Il 10 aprile del 1755 nasceva Samuel Hahnemann, medico tedesco ricordato come fondatore dell’omeopatia. Nello stesso giorno a distanza di secoli viene festeggiata la giornata mondiale di questa discussa pratica medica che ha sempre diviso il mondo in due categorie: chi la pratica e la ritiene efficace e chi ne nega la validità. Al di là del controverso aspetto scientifico, però, oggi a preoccupare le aziende omeopatiche è soprattutto il pensiero che nel 2016 alcuni prodotti potrebbero sparire dal mercato italiano. Con gravi conseguenze per le imprese stesse. È questo l’allarme lanciato da Omeoimprese, l’associazione che riunisce le aziende del settore.
Il problema nasce dal fatto che l’Unione europea da diverso tempo chiede all’Italia di adeguarsi alla normativa e di sottoporre i prodotti omeopatici a una registrazione e valutazione simile a quella dei farmaci tradizionali (o allopatici nel gergo omeopatico). Con l’obiettivo di allineare tutti gli Stati membri in materia di regolamentazione e commercializzazione di nuove categorie di farmaci. Tutti i prodotti omeopatici quindi, sia quelli già esistenti che di nuova formulazione, dovranno essere registrati attraverso procedure stabilite dall’Agenzia Italiana del farmaco (Aifa). «È dal 1995 che l’Europa chiede l’adeguamento alla normativa ma l’Italia continua a rinviare. E se da un lato questo slittamento ci ha aiutato a stare ancora sul mercato, dall’altro ha fatto sì che siano aumentate le richieste» ha spiegato a Linkiesta Fausto Panni, presidente di Omeoimprese.
L’Italia, quindi, ha recepito sulla carta, ma non ancora nella pratica, la direttiva europea del 2006, che chiede ai Paesi membri di allinearsi entro dicembre 2015. Troppo presto secondo Panni, perché sono ancora molti i punti da chiarire. Prima di tutto le tariffe di registrazione e rinnovo troppo elevate (circa 80 milioni dopo il decreto Balduzzi, secondo i dati Omeoimprese) per le aziende omeopatiche che hanno un fatturato annuo complessivo di circa 170 milioni di euro. Con un’incidenza dei costi di registrazione sul fatturato annuale delle aziende omeopatiche pari al 48,4%, sempre secondo i dati Omeoimprese. E alcune richieste di Aifa, insensate per i prodotti omeopatici. Questi infatti si basano su diluizioni della sostanza d’origine in acqua. Tanto maggiore è la diluzione (dopo la dodicesima diluizione è già difficile trovare traccia della sostanza di partenza) tanto minor è la probabilità di trovare ancora traccia delle sostanza nel rimedio. Va da sé come afferma lo stesso Panni che «Quando parliamo di un diluizione 30CH dove non esiste più la molecola, non si possono applicare le stesse regole che valgono per un prodotto a diluizione 2CH. E non possiamo neanche lavorare con le stesse regole imposte alla chimica di sintesi, perché lavoriamo con sostanze naturali e perché anche se verremo considerati farmaci, non lo siamo. Saremo sempre farmaci senza indicazioni terapeutiche provate».
L’obiettivo quindi è instaurare un dialogo con Aifa in modo da evidenziare tutte le peculiarità di questo settore e affinché ne tenga conto per delineare i criteri di registrazione dei prodotti omeopatici. «La differenza con i Paesi europei, soprattutto Germania e Francia con una forte tradizione del settore, è che lì c’è un dialogo costante tra produttori e agenzia del farmaco e alle industrie viene lasciato il tempo di adeguarsi in seguito alle richieste» spiega Panni. Entro dicembre del 2015 tutti i nuovi prodotti e quelli già in commercio dovranno adeguarsi alle nuove regole di registrazione. C’è il pericolo dunque che nel 2016 alcuni farmaci se non registrati non possano essere utilizzati. «Noi sappiamo che in omeopatia ci sono almeno 3.000 sostanze nel repertorio medico, se dovessimo fare per tutte le 3.000 sostanze dossier tecnico-scientifico di un certo livello saremo decimati. Molte aziende perderebbero parte notevole del loro listino, soprattutto le italiane».
