Che cosa vuol fare Matteo Renzi è abbastanza chiaro: cambiare la sinistra, sbloccare questa foresta pietrificata chiamata Italia attraverso un patto con il centro-destra, battere Beppe Grillo svuotando il grillismo dei temi e delle parole d’ordine che più fanno presa anche sugli elettori di ogni ordine e grado. Vedremo se ci riuscirà, certo è che ha provocato la reazione irritata della sinistra all’interno del Pd (e oltre), dei “professoroni” di Libertà e Giustizia, di Eugenio Scalfari e persino dei riformisti moderati che si ritrovano nella Fondazione Ugo La Malfa. Tutti gli oppositori lo accusano di essere un populista (più nel senso sudamericano che nordamericano) con tratti autoritari. Si è sentita evocare a proposito della riforma elettorale e di quella del Senato persino l’aria del golpe, termine ormai usato e abusato, da quello “dolce” del 2011 in poi.
E la destra che dice? Si agita, si divide, soffre, ma a destra s’ode sostanzialmente un silenzio profondo. Sia chiaro, di parole ne pronunciano molte, ma si tratta di malessere, di propaganda o di piccolo cabotaggio. Tatticismi, con una voglia forte di cavalcare l’onda antipolitica e anti-europea, rischio mortale che la porta in braccia ai lepenisti e ai grillini. Come dice il buon senso e dimostra la storia, se gli elettori debbono scegliere per gli originali e gli imitatori, preferiscono sempre gli originali.
La destra, per la verità, ha smesso gli abiti curiali fin dall’era degli sfortunati professori del 1994. E non discute più non solo di idee e ideali, ma nemmeno di strategia ormai da molti anni. Lo si vede dall’accoglienza al libro di Giulio Tremonti, “Bugie e verità”. Apprezzato dal Giornale e da Libero per le pagine polemiche (sul “golpe dolce” appunto, sull’euro “moneta straniera”, o il richiamo alla “ragione dei popoli” che sta nel sottotitolo in copertina), ma assolutamente trascurato in tutta la parte propositiva, quella che vorrebbe dare un contributo al rilancio del centro-destra e che, invece, è l’obiettivo stesso del volume non così visionario come “La paura e la speranza” né così radicale come “Uscita di sicurezza”, gli ultimi due lavori di successo del professore diventato politico.
Proviamo a vedere, dunque, su quali punti la destra è sollecitata a intervenire e a discutere bon gré mal gré, perché ne va del suo futuro e, diciamolo senza nessuna enfasi, del futuro democratico dell’Italia.
1) L’euro e l’Europa. La moneta unica è vissuta come un vulnus praticamente dalla sua nascita anche (forse soprattutto) perché è diventata la bandiera della sinistra di governo, anzi è stato l’obiettivo raggiunto dell’unica esperienza vincente del centro-sinistra ai tempi ormai remoti dell’Ulivo. Tuttavia Silvio Berlusconi ha capito benissimo che se voleva governare non poteva opporsi. Ne è nata una frustrazione proporzionale all’impotenza. Tremonti non è mai stato tenero con l’europeismo “mercatista” come lo chiama e con la moneta senza sovrano, ma nel suo libro, pur ribadendo critiche e avversioni, dice esplicitamente che dall’euro non si può uscire. Ne spiega le ragioni economiche e fa capire quelle politiche, anche se avrebbe dovuto forse metterle più in rilievo.
Il centro-destra italiano sta nel Partito popolare europeo che è il più ortodosso (essendo dominato dai democristiani tedeschi) e il più filo euro, più dei liberali e dei socialisti; mettersi contro significherebbe isolarsi nell’Unione o essere risucchiati e svuotati nel pattuglione euroscettico, condannandosi così a star fuori dal grande gioco dei veri poteri (non solo economici, ma strategici), ad abbandonare ogni prospettiva di governo, a una testimonianza adamantina quanto irrilevante. Magari non sarà il massimo della dialettica democratica, ma questo è lo scenario politico in cui viviamo; se si vuole fare il professore o il profeta lo si denunci, se si vuol fare politica non resta che assumerlo come punto di partenza. Ciò vuol dire che l’euro non si può cambiare, a cominciare dal modo in cui viene gestito? Certo che no, si può, si deve cambiare, ma solo dopo averlo accolto realmente, altrimenti ogni critica anche la più propositiva, non è credibile.
2) Tremonti avanza una serie di proposte, la più importante delle quali è “il rimpatrio del debito”. Lo realizzò Giovanni Giolitti dopo decenni in cui la “rendita” del Regno d’Italia era stata presa della finanza (in ordine storico) francese, inglese e tedesca. Ed è durato fino alla “europeizzazione” degli anni Novanta decisa da Carlo Azeglio Ciampi anche per sfruttare i vantaggi in termini di tassi d’interesse. Dopo la guerra dello spread e grazie alla liquidità che Mario Draghi ha fornito alle banche, una fetta sostanziosa è stata rinazionalizzata, tanto che il debito in mani estere è passato dal 50 a meno del 30 per cento. Secondo Tremonti occorre andare più avanti, pur senza rimpatriare tutto, emettendo titoli ad hoc, con interesse più basso e di più lunga durata, ma soprattutto esentasse. Ciò serve a recuperare sovranità e spazi di manovra.
