le alternative sono sostanzialmente due: rispondere, e dar vita a un improficuo scontro dialettico con un soggetto evidentemente al di sotto della soglia minima di buonsenso e intelligenza; oppure tacere, fingendo di ignorare, fingendo di non sentire, fingendo che queste persone non parlino e non votino, e non costituiscano circa il 30% degli elettori di questo Paese.
Io, generalmente, lascio correre. Ma a questo giro, forse perché ero in premestruo, forse perché avevo visto a pranzo una delle mie più care amiche che continua a non trovare lavoro, forse perché non ho più voglia di soprassedere sull’indecenza civile di chi mi circonda, mi è salito il crimine e gli ho risposto. E non credo condivideremo mai più un’oliva ascolana in nessun happyhour del mondo.
Gli ho risposto perché forse, in questi casi, è giusto rispondere, anche se è inutile.
Gli ho risposto perché è per colpa di queste persone se mi colgo a pensare che il suffragio universale non sia una cosa giusta, che per carità, è un pensiero stronzo, un pensiero che uno non vorrebbe pensare, figurarsi dire, figurarsi scrivere, specialmente noi cresciuti nel mito (spesso solo teorico) della democrazia e del politically correct. E invece mi ritrovo qui a parlarne perché è sbagliato, è sbagliato che soggetti privi di coscienza sociale, dopo essersi abbottati di tv spazzatura per tutta la vita, e calciomercato e mignotte, mettendo una X, decidano anche del mio avvenire, di quello dei miei cari, di quello dei miei amici. Perché qualcuno dovrebbe insegnarci che, tutto sommato, votare è sì un diritto ma è anche una responsabilità e se di questa responsabilità non si è all’altezza, meglio andare a vedere un altro cinepanettone, che si fanno meno danni.
Con ciò non voglio dire che tutti dovremmo avere le stesse identiche opinioni, naturalmente. Né che chi la pensa diversamente da me sia di default un idiota (anche se talvolta confesso di avere tendenze vaginocratiche). Voglio soltanto dire che per votare bisognerebbe sapere ed essere minimamente onesti. Voglio soltanto dire che la democrazia è, a livello concettuale, l’unica forma di governo accettabile, ma che bisogna imparare a usarla. E che forse dovremmo prendere una patente, per beneficiarne. Forse dovremmo dimostrare di meritarla, la possibilità di votare, come uomini e come donne, come cittadini.
E poco importa che questo mi faccia suonare più reazionaria della Restaurazione dell’Ottocento: se difendi Dell’Utri a me vien voglia di stracciarti la tessera elettorale. Se vendi il tuo voto per 50 euro, per me puoi anche non votare mai più, non lo meriti.
Forse aveva ragione Mark Twain quando diceva che «se votare facesse qualche differenza, non ce lo permetterebbero»; tuttavia continuo a pensare che votare sia importantissimo e proprio per questo non riesco a condividere il fatto che voti anche chi difende pubblicamente un presunto mafioso.
Non lo condivido oggi. E non lo condividerò mai.
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