Il mercato italiano è il terzo in Europa dopo Francia e Germania con un fatturato di 320 milioni di euro in farmacia. Mercato che a parte un periodo di stallo nel 2012 – complice anche la crisi economica che inizia a comparire anche nelle farmacie, la cui crisi ha ricadute su tutta la filiera – nel 2013 ha ripreso a crescere intorno al 7 % come racconta Panni. «Negli anni abbiamo avuto una crescita costante intorno al 3,5%, tanto che rispetto a 15 anni fa le persone che usano prodotti omeopatici sono raddoppiate». Secondo i dati Doxa Pharma nel 2012 gli italiani che si curano con rimedi omeopatici e medicina alternativa erano circa 11 milioni. E Omeoimprese sottolinea come in Italia siano circa 30 le aziende dell’industria omeopatica, di cui oltre un terzo sono italiane. Aziende di dimensione medio-piccola, che producono in Italia o distribuiscono prodotti provenienti da Germania e Francia. Mentre gli addetti del settore sono circa 4.000.
Sul nostro territorio operano diverse aziende nazionali e alcune estere (tra le 18 associate di Omeoimprese 10 hanno la produzione in Italia) e proprio per le nostrane c’è il pericolo maggiore. Questo perché le aziende estere, che sottostanno ad altre leggi, hanno la possibilità di esportare i loro prodotti, mentre le italiane no. «Di conseguenza – continua Panni – noi abbiamo sul mercato italiano prodotti di aziende francesi, tedesche e italiane. Ma le imprese italiane, benché siano riconosciute come Gmp (Good manufacturing practice o norme di buna preparazione: Aifa ogni due anni controlla che le procedure di produzione siano standard a norma di legge), non possono esportare i loro prodotti. Né d’altra parte potrebbero spostare la produzione all’estero, perché poi dobbiamo sempre sottostare alle leggi italiane per la distribuzione. Se si fa una chiave di lettura troppo restrittiva per la registrazione dei prodotti, le aziende italiane potrebbero non essere in grado di competere».
Tornando al controverso aspetto scientifico, l’omeopatia si basa sul concetto del “simile cura il simile”. Ovvero che assumere piccolissime quantità dell’agente che causa il disturbo possa eliminarlo. Per adesso non è stato ancora dimostrato il meccanismo d’azione attraverso cui l’omeopatia esplica il suo effetto, motivo che rende scettiche molte persone, soprattutto nel mondo scientifico. Nonostante questo molte persone, in Italia come all’estero, si affidano a questa pratica medica e ne traggono giovamento, soprattutto per curare i disturbi più lievi. E sono molti anche i medici che prescrivono medicinali omeopatici (circa 20 mila in Italia).
«Sembra, per certi versi, impossibile, secondo i principi farmacologici convenzionali che un medicinale omeopatico, contenendo basse-bassissime concentrazioni di principio attivo, a volte non rilevabile, possa interagire con un organismo riportandolo alla salute» scrive Guna, una delle principali aziende attive nel settore dell’omeopatia. «Nonostante questo è un dato di fatto che molte biomolecole fisiologiche (come citochine, neuromodulatori, ormoni, ecc.) interagiscono nell’organismo in concentrazioni low dose, simili o molto simili a quelle omeopatiche». La stesse Guna riporta studi clinici che dimostrano l’efficacia dell’omeopatia. Numerosi altri studi scientifici però riportano che l’effetto derivato dall’omeopatia è del tutto sovrapponibile all’effetto placebo (come questo studio pubblicato qualche giorno fa sul Guardian), e una revisione sistematica pubblicata su Lancet, che ha preso in esame diversi studi clinici è arrivata alla stessa conclusione: «Eliminando tutti i bias condotti negli studi, è emerso un debole effetto dei rimedi omeopatici, e un effetto più forte degli interventi convenzionali. Questo risultato è compatibile con l’idea che gli effetti clinici dell’omeopatia siano in realtà dovuti all’effetto placebo».