Se non vi dispiace, vorrei lasciarmi andare
Fanculo tutti, io vado a vedermi i Nirvana stasera
11 ottobre 1990, un ragazzo di 17 anni di Aberdeen, cittadina natale di Kurt Cobain, prende l’autobus per andare a Olympia a vedere i Nirvana.
Un concerto epico, che verrà ricordato come il primo con Dave Grohl alla batteria.
La pioggia vien giù sottile da mezz’ora e io ho dimenticato a casa la felpa col cappuccio. Manca più di un miglio alla stazione di Whiskah St., mezz’ora tutta, tempo per finirsi mezzo pacchetto di Winston, se solo ne avessi. Due isolati fa sono passato davanti a un tabaccaio, ma ho appena i soldi per pagarmi l’autobus e l’ingresso al concerto, poi ci sarà da scroccare una birra e una sigaretta, se mi va bene, un tiro di canna se mi va proprio di culo.
A quest’ora la vecchia starà prendendo a calci la porta, o magari è già in camera e sta cercando un modo per punirmi a distanza, perché figurarsi se me la lascia passare. Peccato per lei che sia rimasto poco da far volare dalla finestra. I dischi di Billy Bragg li ha cestinati tutti, quelli degli Who pure, rimane solo qualche zozzeria tipo i Queen e una manciata di fumetti. I dischi che contano, Melvins, Mudhoney, Green River, TAD, sono al sicuro in sala prove, insieme al basso e ai cavi. Quindi fanculo Aberdeen, fanculo tutto. Faccia pure il cazzo che vuole, può essere che ci rimango, a Olympia.
Sull’autobus non c’è quasi nessuno, giusto un paio di taglialegna che vogliono passare il weekend nella capitale per grattarsi via la muffa della provincia, magari infilarsi in qualche festa all’Evergreen State, provare a tirar su qualche matricola zoccola, una notte di sballo, una dormita fino a pranzo e poi via, prepararsi alla solita vita di merda. Io no, fanculo tutti, io vado a vedermi i Nirvana stasera. Nella tasca interna del chiodo l’aiwa manda un tremolio, ogni tanto scatta e cambia lato. Sono giorni che macino Bleach, lato A, lato B, lato A, lato B, in continuazione, una canzone via l’altra, bum bum bum, un disco infinito. Incazzato come la morte.
Nelle orecchie è appena partito il riff di Negative Creep, quando l’autobus si ferma e carica un tizio alto, capelli lunghi sugli occhi e una maglietta dei Minor Threat sotto il giacchetto di jeans. Sulle spalle tiene la custodia di uno strumento, è lunga, tanto che deve togliersela per non toccare il soffitto. Per qualche motivo, quello si è portato dietro il suo basso, e allora penso che sono uno stronzo, che me lo potevo portare anch’io, il basso. Che se decido di rimanerci davvero, a Olympia, me ne dovrei comprare un altro, e soldi non ce ne ho, né ne avrò per molto tempo.
Dopo due ore di viaggio le pile del walkman sono a secco, la voce di Kurt su Love Buzz si stiracchia in uno sbadiglio senza ritmo. L’autobus ci scodella sulla 4th Avenue, davanti al Ben Moore’s Cafè, il ristorante dove ci portava papà, quando ancora lui e mamma si parlavano. Fuori, seduti sul marciapiede, una dozzina di ragazzi fumano sigarette e scolano birre in lattina. Sono più grandi di me, lo capisco dai piercing, dai capelli, dalle magliette di gruppi che non ho mai sentito nominare. Son lì per chiedere una sigaretta a una ragazza dall’aria gentile, ma poi vedo che lo spilungone col basso si è già incamminato lungo la 4th, le mani ficcate in tasca, la schiena curva.
Jerry mi ha detto di arrivare presto, che i Nirvana non sono più la band che suonava alle feste casalinghe a Montesano, hanno fatto il botto, la gente si fa le vasche in macchina per andarli a vedere, a giugno hanno suonato coi TAD a Seattle e hanno fracassato gli strumenti, tanto che ora Kurt e Krist sono banditi a vita dall’Università di Washington, e poi hanno ‘sto nuovo batterista, hai presente, quello degli Scream, che sembra uscito dal culo del demonio, tanto legna.
Jerry è uno che le spara gigantesche, ma nel dubbio ho preso l’autobus prima. E ho fatto bene, merda, perché non faccio in tempo a svoltare nella 5th Avenue che già mi trovo in coda. Per sicurezza mi piazzo dietro l’ultima della fila, una ragazzina che par più giovane di me, senza tette con un bel culo. Il bassista, invece, continua, passa accanto alla fila con la sicurezza di un proiettile e si ficca in una porta laterale, che al suo arrivo si spalanca come l’automatica di un 7eleven. Dev’essere il bassista dei Witchypoo, il gruppo d’apertura, ecco che cazzo ci faceva sul bus, con la custodia in spalla.
