Il meraviglioso e favoloso medioevo di Jacques Le Goff

Aveva 90 anni

«Aveva due teste, due petti, quattro mani; ma, come un uomo normale, un solo ventre e due piedi. Visse abbastanza a lungo che attirò l’attenzione di un gran numero di curiosi». Così, nel De Civitate Dei, Agostino parlava di prodigi della Natura, di esseri terribili e sconosciuti, di mirabolanti mostri quali i ciclopi, i palimpodi, gli ermafroditi, gli astomi, i pigmei, gli sciapodi, i blemmi e i cinocefali. Del resto in latino monstrum non è altro che la manifestazione di un prodigio d’origine divina. Esso ammonisce l’uomo comune, il mortale che ha deviato dalla retta via, mettendolo — con segni e signacoli a volte terribilmente oscuri ma spaventosamente inequivocabili — di fronte alla volontà imperscutabile e tortuosa degli Déi. Se in greco il téras, mostro, corrispondeva già a un segno divino inviato da Zeus e per questo avvolto in un’atmosfera di terrore, di “panico” sacro (quello del barbuto e caprino Dio Pan che non a caso diverrà in epoca cristiana la personificazione del Diavolo e della psicosi dellla civiltà occidentale), il monstrum — che conserva la radice di monere, ammonire e monstrare, mostrare — è la vista del prodigio che si verifica rompendo le comuni norme che regolano la natura. Il Medioevo dunque, come voleva Jacques Le Goff, probabilmente il più grande medievista di tutti i tempi, scomparso giorni or sono all’età di 90 anni, è per eccellenza il regno del mostruoso e del meraviglioso.

Mostri, esseri fantastici, creature bizarre pullulano l’immaginario collettivo di questo lungo periodo spesso considerato (a torto) buio, o di transizione verso la luce del Rinascimento, e che Le Goff, grazie alla sua opera d’inestimabile valore, ha saputo restituire alla ricchezza del simbolismo e alle radici della stessa Europa. Il Medioevo di Le Goff è il periodo della produzione dei Bestiari, dell’Apocalisse un immaginario collettivo popolato da paure — quella del démonio, della fine del mondo, dei peccati mortali, del Giudizio divino — e quello del quotidiano dell’agricoltura, dei tempi dettati dalla Natura, delle ore scandite dalla campane delle abbazie cistercensi, dall’ora et labora dei benedettini e dalle laudi cantate in onore dell’Altissimo per rinnovare l’alleanza dell’uomo con il divino e con la Natura.

Monstra, prodigia, portenta dell’Occidente medievale

Già in età classica, nel De Divinatione, Cicerone ricorda che «monstra, ostenta, portenta, prodigia appellantur quoniam monstrant, ostendunt, portendunt et praedicunt ». Cicerone voleva sottolineare il carattere ‘predittivo’ del mostro come segno inequivocqbile che informa l’uomo del volere divino. Ma mentre il monstrum è «cosa contro natura», il portentum presagisce invece qualcosa che si manifesterà nel prossimo futuro; ilprodigium è invece il segno, spesso oscuro, di un danno futuro e l’ostentum è invece l’inconsueto, l’insolito. In quest’ottica il monstrum assume il significato di un avvertimento divino, di un presagio che prende l’aspetto dell’essere sovrannaturale. Isidoro di Siviglia, nelle sue Etymologiae, dopo una parte teorica introduttiva su portenta, ostenta, prodigia, monstra e portentuosa, è il primo a propore nell’Alto Medioevo una vera e propria classificazione del mostruoso in cui l’uomo è il punto di riferimento cui rapportare le diverse tipologie di mostri.