L’operazione dovrebbe essere discussa anche tra gli europeisti più convinti, perché non c’è dubbio che oggi l’Italia non ha efficaci cartucce da sparare a Bruxelles per colpa del debito che la opprime. L’Eurolandia, del resto, dal momento in cui ha rifiutato di mutualizzare i debiti (Tremonti rilancia gli eurobond che sono forse la sua proposta più concreta e coraggiosa insieme) ha rafforzato la sua natura intergovernativa rispetto all’ispirazione federale che resta impressa su uno sfondo sempre più lontano. L’ex ministro dell’Economia propone nel libro un referendum non per uscire dall’euro, ma per una Europa politica legittimata dai popoli. Utopia, ma fa capire in che direzione vorrebbe portare una destra anti-eurocratica, ma non anti-europea.
3) Le tasse. È il leitmotiv di Tremonti quando ancora era un professore liberalsocialista e non a caso cita a lungo il suo libro pubblicato nel 1986 sulle “Cento tasse degli italiani” (scritto insieme a Giuseppe Vitaletti). Ora ripropone un nuovo patto sociale (perché di questo si tratta quando si parla di riforma fiscale) che riprende alcune linee note del suo pensiero, a favore di una tassazione la più semplice, estesa e bassa possibile, spostando l’asse dalle persone alle cose, anzi addirittura alle “new properties” come scriveva nel lontano 1989. Non si tratta di una patrimoniale, indigeribile a destra, e forse più nociva che utile, ma anche i patrimoni o i capitali mobili e fluttuanti, quelli che oggi sfuggono a causa della natura del mercato mondiale, potrebbero rientrare dentro un nuovo sistema impositivo. In ogni caso, la tassazione resta il terreno sul quale la destra è più forte della sinistra, ma si è trasformata in questi anni o in una generica parola d’ordine o in proposte irrealistiche. La polemica sull’Imu, ad esempio, ha assunto una natura tattica ed elettoralistica perché disgiunta da un progetto organico di riforma.
4) Non vogliamo entrare nel catalogo di provvedimenti concreti con il quale finisce “Bugie e verità”. C’è invece un tema che anch’esso travaglia il centro-destra e fa breccia nel centro-sinistra: il rilancio dell’Italia industriale. Renzi ha parlato esplicitamente di un ritorno alla manifattura, evocando le tendenze che del resto sono già all’opera negli Stati Uniti e persino nell’Inghilterra che si era più industrializzata nei decenni scorsi. Tremonti propone qui un pezzo di Modell Deutschland. Non s’avventura sul terreno scivoloso del mercato del lavoro anche se resta un passaggio inevitabile del percorso, ma sostiene la nascita di una banca di Credito per l’economia sul modello del tedesco KfW (Kredit für Wirtschaft). Insomma, una Cassa depositi e prestiti potenziata e liberata dei troppi compiti spuri che via via le sono stati assegnati. La trasformazione della Cdp coinvolgendo le Fondazioni bancarie, d’altra parte, era stata una sua scelta a fine 2003.
L’ex ministro, anche perché in continua polemica con il mercatismo, pencola spesso verso un certo neostatalismo. Forse il liberismo in Italia è diventato di sinistra, come sostengono Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, due eterni bersagli della polemica tremontiana. Ma un ritorno alla politica industriale e alla centralità del governo piace anche alla sinistra del Pd. Il tema è più che mai aperto, però il centro-destra non s’è mai espresso veramente.
“Bugie e verità”, dunque, merita di essere letto e discusso ben oltre le pagine polemiche sulla lettera della Bce dell’agosto 2011 e sul complotto che ha fatto cadere Berlusconi. Qui l’ex ministro ha una propria tesi, cioè che tutto comincia quando nel 2010 lui tentò inutilmente di opporsi a un meccanismo salva stati che era in realtà salva banche, perché faceva pagare i paesi dell’area euro pro quota e non in rapporto all’esposizione delle banche nazionali verso le aree a rischio, a cominciare da Irlanda, Grecia e Spagna. Le più vulnerabili erano le banche tedesche e francesi, proprio quelle che nell’inverno 2010-2011 cominciarono a vendere in massa titoli del debito italiano. Tremonti glissa su molti aspetti e molti eventi che lo hanno visto protagonista, a differenza delle memorie di Luís Zapatero citate ampiamente. Ma l’ex leader socialista spagnolo è un pensionato, l’ex ministro italiano vuol fare ancora politica. Se dalle sue parti (e non solo) lo prenderanno sul serio.