Ci saranno almeno duecento persone, in fila all’ingresso del North Shore Surf Club, e per un momento mando una benedizione silenziosa a quel contaballe di Jerry, che una volta tanto ci ha visto giusto. Mi faccio quaranta minutidi coda con una voglia di fumare da non crederci, ma se non altro non piove, a Olympia oggi tira una brezza tiepida che ti mette voglia di spaccare il mondo in due.
Entro nel locale e comincio subito a sudare, il tizio all’ingresso mi dice qualcosa che non capisco, la musica è troppo alta, sul palco i Witchypoo stanno finendo il set, ma io non ci vedo perché sono troppo lontano e la gente non la smette di saltare. Il North Shore sembra uno scantinato, qualcuno ha provato ad abbellire la parete dietro al palco con un murales ma l’effetto non è un granché.
Appena i Witchypoo schiodano mi faccio largo controcorrente e raggiungo ilblocco di persone che presidia il palco. Da qui vedo molto meglio, e se mi va di culo, alla fine mi porto via la scaletta.
Le luci si spengono, Kurt e Krist imbracciano chitarra e basso e questo nuovo batterista si siede a torso nudo dietro ai tamburi. Dopo il ciao mi aspetto inizino a martellare un riff in drop D e invece partono con un pezzo quasi pop. Un tizio artistoide dietro di me dice che è una cover dei Vaselines, Son of qualcosa che credo sia Gun. Non ho idea di cosa stiano dicendo ma la canzone va via liscia che sembrano i Pixies più distorti. Dopo gli applausi Kurt attacca a cantare una specie di filastrocca allegra sulle labbra di questa Molly, ma poi salta tutto. Impianti di merda. I tre se ne fregano e ricominciano, ma la corrente parte di nuovo. Arriva sul palco un capellone con una maglietta delle L7, tocca due cavi e fa segno che possono ricominciare. Kurt fa un arpeggio acido, lento, un altro pezzo che non ho mai sentito. Poi è di nuovo il macello: la batteria marcia che è un piacere ma dagli ampli non esce nulla. Per fortuna qualcuno dal mixer grida cazzo, tutti gli ampli sono innestati sulla stessa linea. Quando è tutto risolto Krist sorride e si sdraia sul giro di basso di Blew.
Cristo, il batterista. A vederlo così non gli daresti due cent, eh, e invece picchia come un dannato. A ogni cambio accordo pesta una legnata a due mani sui piatti, e l’asta del crash non smette mai di traballare, ha ‘sti capelli lunghi, lisci, da metallaro, che vanno avanti e indietro, e ancora un po’ sembra che facciano parte della strumentazione. Kurt, a confronto, sembra il ritratto della calma. Nel North Shore si crepa dal caldo e lui ha ancora la camicia di flanella abbottonata. Krist invece ha addosso una maglietta bianca e ha ‘sta tracolla lunghissima che gli mette il basso sulle ginocchia, più che suonarlo sembra ci sta palleggiando, salcazzo come fa a tenere dietro al batterista con il manico così a terra.
Poi tutto si blocca un’altra volta. Ma questa volta non sono gli ampli, è la batteria. Kurt prima si volta e poi guarda Krist. Da sotto il palco non si capisce che cazzo hanno da ridere, ma poi Kurt si avvicina al microfono con in mano il rullante sfondato è ufficiale: ai Nirvana mancava solo un batterista così.
Quando sono fuori dal North Shore, l’aria gelida picchia contro la mia maglietta sudata, annunciando un altro inverno del cazzo. Scrocco una sigaretta, svolto l’angolo e al primo tiro la realtà mi raggiunge con l’entusiasmo di un cazzotto nelle palle: ho 17 anni, vivo nel buco del culo del mondo, mia madre è una testa di cazzo bigotta e se qualcosa non cambia rimarrò vergine ancora a lungo. Ho una band, ci chiamiamo Ipoxia Bay, non siamo un cazzo male, e questo ora che ho le orecchie devastate e il cuore gonfio, mi basta.
Fra vent’anni, quando sarò vecchio, divorziato, coi figli che cacano il cazzo e il mutuo che mi strozza, ricorderò questo concerto e saprò che una notte, almeno una cazzo di notte nella mia vita, l’ho vissuta fino in fondo. Magari a quel punto i Nirvana saranno diventati un gruppo country del cazzo, magari avranno venduto il culo alle case discografiche, magari Cobain suonerà Louie Louie ai concerti benefici con altre rock star. Magari invece no, magari tireranno dritto come adesso, sforneranno un Bleach dietro l’altro, e un disco alla volta raschieranno via tutte le Aberdeen del mondo dal fondo di questo barile. Magari sarò ancora lì ad ascoltarli, e questa volta con la custodia di un basso sulle spalle. Magari, perché no, sarò sul palco con loro, ad aprire un concerto, a stapparmi una birra, a ridere, dire puttanate, e parlare di band sconosciute nel backstage. Insomma, perché no? In questo posto di merda la gente sa solo sbadigliare, e io voglio cagare a tutti in gola. Sarà così. E se non sarà così: be’, chissene, va bene lo stesso.