Ed ecco spuntare creature dal corpo enorme (i giganti come Tizio) o dal corpo minuscolo (nani o pigmei), creature con testa dalle dimensioni spropositate (macrocefali) o con un numero superfluo di parti del corpo (bicipiti, trimani, cinodonti), creature cui manca una parte del corpo (acefali o steresios) o con una parte diversa dalla norma (testa di leone, testa di cane, testa di toro o corpo di toro come il Minotauro), creature con una parte del corpo spostata (occhi sul petto, sulla fronte, orecchie sopra le tempie etc) creature dallo sviluppo precoce che nascono coi denti, oppure con la barba, oppure canute; creature dal sesso misto (androgini o ermafroditi). Nella sua classifica figurano anche popoli mostruosi o fantastici come le cosiddette “razze pliniane” e tutta una serie di creature fantastiche come la manticora, i cinocefali, i blemmi gastrocefali, i blemmi stetocefali, il popolo senza naso e volto piatto, il popolo dal labbro inferiore prominente, i panoti, gli artabatiti, i satiri, i fauni e via dicendo. A questi si aggiungono anche i “portenta fabulosa” ovvero i portenti letterari come le Gorgoni, le sirene, Idra, la Chimera, i centauri, Cerbero.

Tutti questi esseri, tra il mostruoso ed il favoloso, accompagnano l’uomo medievale nella sua vita quotidiana. Del resto, come voleva Le Goff — allievo e poi successore dal grande Fernand Braudel (l’autore de La Méditerranée), direttore nel ’72 dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes e autore de “Gli intellettuali nel Medioevo” (con il quale diventava legittimo erede della scuola delle Annales) — il meraviglioso è ciò che stupisce, che sconvolge meravigliando, ciò che si caratterizza per la rarità e per lo “stupore ammirativo” che in generale suscita. La dimensione del meraviglioso deve essere ricondotta, per Le Goff, alla riflessione provocata da un certo stato esistenziale e psicologico e dalla tensione che lega l’homo religiosus alle potenze e alle espressioni del sovrannaturale (che spesso sfugge alla comprensione). È appunto attraverso questo meraviglioso che si sviluppa un dialogo verso la trascendenza. Ma il solo linguaggio attraverso il quale l’uomo può esprimere questo stupore è appunto il linguaggio dei simboli di cui è ricco il Medioevo. Così il meraviglioso come “potenza altra” fa irruzione nel quotidiano dell’esistenza.

Miracula e Mirabilia del Medioevo

L’elemento del “miracoloso” poi è particolarmente pregnante nel Medioevo cristiano. Miracula e Mirabilia suscitano uguale ammirazione in quanto svelano cose rare o inaudite (nel senso più latino del termine ovvero “mai udite”). Se si guarda all’etimologia delle due parole si nota che entrambe derivano dal verbo latino mirari, ovvero “ammirare”. I Miracula sono fatti che non obbediscono alla Natura o che sospendono l’ordine della Natura e che vengono attribuiti all’onnipotenza divina. La Vergine che partorisce, Lazzaro che resuscita o la guarigione miracolosa di un arto. A questo proposito come non ricordare il testo che lo stesso Le Goff ricorda come il libro che lo ha condotto sulla via delle Annales e di un modo di fare ricerca coinvolgendo la storia globale e delle mentalità: il grande capolavoro di Marc Bloch I Re Taumaturghi, scritto nel 1924, in cui Le Goff vide “un’avventura, un’epopea del corpo, una straordinaria analisi del gesto rituale costitutivo della monarchia francese”. Il cosiddetto “tocco delle scrofole” infatti sin dall’XI secolo era il dono miracoloso offerto da Dio ai sovrani francesi che li rendeva capaci di guarire le scrofole ma anche altri malanni col semplice gesto della mano. Un dono divino che sacralizzava di fatto i sovrani ponendoli come intermediari tra Dio e gli uomini. E così l’evento miracoloso invita il peccatore smarrito, tramite un evento fuori dalla norma, ad ammettere l’onnipotenza divina e ritornare sulla retta via attaverso un evento “fuori dalla norma”. E così il miracolo ha per funzione di rivelare che in fondo niente è impossibile a Dio.

I mirabilia sfuggono alla comprensione e si traducono nell’impotenza di risalire alla causa d’un fenomeno. Nel Medioevo la salamandra che non viene bruciata dal fuoco, i vulcani di Sicilia che vomitano fiamme imperiture senza esserne consumati etc. Costtuiscono eventi e fatti ‘ammirabilì. Così il meraviglioso suscita la curiosità, la ricerca delle casue naturali nascoste, quella magia che molto più tardi Bruno chiamerà “filosofia naturale”. Il meraviglioso è dunque rottura ma a dispetto del terrore che provoca è atteso e fortemente desiderato dalla comunità di fedeli in quanto nel meravigliso, che è alle frontiere del visibile e dell’invisibile, Dio stesso manifesta la propria presenza.

Islam e Occidente: quattordici secoli di guerre e scambi

Il Medioevo di le Goff è anche un periodo lungo, quattordici secoli, di guerre, indifferenza, scambi tra Islam e Occidente. Guerre sante, jihad, crociate ma anche convivenza e tolleranza come dimostrano esperienze come quella di Al-Andalus oppure della Palermo araba e successivamente della corte di Federico II di Svevia che darà nascita al sonetto e alla prima scuola letteraria di lingua italiana. Del resto i musulmani, sin dall’inizio, ovvero sin dalla partenza dalla Mecca di Maometto nell’anno dell’Egira (622 d.C.) e fino alla sua morte (632 d.C.), si richiamano alla Bibbia e si presentano essi stessi come “figli di Abramo”. I cristiani, così come gli ebrei che vivevano nei vasti territori dall’India alla Spagna conquistati dall’Islam, avevano il diritto di praticare il proprio credo religioso in quanto considerati “gente del Libro” e perciò appartenenti alla dhimma, che li autorizzava a risiedere sul proprio territorio. L’Islam ne tollera la religione, ne garantisce la protezione contro i nemici esterni. Così la “gente del Libro” ( Ahl al-Kitab) diviene ‘gente protetta’ (Ahl al-Dhimma). In cambio di tale protezione, la “Gente del Libro” s’impegna a pagare allo stato islamico un’imposta (jizya), che grava però soltanto sugli uomini abili, di condizione libera, escludendo di fatto donne, bambini, infermi e vecchi, e a pagare un tributo, detto haram, sulle terre possedute. Islam-occidente è certo anche crociate, guerre, violenze, jihad. Ma nonostante le diffidenze e le guerre, fa notare Le Goff, i rapporti che fiorirono tra arabi e cristiani furono anche commerciali e di scambio di saperi, di oggetti, di conoscenze pratiche (si pensi alla bussola, ai numeri, alla carta). Le Goff, riprendendo la tesi di Fletcher, cerca dunque di sminuire la famosa tesi – formulata nel 1937 dallo storico belga Henri Pirenne nel suo “Maometto e Carlomagno” – secondo la quale la conquista araba avrebbe interrotto il commercio tra Oriente e Occidente. A simbolo di questo continuum di rapporti commerciali e scambi culturali, Fletcher cita l’esempio dell’elefante offerto in dono a Carlomagno nell’801 da parte del califfo Haroun al-Rashid. L’”elefante viaggio” dalla Tunisia fino ad Aquisgrana e qui visse addirittura fino all’810. Le Goff insiste su tutto ciò che accade nelle zone di contatto, dell’ “al di là delle frontiere” e sul fatto che con la dinastia degli Abbasidi (762) e lo spostamento della capitale dell’Islam a Badgad – in territorio cioé più asiatico – aumento’ l’interesse dei musulmani per i cristiani d’occidente. Insomma continui furono gli scambi commerciali e d’idee che musulmani, ebrei e cristiani intrattennero soprattutto in Sicilia e in Spagna e che si inquadrarono nel nuovo panorama commerciale del Mediterraneo. I cristiani furono infatti i grandi beneficiari delle conquiste dell’Islam in quanto quest’ultimo divenne l’erede ed il diffusore delle tecniche e delle raffinate culture appartenenti ai popoli che aveva sottomesso. Dall’VIII secolo, tutte le discipline, dalla filosofia all’agricoltura passando per la medicina, devono qualcosa alla trasmissione delle idee dell’Islam. La rilettura degli scambi Oriente ed Occidente, di cristianesimo e Islam al di là della contrapposizione politico-religiosa — ovvero in chiave commerciale e culturale — è, assieme alla concezione, nuova, di un “altro” medioevo — fatto di simbolismo, paure, esplosione di ieraticità immaginifica — forse il più vitale e prezioso contributo di Jacques Le Goff alla storia e al pensiero medievale.

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