Detassare gli studi: la crescita parte dalla scuola

Detassare gli studi: la crescita parte dalla scuola

Difficile negare che in Italia esista un problema di qualità dell’istruzione, partendo da quella primaria per arrivare a quella terziaria. Per esempio, i test Pisa collocano in media gli studenti italiani di scuola secondaria molto al di sotto rispetto a quelli di tanti altri Paesi europei. Anche i test Piaac, che guardano invece alle capacità di adulti nella fascia di età 16-65 anni, collocano l’Italia nelle retrovie. Per un Paese, una forza lavoro più istruita significa maggiore crescita, trainata dalla più elevata produttività, oltre a effetti positivi sul benessere, per esempio per il minore tasso di criminalità o per il maggiore senso civico. Ecco perché in Italia una riforma del sistema educativo, dalla prima infanzia all’università, è fondamentale.

Per una riforma completa ed efficace, è necessaria innanzitutto una nuova architettura degli incentivi, che induca scuole e università a competere per attrarre i migliori studenti. Tuttavia, è innegabile che siano anche necessarie maggiori risorse. La spesa in capitale umano in Italia vale circa 4 percento del Pil, contro l’11 per cento negli Stati Uniti. Basti pensare allo stato fatiscente di tante scuole italiane, alla diffusa assenza di laboratori o ai bassi stipendi dei nostri ricercatori. Per non parlare poi dell’offerta insufficiente di asili nido.

Come meglio allocare le poche risorse pubbliche disponibili? La soluzione è nel concentrarle nei settori dove il rendimento sarà più elevato, portando comunque avanti la riforma complessiva delle regole e incentivi del nostro sistema di istruzione che, al contrario, non richiede grandi risorse.

Per individuare questi settori ci viene in aiuto la ricerca economica. Per esempio, gli studi di James Heckman (Nobel per l’economia nel 2000) spiegano come uno Stato dovrebbe investire soprattutto nell’istruzione primaria e nella scuola dell’infanzia, in particolare per i bambini più svantaggiati, perché la partecipazione a questi programmi aumenta la loro produttività.

Secondo Heckman, le differenze nella qualità dell’istruzione nei primi anni di vita spiegano gran parte delle differenze di produttività in età adulta. Ne segue che persino le migliori università non potranno aiutare gli studenti a compensare il divario accumulato a causa di una peggiore istruzione primaria e familiare. D’altronde, le migliori università producono bravi laureati anche perché selezionano i migliori studenti. Spostando lo sguardo al nostro Paese, possiamo guardare ai dati Pisa per l’Italia, come ha fatto di recente Giuseppe Ragusa per Pagina99, per scoprire che esistono differenze enormi tra la qualità degli studenti di scuola secondaria che vivono nei grandi centri, in media i migliori, e quelli che vivono nei centri minori, i peggiori. Dal momento che che in Italia il 10 per cento della popolazione vive in comuni con meno di 3.000 abitanti, un investimento per colmare questo gap sembra un punto di partenza naturale.

Se la ricerca economica suggerisce di concentrare le risorse pubbliche nel settore dell’educazione primaria e secondaria, i maggiori fondi per l’istruzione universitaria non possono che venire da una maggiore compartecipazione degli studenti, e delle loro famiglie, al costo monetario dell’istruzione. D’altronde, per utilizzare le parole di Benjamin Franklin “l’investimento in conoscenza restituisce sempre il migliore interesse”. Si stima, per esempio, che in Italia il rendimento netto di uno studente che investe in istruzione terziaria sia circa l’8 per cento, inferiore alla media Ocse (dati 2009), ma ben maggiore di quello di un Btp, e simile al rendimento azionario.

Per una famiglia, l’investimento nell’istruzione dei propri figli può essere finanziato da un programma di risparmio di lungo periodo (almeno 17-18 anni), e oltretutto comporta un esborso in una fase del ciclo di vita familiare in cui i redditi sono tipicamente più elevati e l’accesso al credito più semplice e meno costoso. Tuttavia, il recente annuncio del Governo di un aumento dell’imposizione sulle rendite finanziarie non può che scoraggiare il risparmio. Infatti, con l’esclusione dei titoli del debito pubblico ancora tassati all’aliquota favorevole del 12,5 per cento e dei fondi pensione, le rendite finanziarie di ogni altro tipo saranno tassate al 26 per cento. Inoltre, i risparmiatori devono anche pagare l’imposta di bollo annuale sui depositi pari allo 0,2 per cento.

Un sistema fiscale virtuoso dovrebbe promuovere il risparmio delle famiglie finalizzato alla futura istruzione dei propri figli. Anche in assenza di un aumento delle tasse universitarie, le famiglie devono comunque risparmiare e fare sacrifici per mandare i propri figli all’università: basta pensare ai tanti studenti del Sud Italia che affollano gli atenei del Centro-Nord. Un provvedimento che il governo potrebbe adottare, senza dovere impegnare molte risorse, è quello di introdurre un incentivo fiscale mirato, come d’altronde già avviene per i fondi pensione.

Per esempio, si potrebbe seguire il modello degli Stati Uniti e del Canada. Negli Stati Uniti, i fondi di investimento per il college, chiamati 529 plans, sono strumenti simili ai fondi comuni, ma con una tassazione agevolata in quanto completamente esenti dalla tassazione federale. I fondi hanno un beneficiario, tipicamente un figlio, e possono essere esclusivamente utilizzati per spese scolastiche, come il pagamento delle tasse universitarie, dei libri, computer, ma anche spese di alloggio negli anni dell’università. Naturalmente, è possibile liquidare i 529 plans pagando alcune penali qualora il beneficiario decida, per esempio, di non frequentare l’università. I fondi 529 sono regolati dai diversi Stati federali e gestiti da società private di gestione del risparmio. Il maggiore è quello della Virginia che a fine 2013 aveva 43 miliardi di dollari di risparmi in gestione e circa 2,2 milioni di posizioni individuali. Per favorire la concorrenza tra i vari Stati, una famiglia non è vincolata a scegliere il fondo dello stato di residenza. In Canada esiste uno strumento simile, chiamato Education Saving Grant. Oltre al vantaggio fiscale, il governo canadese assicura un co-finanziamento dei contributi al fondo in funzione del reddito familiare in modo da garantire in totale fino a 7.200 dollari per bambino.

Negli Stati Uniti come in Canada, i fondi per il college possono essere utilizzati per frequentare una qualsiasi università nel mondo (purché riconosciuta), non quindi solo università americane e canadesi. Per esempio, consultando la lista delle istituzioni riconosciute troviamo anche molte università italiane. Se anche il nostro Governo volesse istituire fondi di investimento per l’università, questa sarebbe una caratteristica da mantenere in modo da favorire maggiore concorrenza non solo tra le università italiane, ma anche tra quelle italiane e quelle di altri Paesi. Infatti, un maggiore numero di studenti avrebbe a disposizione le risorse finanziarie per “votare con i piedi”, e scegliere le università con una migliore qualità dell’istruzione.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter